mercoledì 27 agosto 2008

L'importanza di essere strumenti (di Brigida LIPAROTI)

Quando si ha la coscienza della presenza del Signore, non ci si sente mai soli... quando invece il cuore è latitante, il Signore non smette di parlarci, anzi, si fa presente più assiduamente! Credetemi, è proprio ciò che è successo a me.
Una vita -la mia- spesa per i primi trentasei anni ad andare contro le credulonerie e l'affidarsi a gente che si permette di offrire “aiuto disinteressato” spillando quattrini... ma nel mio intimo, oltre la scarsa preghiera erano sempre presenti le domande: .
In quest'atmosfera interiore, nella piena insoddisfazione di chi non ha compreso ciò che cerca ma solo ciò che non vuole, due persone, “strumenti” di Dio, mi hanno fatto “vedere” non solo con gli occhi della fede, ma anche con miei occhi umani, come la Sua Pace può essere nell'uomo e questo mi ha fatto desiderare di avere quella Pace:
eravamo al supermercato di Tortona quel sabato pomeriggio (dico “eravamo” perché non ero sola, per grazia di Dio), quando in mezzo alla confusione e alla frenesia del popolo degli acquisti vediamo due frati cappuccini... il loro passo agile ma sereno, lo sguardo aperto e sorridente in mezzo a tanti visi accigliati... insomma, uno specchio che rifletteva Dio!
Nella mia ottusagine ho lasciato passare altri due anni prima di entrare nella chiesa del convento, quando mi è venuto incontro proprio colui che al centro commerciale mi aveva rivolto la parola. Ormai da tre anni e mezzo è diventato il mio accompagnatore spirituale e tramite la sua voce, lo Spirito Santo ha risposto a tante mie domande, mi ha fatto vivere la Parola, mi ha dato lo slancio di abbandonare la mia allergia alle responsabilità e agli impegni, mi ha fatto capire che avere la Sua Pace non può esulare dal diventare testimoni, strumenti, “portatori sani” del Suo Amore!
Il mio grazie va al Signore, che mi ha dato aiuto sempre, che mi ha concesso un valido aiuto quando non riuscivo a farcela da sola.
Un piccolo grande grazie a Padre Fabrizio per il suo "si" a Dio e per aver accettato di essere strumento nella semplicità.
Abbraccio da Brigida.

martedì 26 agosto 2008

Esiste il male? (di Angela Delcuratolo)

Un professore ateo sfidò i suoi alunni con questa domanda: - "Dio ha fatto tutto ciò che esiste?" Uno studente rispose coraggiosamente: - "Si, l'ha fatto!" - "Dio fece proprio tutto?" - "Si, professore" - rispose il giovane. Il professore replicò: - "Se Dio ha fatto tutte le cose, allora Dio ha fatto il male, poiché il male esiste e tenendo conto che le nostre azioni sono un riflesso di noi stessi, allora Dio è male." Lo studente si azzittì di fronte a tale risposta e il professore, felice, si vanagloriava di aver provato una volta in più che la Fede era un mito. Un altro studente alzò la sua mano e disse: - "Posso farle una domanda, professore?" - "Senza dubbio" gli rispose il professore. Il giovane si alzò in piedi e domandò: - "Professore, il freddo esiste?" - "Ma che domanda è questa? Chiaro che esiste, lei per caso non ha mai sentito freddo?" Il ragazzo rispose: - "In verità, professore, il freddo non esiste. Secondo le leggi della Fisica, ciò che consideriamo freddo, nella realtà è assenza di calore. Tutto il corpo o l'oggetto può essere studiato quando ha o trasmette energia, ma è il calore e non il freddo che fa in modo che tale corpo ha o trasmetta energia. Lo zero assoluto è l'assenza totale e assoluta del calore, tutti i corpi rimangono inerti, incapaci di reagire, ma il freddo non esiste. Abbiamo creato questo termine per descrivere come ci sentiamo quando ci manca il calore." - "E l'oscurità, esiste?" - Continuò lo studente. Il professore rispose: - "Ma è chiaro che si. "Lo studente rispose: - "Di nuovo signore si inganna, l'oscurità nemmeno esiste. L'oscurità è in realtà l'assenza di luce. Possiamo studiare la luce, ma l'oscurità no, il prisma di Newton decompone la luce bianca nei vari colori di cui si compone, con le sue differenti varietà d'onda. L'oscurità no, un semplice raggio di luce strappa l'oscurità e illumina la superficie che la luce tocca. Come si fa per determinare quanto buio è presente in un determinato spazio? Solamente con una base di quantità di luce in questo spazio, non è così? L'oscurità è un termine che l'uomo ha creato per descrivere ciò che succede quando non c'è presenza di luce. "Finalmente, il giovane studente domandò al professore: - "Dica, professore, il male esiste? "Lui rispose: - "Chiaro che esiste. Come ho detto all'inizio della lezione, vediamo ladri, criminalità e violenza tutti i giorni in tutte le parti del mondo, queste cose sono il male. "Allora lo studente rispose: - "Il male non esiste, professore, o almeno non esiste di per se. Il male è semplicemente l'assenza di Dio. E', come nei casi precedenti, un termine che l'uomo ha creato per descrivere questa assenza di Dio. Dio non ha creato il male. Non è come la Fede o l'Amore, che esistono come esiste la Luce e il Calore. Il male è il risultato del fatto che l'umanità non ha Dio presente nei suoi cuori. E' come il freddo che sorge quando non c'è calore, o l'oscurità quando non c'è la luce."
A quel punto il professore si sedette e rimase in silenzio.
Il nome di quello studente era Albert Einstein.
Questa "discussione" mi è stata inviata tempo fa da un amico... è un ottimo spunto di riflessione, per questo ho voluto condividerla con voi... Son sempre stata una persona molto "razionale" e "con i piedi per terra"... ho sempre creduto in tutto ciò che era "visibile" e "palpabile"... Non credevo nella Fede... non avevo Fede... All'improvviso ho "conosciuto" Dio, così, di punto in bianco... Alcuni mi dicono: "Non dire fesserie... Dio non esiste... è solo un'illusione che ci facciamo per vivere meglio o accettare la morte!"... A costoro rispondo: "Dio esiste, perchè lo "sento"... tutti i giorni lo "incontro" in preghiera"... Questa è la vera Fede... Io sono fermamente convinta che Dio è sempre esistito nella mia vita... anche quando io non credevo in Lui... Semplicemente non lo "vedevo" e non lo "sentivo" perchè ero distratta da altre cose più superficiali... Ora Lo ringrazio perchè ha saputo essere paziente ed è riuscito ad attendere 31 anni affinchè io mi accorgessi di Lui...

Angela Delcuratolo - Broni (PV)

lunedì 25 agosto 2008

Ripresa delle attività

Cari amici ciao a tutti,
dopo una settimana di riposo lo staff ha il piacere di comunicarvi la ripresa delle attività a partire da questa settimana.
Saremo nuovamente presenti, quotidianamente, con articoli, post ed insegnamenti delle nostre guide.
A presto
Lo staff.

lunedì 18 agosto 2008

Festa della Madonna della Guardia - programma celebrazioni

Programma della novena 20 - 28 Agosto 2008

Predicatore: S. E. Mons. Giuseppe Versaldi, Arcivescovo di Alessandria.

Ore 7-8-9-10 Sante Messe - Preghiera della novena

Ore 16,30 Santo Rosario

Ore 17 Santa Messa: celebra Don Severino Tolfo, direttore Casa Madre "Don Orione"

Ore 20,30 Santo Rosario

Ore 21 Solenne concelebrazione presieduta dall'Arcivescovo Mons. Giuseppe Versaldi, omelia e preghiera della novena

Celebrazioni particolari

Mercoledì 20 Agosto ore 21 - Giornata di preghiera per la pace

Giovedì 21 Agosto ore 21 - Giornata di preghiera per l'unità dei cristiani

Venerdì 22 Agosto ore 21 - Giornata di preghiere per ottenere il dono della carità

Sabato 23 Agosto ore 18 - Giornata dedicata ai malati, Santa Messa con benedizione dei malati impartita dal Vescovo Mons. Martino Canessa presso il centro "Mater Dei".

Domenica 24 Agosto ore 17 - XVII anniversario della dedicazione della Basilica. Giornata dedicata ai bambini ed ai giovani. Santa Messa per i bambini e affidamento alla Vergine Maria.

Lunedì 25 Agosto ore 21 - Giornata dedicata agli anziani

Martedì 26 Agosto ore 21 - Giornata di preghiera per le vocazioni sacerdotali e religiose.

