venerdì 16 gennaio 2009

"Sfida al Cardinal Bagnasco" (di Maria Petti)

Bus ateo scossa ai credenti
(Di Franco Garelli, tratto da “La Stampa” di Mercoledì, 14 Gennaio 2009)


E ora, dopo i bus atei, ci saranno quelli della fede? La campagna pro-incredulità promossa a Genova, che dal 4 febbraio vedrà due linee di autobus tappezzate da scritte che «di Dio si può fare a meno», armerà i muscoli di quanti sono allergici agli slogan choc contro il sacro? L’iniziativa che non ha precedenti nel nostro Paese è dell’Unione degli atei e dei razionalisti italiani (Uaar), vogliosa di ristabilire la par condicio «comunicativa» sulle questioni religiose, spingendo i mass media a dar risalto non solo ai messaggi della Chiesa ma anche alle posizioni dei «senza religione».
Il vento dell’ateismo spira dunque ancor forte in Italia e attraverso questa iniziativa intende far breccia soprattutto nel capoluogo ligure da qualche tempo diventato il simbolo di una contesa.
La contesa tra la pretesa della Chiesa cattolica di rappresentare i sentimenti più autentici degli italiani e un’area laica che rivendica la propria esistenza e presenza nella società pluralistica. È fin troppo evidente che questa campagna sull’inesistenza di Dio è una specie di sfida atea in casa del cardinal Bagnasco, vescovo della città e presidente della Cei, reo d’essersi dimostrato poco tenero nei confronti di alcune minoranze culturali. In giugno la curia genovese ha fatto di tutto per ostacolare lo svolgimento del Gay Pride in quella città, fissato nello stesso giorno del Corpus Domini. Inoltre, il prelato ha più volte ribadito le posizioni della Chiesa sui temi cari ai cattolici (famiglia, vita, bioetica, eterosessualità, scienza), sminuendo - questa l’accusa - quanti hanno orientamenti diversi. La campagna pubblicitaria s’iscrive quindi nel clima ad alta tensione che da qualche tempo caratterizza i rapporti tra Chiesa e mondo laico, parte del quale reagisce con fastidio a una Chiesa sempre più protagonista nel campo culturale ed etico, e che continua a identificare l’Italia tout court con l’Italia cattolica. Come ci dice il mercato editoriale, oggi il libro di argomento religioso vende bene, ma a un doppio livello: non soltanto i testi di spiritualità o che parlano a favore della fede, ma anche i pamphlet che denunciano le ingenuità di una religione ancora arcaica e incantata e quelli che denunciano lo strapotere clericale nella società.
Genova e l’Italia, comunque, non detengono il primato della svolta antireligiosa e anticlericale. Da tempo iniziative analoghe sono presenti in alcune metropoli del mondo, tra cui Londra, Washington e varie città spagnole. Si tratta di rigurgiti o reazioni a gruppi religiosi che manifestano attivamente nella società pluralistica le proprie convinzioni, che si mobilitano contro il divorzio e l’aborto, portatori di quella cultura pro-life che tende a contrastare quella pro-choice. In Belgio, addirittura, gruppi di atei hanno da tempo costituito una sorta di associazione para-religiosa a difesa dei propri orientamenti e valori, rivendicando dallo Stato un finanziamento pubblico alla stessa stregua di quello accordato alle diverse confessioni religiose. Anche l’ateismo può essere un oggetto di propaganda, come le chiese promuovono i valori religiosi. Anche l’Italia, dunque, sembra partecipare di tendenze presenti in ogni dove.
A ben guardare, la pubblicità pro-ateismo può anche servire alla causa della fede religiosa. Nel senso che può scuotere dall’indifferenza molti credenti per caso o per tradizione, che si trascinano nel tempo un vago orientamento di fede senza un’adeguata riflessione e approfondimento. La promozione dell’incredulità può anche spingere qualcuno a uscire da uno stallo sulla questione religiosa che gli impedisce una più piena comprensione di sé e del mondo. Forse è anche guardando a questa opportunità che gli ambienti ecclesiali (sia genovesi che nazionali) non hanno troppo preso sul serio l’iniziativa, per cui non è detto che essa dia il via a una catena di reazioni, che, nel caso specifico, arricchirebbe le aziende di trasporto delle nostre città. I bus atei ci possono stare, rientrano nella provocazione creativa, se dietro essi non si nasconde una crociata di cattiverie contro la religione e la Chiesa.
Articoli come questi non mi fanno rabbia, dispiacere sì; ma è anche vero che la fede è un dono e che atei e credenti vedono l’uomo, la vita, il mondo, tutto ciò che ci circonda in maniera opposta. Peccato però che queste persone intelligenti e razionali, che hanno fatto della loro presunta intelligenza un dio, non sanno dare un significato alla gioia, alla vita (il massimo delle loro aspirazioni può essere “godiamocela finché possiamo!”, sì, va bene, ma poi?!), ma soprattutto al dolore, alla morte e, contraddizione delle contraddizioni, a se stesse.
Questi sono articoli che non mi fanno certo perdere la fede, e nemmeno ci riescono le “intellighenzie” che stanno dietro a queste iniziative, anzi… mi spingono ad aggrapparmi ad essa ancora di più e sperimento ancora più forte il dono che mi è stato fatto e a dare Dio e tutto ciò che lo riguarda meno scontato. Eh sì perché, a ben pensarci, e lo dico soprattutto a me stessa, l’abitudine per un credente è molto pericolosa: si rischia, senza accorgersene, di finire ad adorare un Dio di carta, mentre Dio si è fatto carne, altro che carta! Sono polemica? Ma se non lo si è per ciò che riguarda le cose di Dio, per chi o cosa lo si deve essere?! Ognuno è libero di scegliere ciò che vuole, però scusate, e lo dico spassionatamente, io ho scelto Dio al nulla.