Mercoledì 27 Agosto ore 21 - Giornata della riconciliazione

Giovedì 28 Agosto - Vigilia della festività

  • Ore 18,30 Celebrazione dei vespri
  • Ore 21,00 Santa Messa e novena
  • Ore 23,00 Veglia degli uomini e dei giovani, celebra il Vescovo Mons. Martino Canessa. Al termine tradizionale "caffè di Don Orione"

Venerdì 29 Agosto

FESTA DELL'APPARIZIONE

Orario Sante Messe

In Basilica: Ore 6,30 - 7,30 - 8,30 - 10,30 - 15,30 - 17,00 - 21,00 - 22,30

In Cripta: Ore 8,00 - 9,00 - 10,00 - 11,00 - 18,30

  • Ore 7,30 - Concelebrazione presieduta da Don Gianni Giarolo, direttore provinciale.
  • Ore 8,30 - Giubileo sacerdotale e religioso, presiede la concelebrazione il Superiore Generale dell'Opera Don Flavio Peloso.
  • Ore 10,30 - SANTA MESSA DELL'APPARIZIONE. Presiede il Solenne Pontificale Sua Eminenza il Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia.
  • Ore 15,30 - Santa Messa presieduta da Don Achille Morabito, Vicario Generale dell'Opera.
  • Ore 17,00 - Concelebrazione presieduta da S.E. Mons. Martino Canessa, Vescovo di Tortona.
  • Ore 18,00 - TRADIZIONALE PROCESSIONE con la recita, in Cattedrale, del "Credo", secondo l'antica tradizione di San Luigi Orione.
  • Ore 21,00 - Concelebrazione presieduta da S.E. Mons. Andrea Gemma, Vescovo Emerito di Isernia-Venafro.
  • Ore 22,30 - Santa Messa di chiusura.

domenica 17 agosto 2008

Vangelo della XX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Vangelo Mt 15, 21-28
Donna, grande è la tua fede!

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

sabato 16 agosto 2008

San Rocco - 16 Agosto


Montpellier (Francia), secolo XIV - 16 agosto di anno imprecisato

Le fonti su di lui sono poco precise e rese più oscure dalla leggenda. In pellegrinaggio diretto a Roma dopo aver donato tutti sui beni ai poveri, si sarebbe fermato a ad Acquapendente, dedicandosi all'assistenza degli ammalati di peste e facendo guarigioni miracolose che diffusero la sua fama. Peregrinando per l'Italia centrale si dedicò ad opere di carità e di assistenza promuovendo continue conversione. Sarebbe morto in prigione, dopo essere stato arrestato presso Angera da alcuni soldati perché sospettato di spionaggio. Invocato nelle campagne contro le malattie del bestiame e le catastrofi naturali, il suo culto si diffuse straordinariamente nell'Italia del Nord, legato in particolare al suo ruolo di protettore contro la peste.


Patronato: Malati infettivi, Invalidi, Prigionieri
Etimologia: Rocco = grande e forte, o di alta statura, dal tedesco
Emblema: Cane, Croce sul lato del cuore, Angelo, Simboli del pellegrino
Martirologio Romano: In Lombardia, san Rocco, che, originario di Montpellier in Francia, acquistò fama di santità con il suo pio peregrinare per l’Italia curando gli appestati.


Nonostante la grande popolarità di San Rocco, le notizie sulla sua vita sono molto frammentarie per poter comporre una biografia in piena regola, comunque è possibile, grazie ai molti studi fatti, tracciare a grandi linee un profilo del nostro Santo, elaborando una serie di notizie essenziali sulla sua breve esistenza terrena. Tra le varie “correzioni” che sono state proposte alle date tradizionali (1295-1327), si è gradatamente imposta quella che oggi sembra la più consolidata: il Santo è nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350 ed è morto a Voghera fra il 1376 ed il 1379 molto giovane a non più di trentadue anni di età. Secondo tutte le biografie i genitori Jean e Libère De La Croix erano una coppia di esemplari virtù cristiane, ricchi e benestanti ma dediti ad opere di carità. Rattristati dalla mancanza di un figlio rivolsero continue preghiere alla Vergine Maria dell’antica Chiesa di Notre-Dame des Tables fino ad ottenere la grazia richiesta. Secondo la pia devozione il neonato, a cui fu dato il nome di Rocco (da Rog o Rotch), nacque con una croce vermiglia impressa sul petto. Intorno ai vent’anni di età perse entrambi i genitori e decise di seguire Cristo fino in fondo: vendette tutti i suoi beni, si affiliò al Terz’ordine francescano e, indossato l’abito del pellegrino, fece voto di recarsi a Roma a pregare sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia sono i suoi ornamenti; la preghiera e la carità la sua forza; Gesù Cristo il suo gaudio e la sua santità. Non è possibile ricostruire il percorso prescelto per arrivare dalla Francia nel nostro Paese: forse attraverso le Alpi per poi dirigersi verso l’Emilia e l’Umbria, o lungo la Costa Azzurra per scendere dalla Liguria il litorale tirrenico. Certo è che nel luglio 1367 era ad Acquapendente, una cittadina in provincia di Viterbo, dove ignorando i consigli della gente in fuga per la peste, il nostro Santo chiese di prestare servizio nel locale ospedale mettendosi al servizio di tutti. Tracciando il segno di croce sui malati, invocando la Trinità di Dio per la guarigione degli appestati, San Rocco diventò lo strumento di Dio per operare miracolose guarigioni. Ad Acquapendente San Rocco si fermò per circa tre mesi fino al diradarsi dell’epidemia, per poi dirigersi verso l’Emilia Romagna dove il morbo infuriava con maggiore violenza, al fine di poter prestare il proprio soccorso alle sventurate vittime della peste.L’arrivo a Roma è databile fra il 1367 e l’inizio del 1368, quando Papa Urbano V è da poco ritornato da Avignone. E’ del tutto probabile che il nostro Santo si sia recato all’ospedale del Santo Spirito, ed è qui che sarebbe avvenuto il più famoso miracolo di San Rocco: la guarigione di un cardinale, liberato dalla peste dopo aver tracciato sulla sua fronte il segno di Croce. Fu proprio questo cardinale a presentare San Rocco al pontefice: l’incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano di San Rocco. La partenza da Roma avvenne tra il 1370 ed il 1371. Varie tradizioni segnalano la presenza del Santo a Rimini, Forlì, Cesena, Parma, Bologna. Certo è che nel luglio 1371 è a Piacenza presso l’ospedale di Nostra Signora di Betlemme. Qui proseguì la sua opera di conforto e di assistenza ai malati, finché scoprì di essere stato colpito dalla peste. Di sua iniziativa o forse scacciato dalla gente si allontana dalla città e si rifugia in un bosco vicino Sarmato, in una capanna vicino al fiume Trebbia. Qui un cane lo trova e lo salva dalla morte per fame portandogli ogni giorno un tozzo di pane, finché il suo ricco padrone seguendolo scopre il rifugio del Santo. Il Dio potente e misericordioso non permette che il giovane pellegrino morisse di peste perché doveva curare e lenire le sofferenze del suo popolo. Intanto in tutti i posti dove Rocco era passato e aveva guarito col segno di croce, il suo nome diventava famoso. Tutti raccontano del giovane pellegrino che porta la carità di Cristo e la potenza miracolosa di Dio. Dopo la guarigione San Rocco riprende il viaggio per tornare in patria. Le antiche ipotesi che riguardano gli ultimi anni della vita del Santo non sono verificabili. La leggenda ritiene che San Rocco sia morto a Montpellier, dove era ritornato o ad Angera sul Lago Maggiore. E’ invece certo che si sia trovato, sulla via del ritorno a casa, implicato nelle complicate vicende politiche del tempo: San Rocco è arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera davanti al governatore. Interrogato, per adempiere il voto non volle rivelare il suo nome dicendo solo di essere “un umile servitore di Gesù Cristo”. Gettato in prigione, vi trascorse cinque anni, vivendo questa nuova dura prova come un “purgatorio” per l’espiazione dei peccati. Quando la morte era ormai vicina, chiese al carceriere di condurgli un sacerdote; si verificarono allora alcuni eventi prodigiosi, che indussero i presenti ad avvisare il Governatore. Le voci si sparsero in fretta, ma quando la porta della cella venne riaperta, San Rocco era già morto: era il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 ed il 1379. Prima di spirare, il Santo aveva ottenuto da Dio il dono di diventare l’intercessore di tutti i malati di peste che avessero invocato il suo nome, nome che venne scoperto dall’anziana madre del Governatore o dalla sua nutrice, che dal particolare della croce vermiglia sul petto, riconobbe in lui il Rocco di Montpellier. San Rocco fu sepolto con tutti gli onori. Sulla sua tomba a Voghera cominciò subito a fiorire il culto al giovane Rocco, pellegrino di Montpellier, amico degli ultimi, degli appestati e dei poveri. Il Concilio di Costanza nel 1414 lo invocò santo per la liberazione dall'epidemia di peste ivi propagatasi durante i lavori conciliari. Dal 1999 è attiva presso la Chiesa di San Rocco in Roma, dove per volontà di Papa Clemente VIII dal 1575 è custodita una Insigne Reliquia del Braccio destro di San Rocco, l’Associazione Europea Amici di San Rocco, con lo scopo di diffondere il culto e la devozione verso il Santo della carità attraverso l’esempio concreto di amore verso i malati ed i bisognosi.Oltre a quello romano, altri centri rocchiani sono:- l'Arciconfraternita Scuola Grande di Venezia, che ne custodisce il corpo- il santuario di San Rocco della sua città natale di Montpellier- l'Association Internationale che ha sede sempre in Montpellier e che aggrega e collega le diverse associazioni nazionali- l'Associazione Nazionale San Rocco Italia che ha sede a Sarmato (PC), dove avvenne l'incontro col cane- il Comitato Internazionale Studi Rocchiani che ha sede in Voghera (PV), località da cui prese avvio il culto.

venerdì 15 agosto 2008

Assunzione della Beata Vergine Maria - 15 agosto


L'Immacolata Vergine, preservata immune da ogni colpa originale, finito il corso della sua vita, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo e dal Signore esaltata quale regina dell'universo, perché fosse più pienamente conforme al Figlio suo, Signore dei dominanti e vincitore del peccato e della morte'. (Conc. Vat. II, 'Lumen gentium', 59). L'Assunta è primizia della Chiesa celeste e segno di consolazione e di sicura speranza per la chiesa pellegrina. La 'dormitio Virginis' e l'assunzione, in Oriente e in Occidente, sono fra le più antiche feste mariane. Questa antica testimonianza liturgica fu esplicitata e solennemente proclamata con la definizione dommatica di Pio XII nel 1950. (Mess. Rom.)


Martirologio Romano: Solennità dell’Assunzione della beata Vergine Maria, Madre di Dio e Signore nostro Gesù Cristo, che, completato il corso della sua vita terrena, fu assunta anima e corpo nella gloria celeste. Questa verità di fede ricevuta dalla tradizione della Chiesa fu solennemente definita dal papa Pio XII.


Maria compare per l'ultima volta negli scritti del Nuovo Testamento nel primo capitolo degli Atti: Ella è in mezzo agli apostoli, in orazione nel cenacolo, in attesa della discesa dello Spirito Santo. Alla concisione dei testi ispirati, fa riscontro l'abbondanza di notizie sulla Madonna negli scritti apocrifi, soprattutto il Protovangelo di Giacomo e la Narrazione di S. Giovanni il teologo sulla dormizione della santa Madre di Dio. Il termine "dormizione" è il più antico che si riferisca alla conclusione della vita terrena di Maria. Questa celebrazione venne decretata per l'Oriente nel VII secolo con un decreto dell'imperatore bizantino Maurizio. Nello stesso secolo la festa della Dormizione viene introdotta anche a Roma da un papa orientale, Sergio I. Ma trascorse un altro secolo prima che il termine "dormizione" cedesse il posto a quello più esplicito di "assunzione".La definizione dogmatica, pronunciata da Pio XII nel 1950, dichiarando che Maria non dovette attendere, al pari delle altre creature, la fine dei tempi per fruire anche della redenzione corporea, ha voluto mettere in rilievo il carattere unico della sua santificazione personale, poiché il peccato non ha mai offuscato, neppure per un solo istante, la limpidezza della sua anima. L'unione definitiva, spirituale e corporea, dell'uomo con il Cristo glorioso, è la fase finale ed eterna della redenzione. Così i beati, che già godono della visione beatifica, sono in certo senso in attesa del compimento della redenzione, che in Maria era già avvenuta con la singolare grazia della preservazione dal peccato.Alla luce di questa dottrina, che ha il suo fondamento nella Sacra Scrittura, nel cosiddetto "Protoevangelo", contenente il primo annunzio della salvezza messianica dato da Dio ai nostri progenitori dopo la colpa, Maria viene presentata come nuova Eva, strettamente unita al nuovo Adamo, Gesù. Gesù e Maria sono infatti associati nel dolore e nell'amore per riparare la colpa dei nostri progenitori. Maria è dunque non solo madre del Redentore, ma anche sua cooperatrice, a lui strettamente unita nella lotta e nella decisiva vittoria. Quest'intima unione richiede che anche Maria trionfi, al pari di Gesù, non soltanto sul peccato, ma anche sulla morte, i due nemici del genere umano. E come la redenzione di Cristo ha la sua conclusione con la risurrezione del corpo, anche la vittoria di Maria sul peccato, con la Immacolata Concezione, doveva essere completa con la vittoria sulla morte mediante la glorificazione del corpo, con l'assunzione, poiché la pienezza della salvezza cristiana è la partecipazione del corpo alla gloria celeste.

giovedì 14 agosto 2008

Perché e quando pregare



"State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi". (1 Tes 5, 16-18).


La Preghiera è un atto interiore che comporta, all'inizio, una violenza alla nostra materialità, al nostro modo di vivere e pensare, ma quando si è imparato a pregare la nostra vita cambia totalmente.

L'esercizio costante della preghiera rafforza la nostra capacità di concentrazione, aumenta il nostro autocontrollo, ci da una maggior chiarezza negli avvenimenti e nelle decisioni da prendere.

La preghiera esige una costante verifica del nostro comportamento che diventa il metro di misura della nostra preghiera: se ho pregato bene la pace di Dio che è entrata in me si evidenzia nel mio agire.

Gesù ci ammonisce che la sua pace non è assenza di preoccupazioni, ma attingere forza da Lui, vera pace, nella preghiera per poter vincere tutte le nostre incertezze e turbamenti, confidando in Lui.

Molte volte il nostro modo di vivere agitato e sconclusionato ci porta ad una notevole perdita di tempo.

Quante volte ci è capitato di dover rimediare ad un'azione sbagliata. Molti nostri guai derivano da una mancata concentrazione, dal nostro nervosismo. Quando iniziamo a perdere l'autocotrollo vuol dire che siamo carenti di preghiera. Tutti i nostri atti di carità se non sono sostenuti dalla preghiera costante diventano atti umani, nutriti dalla preghiera si trasformano in atti graditi a Dio.

Quando comprendiamo l'urgenza della preghiera e ne sentiamo il bisogno profondo, insostituibile con nessun altro mezzo, possiamo ringraziare Dio perché il nostro cammino spirituale non subirà degli arresti.

Se il Signore ci ammonisce nella Sua Parola: "pregate incessantemente", vuol dire che questa è una necessità del nostro spirito che non dobbiamo trascurare.

Fare della nostra vita un continuo desiderio di Dio, un assoluto irrinunciabile bisogno interiore, vuol dire diventare contemplativi nell'azione.

Ed ora soprattutto in questo tempo così distratto dalla realtà di Dio se non siamo cristiani contemplativi, siamo cristiani insipidi, non diamo il sapore di Dio alle nostre azioni e rimaniamo invischiati nella vuota materialità che ci porta al non senso della vita.

Se impariamo a respirare all'unisono con Dio nel desiderio di cercarlo in tutto, gli avvenimenti devono diventare il libro nel quale impariamo ad apprendere la volontà di Dio per noi e le persone devono diventare maestri di comprensione spirituale, perché dalle gioie e sofferenze che comporta l'amare il prossimo, noi cresciamo nell'amore per Dio.

Insieme

Tutto lo staff ricorda con affetto Anita, la mamma di Gian Luca, che oggi avrebbe compiuto 64 anni.
In questa foto del giugno 2007, durante il ritiro conclusivo, stava, come sempre "redarguendo" il nostro fratello p. Fabrizio al quale era legata da un profondo affetto.

Da tutti noi e da coloro che ti hanno potuta conoscere...... Buon compleanno!...

Lo staff

"Tanti auguri mamma..." (Gianluca)

"Le persone che lasciano un segno" (di Orietta Pinton)

Ricordando Anita
Quando ad un certo punto della propria vita si fa il bilancio di quanto vissuto fino a quel momento, credo sia opportuno considerare anche le persone che ti hanno aiutato a crescere.
Per quanto mi riguarda potrei citare alcune persone delle quali conservo un buon ricordo, come la mia professoressa di italiano alle superiori, un prete dotato di una incredibile umanità, un frate che in un difficile momento della mia vita mi ha aiutata a risalire dalla disperazione.
Ma in questo momento desidero parlare di una persona che purtroppo ora non c’è più.
E’ incredibile come dalle persone più semplici si possano imparare molte cose.
La semplicità che contraddistingueva questa persona era davvero disarmante; lei era semplice nei discorsi, nel suo modo di essere e nonostante tutto esprimeva una tenacia formidabile.
Era molto modesta e timida ma molto coraggiosa; proteggeva la sua famiglia con tutta la forza che aveva dentro.
Da lei ho imparato ad ascoltare e a non giudicare, a pregare per attingere da Dio serenità e gioia. Non dimenticherò mai la forza della sua fede e la semplicità delle sue preghiere.
La morte di questa persona mi ha resa consapevole che alcune persone “attraversano” la vita per donare a coloro che incontrano nel loro cammino, piccole ma preziose perle di saggezza e sapienza interiore.
Ringrazio pertanto il buon Dio per avermi fatto incontrare questa minuta signora di mezza età che tanto mi ha inconsapevolmente donato.
Orietta Pinton

mercoledì 13 agosto 2008

Testimonianza (di Anna Filograno)

Cari fratelli e sorelle del blog ciao!
anch'io nel lontano 1992 ho iniziato l'esperienza di preghiera a Tortona. Ho conosciuto tanti fratelli e sorelle, abbiamo condiviso un cammino di fede e sperimentato quanto e' grande l'amore di Dio per noi.


La preghiera comunitaria del martedì' sera, le Messe di intercessione, i ritiri mensili alla domenica, il giornalino del cenacolo francescano mi hanno aiutato a conoscere sempre di piu' il Signore.


Questa esperienza e' stata ed e' tuttora un dono che il signore ha voluto. Un grazie immenso a Dio che ha voluto donarci un padre spirituale che ci ha aiutato con le catechesi,con la preghiera e con pazienza ci ha guidato fino a giugno 2008: Padre Fabrizio Carli.


A presto, Anna Filograno

"Buon compleanno Fratello!"

Oggi è il compleanno del nostro fratello maggiore, Padre Fabrizio Carli.

Troppe volte si sprecano molte parole per dire cose insensate, per una volta ne spenderemo poche per una cosa molto importante: un compleanno, quando c'è qualcuno che ti vuole bene, non può che essere buono... e noi di bene te ne vogliamo un sacco!
Ci dispiace solo per il regalo... Noi tutti volevamo farti un pensiero davvero speciale ma non siamo riusciti ad entrare nella scatola! Accontentati dei più affettuosi e speciali auguri!

A presto

"Come l'Aurora..." (di Barbara Centofanti)



“Come l'aurora verrai,
le tenebre in luce cambierai
tu per noi Signore,

come la pioggia cadrai,
sui nostri deserti scenderai,
scorrerà l'amore.

Tutti i nostri sentieri percorrerai,
tutti i figli dispersi raccoglierai
chiamerai da ogni terra il tuo popolo,

in eterno ti avremo con noi.

Re di giustizia tu sei,
le spade in aratri forgerai,
ci darai la pace

lupo ed agnello vedrai
insieme sui prati dove mai
tornerà la notte.

Tutti i nostri sentieri percorrerai,
tutti i figli dispersi raccoglierai
chiamerai da ogni terra il tuo popolo,

in eterno ti avremo con noi.

Dio di Salvezza tu sei
e come una stella sorgerai
su di noi per sempre,

e chi non vede vedrà
chi ha chiusi gli orecchi sentirà,
canterà di gioia!

Tutti i nostri sentieri percorrerai,
tutti i figli dispersi raccoglierai
chiamerai da ogni terra il tuo popolo,

in eterno ti avremo con noi.

Come l'aurora verrai!”

Il testo che ho sopra riportato è di una canzone che negli anni passati ho spesso cantato e che ora vivo nel cuore perchè è quanto ha fatto per me il Signore!
Mi chiamo Barbara, e come gli amici che lavorano a questo blog ho vissuto anche io l'esperienza di preghiera a Tortona.
In questi dieci anni ho conosciuto il Signore, ho scoperto la sua parola che ora è davvero pane di vita, guida e sostegno.
Ho sperimentato il suo perdono, il suo amore, la sua grazia e non solo nei momenti più belli e sereni della mia vita, ma anche nelle difficoltà e nella paura.
Ho conosciuto tante persone con cui ho condiviso, e tutt'ora condivido, un cammino di fede, persone diverse l'una dall'altra che alcune sono oggi veri e cari amici.
Ho scoperto il vivere la vita pienamente e il fare le cose e vivere le persone tutte davvero e con amore, anche se non è sempre facile e a volte mi capita di non riuscirci.
E dopo tutto questo, che è davvero tanto se pur riassunto in poche parole, ho ricevuto il dono della mia famiglia!
L'essere stata chiamata dal Signore a conoscere il suo amore e a camminare nella mia vita alla sua sequela con i miei fratelli sono stati i primi due grandi doni da Lui ricevuti, il terzo è la mia famiglia!
Vivo il dono del mio matrimonio e della mia famiglia come il riassunto di tanto tanto tanto amore che ho ricevuto dal Signore e come il punto di partenza per rendergli grazie con la mia stessa vita e con la fedeltà.

Barbara

martedì 12 agosto 2008

14 - Non pensare male - "La sapienza del cuore" (di Padre Fabrizio CARLI)

Una volta poi giudicata una persona, noi continuiamo a pensarla come l’abbiamo giudicata. Il pensare è la continuazione del giudicare e allora si comprende una volta di più quanto importi alla verità, alla giustizia e alla carità il non emettere giudizi sul nostro prossimo, quei giudizi – come abbiamo visto – che da parte nostra concludono abitualmente in modo negativo e quindi in condanna del prossimo.Anche il nostro pensare deve essere “amativo”, perché tutto in noi deve servire all’amore; l’amore deve essere l’espressione di tutto il nostro essere: cuore, mente, sentimento. Ora, si pensa amativamente quando, anziché giudicare negativamente le persone, le vediamo nella luce migliore, nella luce più favorevole. È il segreto - lo abbiamo visto - per muovere il cuore ad amare, ed è sempre in nostro potere.Sulla necessità di pensare con amore, non ci si sofferma forse abbastanza; è più facile che si faccia attenzione ad evitare parole o gesti che possano urtare, ma non si pensa a toglierne addirittura la possibilità col curare il nostro modo di pensare, perché, come si pensa, così si parla e si opera.Dato che il pensare è un atto che si consuma nel nostro intimo, è facile che si sia meno severi nel controllarlo e dominarlo; soprattutto ci sfugge comunemente l’incidenza che il modo di pensare ha sulle nostre parole e sui nostri gesti.Ma anche indipendentemente da questa incidenza, una sincera esigenza di verità e di carità dovrebbe farci sentire che manchiamo verso il prossimo non soltanto con le parole e i gesti esteriori, ma anche con l’appropriarci interiormente delle altre persone, per pensarne come vogliamo, vale a dire come ci suggerisce l’istintivo nostro giudizio ben difficilmente disposto al vero e al bene.La parola “appropriarci” è esatta, perché è esattamente quanto avviene quando noi pensiamo ad una persona. Pensandola, ce ne impossessiamo, la facciamo oggetto della nostra riflessione, della nostra critica, delle nostre valutazioni; e quando questa critica e queste valutazioni sono del tutto negative, quando cioè “pensiamo male” di una persona, noi commettiamo un’occulta e grave offesa alla sua dignità. Infatti la “strumentalizziamo”, ne usiamo cioè purtroppo per soddisfare la nostra ingenerosa tendenza a pensare facilmente male degli altri; e commettiamo anche l’ingiustizia di “condannare” dentro di noi senza dar modo all’imputato di difendersi.La carità non pensa il male; la carità non pensa male: è una delle caratteristiche dell’amore che san Paolo ricorda nella prima lettera ai Corinzi (13,5).Il cuore-buono, il cuore colmo di benevolenza, anima anche il segreto modo di pensare, temperando con l’indulgenza e l’amore l’istintiva tendenza a pensar male. E questo amore, portato anche nel pensare, è uno degli atteggiamenti più delicati del cuore, perché si vive e si consuma nel puro amore, senza che neppure se ne accorga la persona amata.Amore puro, che non passa nemmeno attraverso la parola che lo esprima, senza quindi attirare riconoscenza o ricambio, come avviene quando l’amore si effonde nella parola o nei gesti; amore puro perché non è dettato da una nostra istintiva tendenza, ma è tutto voluto dal cuore, contro le varie ragioni che la ragione trova facilmente per credere di dover essere severa nel giudicare.

lunedì 11 agosto 2008

Santa Chiara Vergine - 11 Agosto


Assisi, 1193/1194 - Assisi, 11 agosto 1253


Ha appena dodici anni Chiara, nata nel 1194 dalla nobile e ricca famiglia degli Offreducci, quando Francesco d'Assisi compie il gesto di spogliarsi di tutti i vestiti per restituirli al padre Bernardone. Conquistata dall'esempio di Francesco, la giovane Chiara sette anni dopo fugge da casa per raggiungerlo alla Porziuncola. Il santo le taglia i capelli e le fa indossare il saio francescano, per poi condurla al monastero benedettino di S.Paolo, a Bastia Umbra, dove il padre tenta invano di persuaderla a ritornare a casa. Si rifugia allora nella Chiesa di San Damiano, in cui fonda l'Ordine femminile delle «povere recluse» (chiamate in seguito Clarisse) di cui è nominata badessa e dove Francesco detta una prima Regola. Chiara scrive successivamente la Regola definitiva chiedendo ed ottenendo da Gregorio IX il «privilegio della povertà». Per aver contemplato, in una Notte di Natale, sulle pareti della sua cella il presepe e i riti delle funzioni solenni che si svolgevano a Santa Maria degli Angeli, è scelta da Pio XII quale protettrice della televisione. Erede dello spirito francescano, si preoccupa di diffonderlo, distinguendosi per il culto verso il SS. Sacramento che salva il convento dai Saraceni nel 1243.


Patronato: Televisione

Etimologia: Chiara = trasparente, illustre, dal latino

Emblema: Giglio, Ostia

Martirologio Romano: Memoria di santa Chiara, vergine, che, primo virgulto delle Povere Signore dell’Ordine dei Minori, seguì san Francesco, conducendo ad Assisi in Umbria una vita aspra, ma ricca di opere di carità e di pietà; insigne amante della povertà, da essa mai, neppure nell’estrema indigenza e infermità, permise di essere separata.


La sera della domenica delle Palme (1211 o 1212) una bella ragazza diciottenne fugge dalla sua casa in Assisi e corre alla Porziuncola, dove l’attendono Francesco e il gruppo dei suoi frati minori. Le fanno indossare un saio da penitente, le tagliano i capelli e poi la ricoverano in due successivi monasteri benedettini, a Bastia e a Sant’Angelo. Infine Chiara prende dimora nel piccolo fabbricato annesso alla chiesa di San Damiano, che era stata restaurata da Francesco. Qui Chiara è stata raggiunta dalla sorella Agnese; poi dall’altra, Beatrice, e da gruppi di ragazze e donne: saranno presto una cinquantina. Così incomincia, sotto la spinta di Francesco d’Assisi, l’avventura di Chiara, figlia di nobili che si oppongono anche con la forza alla sua scelta di vita, ma invano. Anzi, dopo alcuni anni andrà con lei anche sua madre, Ortolana. Chiara però non è fuggita “per andare dalle monache”, ossia per entrare in una comunità nota e stabilita. Affascinata dalla predicazione e dall’esempio di Francesco, la ragazza vuole dare vita a una famiglia di claustrali radicalmente povere, come singole e come monastero, viventi del loro lavoro e di qualche aiuto dei frati minori, immerse nella preghiera per sé e per gli altri, al servizio di tutti, preoccupate per tutti. Chiamate popolarmente “Damianite” e da Francesco “Povere Dame”, saranno poi per sempre note come “Clarisse”. Da Francesco, lei ottiene una prima regola fondata sulla povertà. Francesco consiglia, Francesco ispira sempre, fino alla morte (1226), ma lei è per parte sua una protagonista, anche se sarà faticoso farle accettare l’incarico di abbadessa. In un certo modo essa preannuncia la forte iniziativa femminile che il suo secolo e il successivo vedranno svilupparsi nella Chiesa. Il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia e protettore dei Minori, le dà una nuova regola che attenua la povertà, ma lei non accetta sconti: così Ugolino, diventato papa Gregorio IX (1227-41) le concede il “privilegio della povertà”, poi confermato da Innocenzo IV con una solenne bolla del 1253, presentata a Chiara pochi giorni prima della morte. Austerità sempre. Però "non abbiamo un corpo di bronzo, né la nostra è la robustezza del granito". Così dice una delle lettere (qui in traduzione moderna) ad Agnese di Praga, figlia del re di Boemia, severa badessa di un monastero ispirato all’ideale francescano. Chiara le manda consigli affettuosi ed espliciti: "Ti supplico di moderarti con saggia discrezione nell’austerità quasi esagerata e impossibile, nella quale ho saputo che ti sei avviata". Agnese dovrebbe vedere come Chiara sa rendere alle consorelle malate i servizi anche più umili e sgradevoli, senza perdere il sorriso e senza farlo perdere. A soli due anni dalla morte, papa Alessandro IV la proclama santa.Chiara si distinse per il culto verso l'Eucarestia. Per due volte Assisi venne minacciata dall'esercito dell'imperatore Federico II che contava, tra i suoi soldati, anche saraceni. Chiara, in quel tempo malata, fu portata alle mura della città con in mano la pisside contenente il Santissimo Sacramento: i suoi biografi raccontano che l'esercito, a quella vista, si dette alla fuga.

domenica 10 agosto 2008

Vangelo della XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Vangelo Mt 14, 22-33

Comandami di venire verso di te sulle acque.


Dal vangelo secondo Matteo

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

sabato 9 agosto 2008

Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)



Breslavia, 12 ottobre 1891 - Auschwitz, 9 agosto 1942
Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, da una famiglia ebrea di ceppo tedesco. Allevata nei valori della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei padri divenendo atea. Studia filosofia a Gottinga, diventando discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica. Ha fama di brillante filosofa. Nel 1921 si converte al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo nel 1922. Insegna per otto anni a Speyer (dal 1923 al 1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all’Istituto pedagogico di Münster, in Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali. Nel 1933, assecondando un desiderio lungamente accarezzato, entra come postulante al Carmelo di Colonia. Assume il nome di suor Teresa Benedetta della Croce. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto muore nella camera a gas. Nel 1987 viene proclamata Beata, è canonizzata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Nel 1999 viene dichiarata, con S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena, Compatrona dell’Europa.
Patronato: Europa (Giovanni Paolo II, 1/10/99)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith) Stein, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze e martire, che, nata ed educata nella religione ebraica, dopo avere per alcuni anni tra grandi difficoltà insegnato filosofia, intraprese con il battesimo una vita nuova in Cristo, proseguendola sotto il velo delle vergini consacrate, finché sotto un empio regime contrario alla dignità umana e cristiana fu gettata in carcere lontana dalla sua terra e nel campo di sterminio di Auschwitz vicino a Cracovia in Polonia fu uccisa in una camera a gas.
Un pugnetto di cenere e di terra scura passata al fuoco dei forni crematori di Auschwitz: è ciò che oggi rimane di S. Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein; ma in maniera simbolica, perché di lei effettivamente non c’è più nulla. Un ricordo di tutti quegli innocenti sterminati, e furono milioni, nei lager nazisti. Questo piccolo pugno di polvere si trova sotto il pavimento della chiesa parrocchiale di San Michele, a nord di Breslavia, oggi Wroclaw, a pochi passi da quel grigio palazzetto anonimo, in ulica (via) San Michele 38, che fu per tanti anni la casa della famiglia Stein. I luoghi della tormentata giovinezza di Edith, del suo dolore e del suo distacco. Sulla parete chiara della chiesa, ricostruita dopo la guerra e affidata ai salesiani, c’è un arco in cui vi è inciso il suo nome. Nella cappella, all’inizio della navata sinistra, si alzano due blocchi di marmo bianco: uno ha la forma di un grande libro aperto, a simboleggiare i suoi studi di filosofia; l’altro riproduce un grosso numero di fogli ammucchiati l’uno sopra l’altro, a ricordare i suoi scritti, la sua produzione teologica. Ma cosa resta veramente della religiosa carmelitana morta ad Auschwitz in una camera a gas nell’agosto del 1942? Certamente, ben più di un simbolico pugnetto di polvere o di un ricordo inciso nel marmo. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la sua vicenda è balzata via via all’attenzione della comunità internazionale, rivelando la sua grande statura, non solo filosofica ma anche religiosa, e il suo originale cammino di santità: era stata una filosofa della scuola fenomenologica di Husserl, una femminista ante litteram, teologa e mistica, autrice di opere di profonda spiritualità, ebrea e agnostica, monaca e martire; “una personalità – ha detto di lei Giovanni Paolo II – che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo”. Elevata all’onore degli altari l’11 ottobre 1998, la sua santità non può comprendersi se non alla luce di Maria, modello di ogni anima consacrata, suscitatrice e plasmatrice dei più grandi santi nella storia della Chiesa. Beatificata in maggio (del 1987), dichiarata santa in ottobre, entrambi mesi di Maria: si è trattato soltanto di una felice quanto fortuita coincidenza? C’è in realtà un “filo mariano” che si dipana in tutta l’esperienza umana e spirituale di questa martire carmelitana. A cominciare da una data precisa, il 1917. In Italia è l’anno della disfatta di Caporetto, in Russia della rivoluzione bolscevica. Per Edith il 1917 è invece l’anno chiave del suo processo di conversione. L’anno del passo lento di Dio. Mentre lei, ebrea agnostica e intellettuale in crisi, brancola nel buio, non risolvendosi ancora a “decidere per Dio”, a molti chilometri dall’università di Friburgo dov’è assistente alla cattedra di Husserl, nella Città Eterna, il francescano polacco Massimiliano Kolbe con un manipolo di confratelli fondava la Milizia dell’Immacolata, un movimento spirituale che nel suo forte impulso missionario, sotto il vessillo di Maria, avrebbe raggiunto negli anni a venire il mondo intero per consacrare all’Immacolata il maggior numero possibile di anime. Del resto – e come dimenticarlo? – quello stesso 1917 è pure l’anno delle apparizioni della Madonna ai pastorelli di Fatima. Un filo mariano intreccia misteriosamente le vite dei singoli esseri umani stendendo la sua trama segreta sul mondo. Decisiva per la conversione della Stein al cattolicesimo fu la vita di santa Teresa d’Avila letta in una notte d’estate. Era il 1921, Edith era sola nella casa di campagna di alcuni amici, i coniugi Conrad-Martius, che si erano assentati brevemente lasciandole le chiavi della biblioteca. Era già notte inoltrata, ma lei non riusciva a dormire. Racconta: "Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo "Vita di santa Teresa narrata da lei stessa". Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la verità". Aveva cercato a lungo la verità e l’aveva trovata nel mistero della Croce; aveva scoperto che la verità non è un’idea, un concetto, ma una persona, anzi la Persona per eccellenza. Così la giovane filosofa ebrea, la brillante assistente di Husserl, nel gennaio del 1922 riceveva il Battesimo nella Chiesa cattolica. Edith poi, una volta convertita al cattolicesimo, è attratta fin da subito dal Carmelo, un Ordine contemplativo sorto nel XII secolo in Palestina, vero “giardino” di vita cristiana (la parola karmel significa difatti “giardino”) tutto orientato verso la devozione specifica a Maria, come segno di obbedienza assoluta a Dio. Particolare non trascurabile – un’altra coincidenza? – il giorno in cui la Stein ottiene la risposta di accettazione da parte del convento di Lindenthal, per cui aveva tanto trepidato nel timore di essere rifiutata, è il 16 luglio del 1933, solennità della Regina del Carmelo. Così Edith offrirà a lei, alla Mamma Celeste, quale omaggio al suo provvidenziale intervento, i grandi mazzi di rose che riceve dai colleghi insegnanti e dalle sue allieve del collegio “Marianum” il giorno della partenza per l’agognato Carmelo di Colonia. Il 21 aprile 1938 suor Teresa Benedetta della Croce emette la professione perpetua. Fino al 1938 gli ebrei potevano ancora espatriare, in America perlopiù o in Palestina, poi invece – dopo l’incendio di tutte le sinagoghe nelle città tedesche nella notte fra il 9 e il 10 novembre, passata alla storia come "la notte dei cristalli" – occorrevano inviti, permessi, tutte le carte in regola; era molto difficile andare via. In Germania era già cominciata la caccia aperta al giudeo. La presenza di Edith al Carmelo di Colonia rappresenta un pericolo per l’intera comunità: nei libri della famigerata polizia hitleriana, infatti, suor Teresa Benedetta è registrata come "non ariana". Le sue superiori decidono allora di farla espatriare in Olanda, a Echt, dove le carmelitane hanno un convento. Prima di lasciare precipitosamente la Germania, il 31 dicembre del 1938, nel cuore della notte, suor Teresa chiede di fermarsi qualche minuto nella chiesa “Maria della Pace”, per inginocchiarsi ai piedi della Vergine e domandare la sua materna protezione nell’avventurosa fuga verso il Carmelo di Echt. “Ella – aveva detto – può formare a propria immagine coloro che le appartengono”. “E chi sta sotto la protezione di Maria – lei concludeva –, è ben custodito.” L’anno 1942 segnò l’inizio delle deportazioni di massa verso l’est, attuate in modo sistematico per dare compimento a quella che era stata definita come la Endlösung, ovvero la "soluzione finale" del problema ebraico. Neppure l’Olanda è più sicura per Edith. Il pomeriggio del 2 agosto due agenti della Gestapo bussarono al portone del Carmelo di Echt per prelevare suor Stein insieme alla sorella Rosa. Destinazione: il campo di smistamento di Westerbork, nel nord dell’Olanda. Da qui, il 7 agosto venne trasferita con altri prigionieri nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau. Il 9 agosto, con gli altri deportati, fra cui anche la sorella Rosa, varcò la soglia della camera a gas, suggellando la propria vita col martirio: non aveva ancora compiuto cinquantuno anni.

venerdì 8 agosto 2008

13 - Non Giudicare - "La sapienza del cuore" (di Padre Fabrizio CARLI)


Un primo frutto della benevolenza è di portarci all’adempimento del precetto del Signore: “Non giudicate” (Mt 7,1), che è tanto difficile da mettere in pratica, ma che è pure indispensabile per amare veramente. Si tenga infatti presente che il nostro atteggiamento verso il prossimo viene facilmente influenzato dal primo giudizio che facciamo su di esso. E siccome tale giudizio è immediato e quindi quasi sempre sfugge alla nostra attenzione e alla nostra coscienza, ci troviamo di conseguenza prevenuti nei riguardi del prossimo. Questo va a scapito della verità e della giustizia e costituisce un grave ostacolo all’amore. Il non giudicare, inoltre, ce lo possiamo rendere ancora più difficile perché pensiamo di essere invece tenuti a vedere e giudicare le cose come sono; non possiamo chiudere gli occhi e ignorare quello che avviene attorno a noi: la verità stessa - pensiamo giustamente – esige di essere riconosciuta per quello che è.Non è però difficile capire chi il precetto del Signore non implica di chiudere gli occhi; non ci vieta certamente di prendere atto di ciò che vediamo, di constatare ciò che gli altri dicono o fanno. Così, quando qualcuno compie un’azione evidentemente cattiva, non mi è proibito di pensare che egli compie questa azione cattiva; è certamente un giudizio, questo, che faccio, ma con esso mi limito a constatare un fatto, mi limito a dire: avviene così e così. Normalmente , però, non ci limitiamo ad un giudizio di semplice constatazione: aggiungiamo anche una valutazione sulla persona che compie quella determinata azione, e concludiamo con una condanna della persona medesima.Ebbene, sono proprio questa valutazione e questa condanna che ci vengono proibite dal precetto del Signore. Infatti è contro la verità e quindi contro la giustizia il fare - in questi casi – qualsiasi valutazione, perché non siamo mai in grado di conoscere le intenzioni e le condizioni morali del nostro prossimo; e questo anche quando le apparenze esteriori sembrassero giustificare un determinato giudizio. Prendiamo un esempio dal Vangelo. Al banchetto a cui Simone il fariseo ha invitato Gesù, ad un certo momento si presenta la donna che gli si getta ai piedi. Ebbene, Simone non constata semplicemente il fatto: ma formula un giudizio in cui è implicata una severa condanna, dicendo temerariamente dentro di sè: “Se costui fosse profeta, saprebbe che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice”(Lc 7,39).In questo caso, verrebbe quasi da dire, il non giudicare sarebbe stato troppo per Simone: egli conosceva, infatti, quella donna: eppure come si sbaglia sul suo conto! Di lì a poco Gesù dirà di lei tutto l’opposto proprio perché la donna “non era” come la giudicava Simone, per lei userà parole che potevano essere dettate soltanto dall’infinita delicatezza dell’amore che comprende l’amore.Quanto sia moralmente importante il non giudicare nel senso che si è detto, è indicato anche dalle parole di Gesù, che non si limita a dirci di non giudicare, ma che precisa: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con cui giudicate sarete giudicati e con la misura con la quale misurate sarete misurati” (Mt 7,1-2). Identicamente in san Luca:”Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,37-38). “Non giudicate e non sarete giudicati”: è evidente da questo che il “giudicare” trae sempre con sè una conseguenza dell’ordine morale: chi giudica, commette un atto di ingiustizia, per cui egli viene a sua volta giudicato e condannato dall’eterna verità e dall’eterna giustizia.Il cuore buono, il cuore pieno di benevolenza, non ha però bisogno di essere ammonito delle conseguenze morali che derivano dal giudicare: esso si astiene da ogni giudizio perché comprende che il voler bene incomincia già in quel primo atto interiore con cui si accetta e si abbraccia ogni persona come è e per quello che è, senza passarla attraverso il filtro di un giudizio: infatti il giudicare equivale a costituire se stessi giudici di fronte ad un imputato. E noi non possiamo essere giudici di nessuno: noi dobbiamo soltanto amare.È qui il caso di ricordare le parole di san Paolo ai Corinzi: “A me poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano; anzi io neppure giudico me stesso, perché, anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio” (1 Cor 4,3-5).Lo stesso apostolo ammonisce altrove gravemente: “Sei inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose… Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio?” (Rm 2, 1-3).

giovedì 7 agosto 2008

A Te (di Padre Valter ARRIGONI)



“O Dio, che nella compassione del tuo figlio verso i poveri e i sofferenti manifesti la tua bontà paterna, fa’ che il pane moltiplicato dalla tua provvidenza sia spezzato nella carità, e la comunione ai tuoi santi misteri ci apra al dialogo e al servizio verso tutti gli uomini”
La preghiera della colletta (dal latino “colligere” che significa “mettere insieme” perché arriviamo a Messa sparpagliati, ognuno per i fatti suoi ed occorre fare comunione) di questa diciottesima domenica, pone l’accento sulla stretta unità che i veri uomini di Dio devono vivere fra la preghiera e la dimensione spirituale della fede e il suo riflesso nella vita d’amore verso tutti i fratelli specialmente i più poveri. Carità e dialogo sono le conseguenze del nostro essere di Dio. Del nostro ricevere da Lui.
Nella prima lettura il profeta Isaia usa il termine denaro in due accezioni diverse.
“Chi non ha denaro venga ugualmente” dice Dio ai poveri, agli emarginati, a coloro che non erano mai invitati ai banchetti dei ricchi, dei nobili, dei “giusti” ed anche all’invito di YHWH di partecipare al suo banchetto, il più bello ed il più abbondante di tutti, stavano timorosi a guardare sulla soglia della porta senza il coraggio di entrare. A loro YHWH si rivolge invitandoli ad entrare perché Lui non tiene conto di quanto uno ha, del suo censo, ma di chi uno è. Ed essendo persona, essere umano, è Sua immagine e somiglianza. Nessuno ha il diritto di escludere nessuno dal banchetto di Dio e neppure dal proprio banchetto. Troppo spesso vedo i ricchi scegliersi fra di loro. Addirittura al telegiornale spesso ho sentito la frase “di buona famiglia” parlando dei ragazzi violenti, stupratori, spacciatori, e si indicava una famiglia ricca. Bene e denaro non vanno d’accordo. Gesù spesso ha parole dure contro i ricchi. Nella Bibbia sono spesso maledetti da Dio. San Giacomo arriva ad invitarli a piangere sulle loro ricchezze. Tutto questo perché la ricchezza falsifica, come il potere, i rapporti. Il ricco pensa di poter comprare tutto. Che tutto dipenda da lui. Che le persone che gli stanno intorno sono oggetti come tutti gli oggetti che ha, siano tutti alle sue dipendenze come i suoi impiegati. Ma c’è una maledizione legata alla ricchezza che fa giustizia. Coloro che stanno intorno al ricco raramente sono sinceri. Sono come i parassiti che vivono dell’animale più grosso. Anche i figli ed i fratelli non vedono l’ora che muoia per togliergli fino all’ultimo granello di polvere e, come dice il libro della Sapienza, per sperperarlo in poche ore.
L’altro senso della parola denaro che usa Isaia è la vita, il tempo, l’esistenza.
“Perché spendete il vostro denaro per ciò che non sazia?”. Perché correte dietro alle cose inutili? A ciò che oggi c’è e domani svanisce? Leggendo le righe poco sopra qualcuno può essere indotto a pensare che non avendo un reddito ad un certo livello non appartiene alla categoria dei ricchi. L’essere ricco o povero prima che nel portafoglio nasce nel cuore. Ci sono persone che provano solo invidia per chi ha di più. Certe volte penso ad alcuni politici pronti a fare la rivoluzione non per ridistribuire ai poveri ma per entrare nella cerchia dei ricchi e dei potenti. Ognuno di noi che spreca il suo tempo, la sua vita dietro all’inutile ed al superfluo è ricco, maledettamente ricco.
Il salmo responsoriale dice che Dio è “paziente e misericordioso, lento all’ira e ricco di grazia. Buono tenero, provvidente, vicino a quanti lo invocano e lo cercano, che sazia la fame di ogni essere vivente”.
L’apostolo Paolo ai cristiani di Roma scrive che nulla può separarci dall’amore di Cristo “né tribolazione, né angoscia, persecuzione, fame, pericolo, nudità, spada, in virtù di Colui che ci ha amati”.
Gesù dopo essersi ritirato in disparte, da solo, a pregare vide le folle che lo avevano seguito e ne provò compassione tanto che li nutre moltiplicando per essi pane e pesci.
Questa pagina di vangelo è in stretta correlazione con la pagina che ci parla dell’ultima cena e dell’istituzione dell’Eucaristia. Gli stessi verbi “prese, spezzò, rese grazie”. Gli stessi protagonisti: “Gesù ed i suoi discepoli” ma ciò che viene donato è completamente diverso. In questo miracolo è il cibo del pane e dei pesci. Nella Comunione è il corpo ed il sangue di Gesù. Qui ci dona le cose là si dona tutto a noi.
Mi è sempre piaciuta la frase che dice ai suoi discepoli e che in italiano suona “date loro voi stessi da mangiare”. Mi piace pensare a quel “voi stessi” non come il soggetto ma come il complemento oggetto del dare da mangiare. L’uomo di Dio si fa mangiare dal prossimo, diventa la risposta non teorica, non a parole ma con la sua carne, con la sua vita, i giorni, gli anni, il tempo.
Da quando sono qui all’eremo sinceramente non ho mai pensato al ritorno in città. Non l’ho desiderato e poiché l’idea non mi piaceva la allontanavo. Adesso si avvicina il ritorno. Tra un mese! E mi è chiaro che Dio non si è dato a me perché me lo tenessi stretto al cuore come una cosa. L’atteggiamento del ricco malvagio che con dita adunche si tiene strette le sue cose. L’atteggiamento del ricco maledetto che semina solo odio, divisione, menzogna e diffidenza anche in casa sua.
Non si può avere questo stesso modo di essere nei confronti di Dio. Dio si dona perché noi lo doniamo.
L’Abate Rea, di Montecassino, grande abate e santo, quando si presentava all’Abbazia un giovane per diventare monaco, gli chiedeva se non era mai stato innamorato. Se quello rispondeva di no lo rimandava a casa dicendo “che non può amare Dio chi non ha mai provato un amore umano”.
Come si può amare Dio se non lo si conosce e come si può conoscerlo se nessuno ne parla. Io lodo il Signore perché si è donato, si è fatto conoscere. Adesso devo, è un imperativo categorico,darlo, farlo conoscere, farlo incontrare a chi mi incontra. Tutti. Soprattutto coloro che sono poveri, davvero poveri, infelici, soli. Coloro che non sono mai stati invitati perché ci si vergogna di loro.
Da alcuni giorni mi accompagna una canzone. Vorrei lasciarvela come compagna di viaggio nella vita di queste vacanze.
L’ha scritta un uomo veramente innamorato della propria moglie. Io la uso come preghiera perché penso quelle parole bellissime come rivolte a Dio. Vorrei essere capace di dire a Dio le stesse emozionanti, profonde, vere cose.
La ricerca dell’amore è già in se stessa ricerca di Dio perché Dio è amore

“A te che sei l’unica al mondo, l’unica ragione,
per arrivare fino in fondo ad ogni mio respiro.
Quando ti guardo dopo un giorno pieno di parole,
senza che tu mi dica niente,
tutto si fa chiaro.
A te che mi hai trovato all’angolo coi pugni chiusi,
con le mie spalle contro il muro pronto a difendermi.
Con gli occhi bassi stavo in fila con i disillusi
tu mi hai raccolto come un gatto e mi hai portato con te.
A te io canto una canzone perché non ho altro,
niente di meglio da offrirti di tutto quello che ho.
Prendi il mio tempo e la magia che con un solo salto
ci fa volare dentro all’aria come bollicine.
A te che sei, semplicemente sei sostanza dei giorni miei, sostanza dei giorni dei miei.
A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande,
a te che hai preso la mia vita ne hai fatto molto di più.
A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo.
A te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore.
A te che io ti ho visto piangere nella mia mano,
fragile che potevo ucciderti stringendoti un po’.
E poi ti ho visto con la forza di un aeroplano, prendere in mano la tua vita e trascinarla in salvo.
A te che mi hai insegnato i sogni e l’arte dell’avventura.
A te che credi nel coraggio anche nella paura.
A te che sei la miglior cosa che mi sia successa.
A te che cambi tutti i giorni e resti sempre la stessa.
A te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei.
A te che sei, essenzialmente sei, sostanza dei sogni miei, sostanza dei giorni miei.
A te che non ti piaci mai e sei una meraviglia,
le forze della natura si concentrano in te.
Che sei una roccia, sei una pianta, sei un uragano,
sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano.
A te che sei l’unica amica che io posso avere,
l’unico amore che vorrei se io non ti avessi con me.
A te che hai reso la mia vita bella da morire,
che riesci a render la fatica un immenso piacere.
A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande.
A te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più.
A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo.
A te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore
A te che sei semplicemente sei sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei.
E te che sei, semplicemente sei, compagna dei giorni miei, sostanza dei sogni miei.”

è amore, cioè è Dio.
Valter Arrigoni

lunedì 4 agosto 2008

Benedetto XVI - Angelus


Piazza Duomo, Bressanone

Domenica, 3 agosto 2008


Cari fratelli e sorelle, un cordiale benvenuto a tutti!


Mi preme innanzitutto dire una parola di profondo ringraziamento, in primo luogo a Lei, caro Vescovo Egger: Lei ha reso possibile qui questa festa della fede. Lei ha fatto sì che io potessi ancora una volta quasi tornare indietro nel mio passato ed allo stesso tempo andare avanti nel mio futuro; una volta ancora trascorrere le mie vacanze nella bella Bressanone, questa terra dove arte e cultura e bontà della gente sono tra loro collegati: un sentito ringraziamento per tutto questo! E naturalmente ringrazio tutti coloro che, insieme a Lei, hanno contribuito a far sì che io possa trascorrere qui giorni di pace e di serenità: grazie a tutti coloro che hanno insieme organizzato questa festa! Ringrazio di cuore le Autorità della città, della regione e dello Stato per quello che hanno fatto per l’organizzazione; i volontari che offrono il loro aiuto, i medici, tante persone che sono state necessarie, in particolare anche le Forze dell’ordine; ringrazio per la collaborazione di tutti ... Sicuramente ho dimenticato tante persone! Che il Signore ne renda merito a voi tutti: siete tutti nella mia preghiera. E’ questo l’unico modo che ho di ringraziarvi. E naturalmente ringraziamo soprattutto il buon Dio, che ci ha donato questa terra e che ci ha donato anche questa domenica inondata di sole. Ed ecco che siamo così arrivati alla Liturgia del giorno. La prima Lettura ci ricorda che le cose più grandi di questa nostra vita non possono essere acquistate né pagate, perché le cose più importanti ed elementari della nostra vita ci possono soltanto essere donate: il sole e la sua luce, l’aria che respiriamo, l’acqua, la bellezza della terra, l’amore, l’amicizia, la vita stessa. Tutti questi beni essenziali e centrali non possiamo comprarli, ma ci sono donati. La seconda Lettura poi aggiunge che ciò significa che ci sono anche cose che nessuno ci può togliere, che nessuna dittatura, nessuna forza distruttrice ci può rubare. L’essere amati da Dio, che in Cristo conosce e ama ciascuno di noi; nessuno ce lo può portare via e finché abbiamo questo, non siamo poveri, ma ricchi. Il Vangelo aggiunge un terzo passo. Se da Dio riceviamo doni così grandi, a nostra volta dobbiamo donare: in ambito spirituale dando bontà, amicizia e amore, ma anche in ambito materiale – il Vangelo parla della divisione del pane. Queste due cose devono oggi penetrare nella nostra anima: dobbiamo essere persone che donano, perché siamo persone che ricevono; dobbiamo trasmettere agli altri il dono della bontà e dell’amore e dell’amicizia, ma al tempo stesso a tutti coloro che hanno bisogno di noi e che possiamo aiutare, dobbiamo dare anche doni materiali e cercare così di rendere la terra più umana, cioè più vicina a Dio.
Ora, cari amici, vi invito a fare insieme con me memoria devota e filiale del Servo di Dio, il Papa Paolo VI, di cui, fra tre giorni, commemoreremo il 30° anniversario della morte. Era infatti la sera del 6 agosto 1978 quando egli rese lo spirito a Dio; la sera della festa della Trasfigurazione di Gesù, mistero di luce divina che sempre esercitò un fascino singolare sul suo animo. Quale supremo Pastore della Chiesa, Paolo VI guidò il popolo di Dio alla contemplazione del volto di Cristo, Redentore dell’uomo e Signore della storia. E proprio l’amorevole orientamento della mente e del cuore verso Cristo fu uno dei cardini del Concilio Vaticano II, un atteggiamento fondamentale che il venerato mio predecessore Giovanni Paolo II ereditò e rilanciò nel grande Giubileo del 2000. Al centro di tutto, sempre Cristo: al centro delle Sacre Scritture e della Tradizione, nel cuore della Chiesa, del mondo e dell’intero universo. La Divina Provvidenza chiamò Giovanni Battista Montini dalla Cattedra di Milano a quella di Roma nel momento più delicato del Concilio – quando l’intuizione del beato Giovanni XXIII rischiava di non prendere forma. Come non ringraziare il Signore per la sua feconda e coraggiosa azione pastorale? Man mano che il nostro sguardo sul passato si fa più largo e consapevole, appare sempre più grande, direi quasi sovrumano, il merito di Paolo VI nel presiedere l’Assise conciliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movimentata fase del post-Concilio. Potremmo veramente dire, con l’apostolo Paolo, che la grazia di Dio in lui “non è stata vana” (cfr 1 Cor 15,10): ha valorizzato le sue spiccate doti di intelligenza e il suo amore appassionato alla Chiesa ed all’uomo. Mentre rendiamo grazie a Dio per il dono di questo grande Papa, ci impegniamo a far tesoro dei suoi insegnamenti.


[Nell’ultimo periodo del Concilio, Paolo VI ha voluto rendere un omaggio particolare alla Madre di Dio e l’ha solennemente proclamata “Madre della Chiesa”. A lei, alla Madre di Cristo, alla Madre della Chiesa, a nostra Madre, ci rivolgiamo adesso con la preghiera dell’Angelus.]

domenica 3 agosto 2008

Liturgia della XVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Vangelo Mt 14, 13-21
Tutti mangiarono e furono saziati.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

venerdì 1 agosto 2008

12 - La benevolenza - "La sapienza del cuore" (di Padre Fabrizio CARLI)


Dallo sforzo costante di vedere sempre nella luce migliore il nostro prossimo, dalla tendenza a cercare tutti i motivi e le ragioni che ci inducono ad amare, dalla volontà che inclini continuamente al bene, nasce quella disposizione interiore che è la benevolenza. Questa bella parola, di contenuto squisitamente cristiano, viene subito intesa nel suo significato profondo, perché fa immediatamente appello al cuore.E difatti possiamo ora dire, il cuore buono è precisamente il cuore colmo di benevolenza. Col vedere continuamente il bene, nasce nell’animo umano un costante atteggiamento di completa apertura e totale disponibilità verso il prossimo, per cui ci si sente vicini a tutti, anche quando si è soli, anche quando non si hanno rapporti speciali con le altre persone; non si sente nessuno estraneo, non si frappone nessuna barriera fra sé e gli altri, pronti ad abbracciare tutti col proprio amore.Una simile disposizione interiore ha un’efficacia particolare anche sull’atteggiamento esteriore dell’uomo. Avviene sempre, almeno in una certa misura, che i nostri stati d’animo, i nostri sentimenti anche più riposti, gli stessi nostri pensieri si rispecchino all’esterno e si leggano sul volto, nello sguardo, nel gesto. Così è del sentimento costante di benevolenza nutrito nel cuore: esso segna di un impronta caratteristica ed efficace tutto il nostro atteggiamento, per cui si giunge a fare del bene anche senza accorgersene. Se siamo sempre benevolenti, se abbiamo veramente un cuore buono, le persone che ci avvicinano si sentono disporre meglio, si trovano a loro agio, provano un non so che di benessere e distensione, portano via qualcosa che li placa e li rasserena.E se dovessero dire da che cosa proviene questa loro distensione d’animo, questo senso di benessere spirituale, non lo saprebbero. Non dipende neppure da quello che diciamo o consigliamo, dall’atteggiamento particolare che assumiamo di fronte a loro: viene spontanea dall’intima benevolenza del cuore che irradia e crea quell’atmosfera in cui le anime si trovano a loro agio.Possiamo così fare continuamente del bene anche senza un apostolato specifico: possiamo cioè essere apportatori di distensione e di serenità costante nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nei nostri ambienti di lavoro, in ogni rapporto con il nostro prossimo. Nel clima di tensioni e di irrigidimenti, di sconforto e di pessimismo per tante situazioni che talvolta ci sconvolgono nella nostra società così violenta, quando ci si trova insieme è facile che le tensioni crescano, perché, ce le aumentiamo reciprocamente. Quanto bene può fare, allora, un cuore buono! Esso infatti riesce a calmare le tensioni, a smussare l’aggressività a dare fiducia, a far sentire che anche di fronte alle situazioni più sconvolgenti vi è pur sempre ragione di sperare. Un cuore buono è di per sé la risposta più bella e più vera al pessimismo e allo sconforto; è la dimostrazione più efficace che al mondo vi è ancora la bontà a dare senso, bellezza, valore e calore alla vita.