Maria Petti

giovedì 15 gennaio 2009

"Riflessioni" (di Lucia Fretta)

Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione della sorella Lucia Fretta, impegnata in prima linea nel progetto "Agape Fraterna" ed in quello più gioioso, ma non meno importante, della musica, canto ed animazione "Granelli di Sabbia".

Ciao a tutti, volevo inviarvi queste lettere di San Giovanni che erano le letture delle messe della settimana scorsa dopo l'Epifania; penso che dicano qualcosa di importante e di utile anche per noi sia come persone che vivono nel mondo a contatto ogni giorno con gli altri uomini (anche se non li conosciamo) sia come gruppo di fratelli... penso che veramente ci possono aiutare a riflettere e a pensare... personalmente mi metto in discussione e penso soprattutto che, se ci vogliamo bene in Gesù, dobbiamo continuare a crescere insieme se ci teniamo ed essere sinceri e leali gli uni verso gli altri... amarci e rispettarci perchè se mettiamo questo fondamento sempre ed esclusivamente unito alla semplice preghiera (sottolineo PREGHIERA) si può costruire la casa sulla roccia e quindi qualsiasi tipo di tempesta arriverà si potrà affrontarla ed annientarla... credo molto in questo e sono più che sicura che le cose che vengono da Dio e coltivate solo in Lui possano andare avanti!!!!
Lucia Maria Fretta.
7 GENNAIO
FERIA DEL TEMPO DI NATALE DOPO L'EPIFANIA
MESSALE
Prima Lettura 1 Gv 3,22 - 4,6
Mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono da Dio.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.
Carissimi, qualunque cosa chiediamo la riceviamo dal Padre, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato. Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Costoro sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore.
8 GENNAIO
FERIA DEL TEMPO DI NATALE DOPO L'EPIFANIA
MESSALE
Prima Lettura 1 Gv 4, 7-10
Dio è amore.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
9 GENNAIO
FERIA DEL TEMPO DI NATALE DOPO L'EPIFANIA
MESSALE
Prima Lettura 1 Gv 4, 11-18
Se ci amiamo gli uni agli altri, Dio rimane in noi.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. Per questo l'amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore.
10 GENNAIO
FERIA DEL TEMPO DI NATALE DOPO L'EPIFANIA
MESSALE
Prima Lettura 1 Gv 4,19 - 5,4
Chi ama Dio, ami anche il suo fratello.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, noi amiamo Dio, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello. Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede.
DOMENICA DOPO L'EPIFANIA
BATTESIMO DEL SIGNORE

Seconda Lettura 1 Gv 5, 1-9
Lo Spirito, l'acqua e il sangue.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e os­serviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio.

mercoledì 14 gennaio 2009

Pietro e il Signore dei miracoli – “In compagnia di Pietro” (di Padre Fabrizio Carli)

Quasi tutti noi abbiamo sentito parlare delle cose grandi e meravigliose che il Signore può realizzare; abbiamo certo sentito parlare dei miracoli che avvengono in tutte le parti del mondo e in fondo nessuno di noi dubita che Dio, creatore di tutte le cose, possa fare miracoli.
Tuttavia, spesso pensiamo che Dio li faccia agli altri e non a noi. Io credo che Pietro, incontrando Gesù, fosse di questa stessa idea; e così una mattina piena di sole, quando il Signore salì sulla barca di Pietro per predicare da lì, questi rimase ammirato dalle sue parole. Che bel modo di parlare -pensò- come di uno che ha autorità. Di certo Pietro non si sarebbe mai aspettato che Gesù, ad un certo punto, gli dicesse: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca” (Lc. 5,4). Simone prontamente rispose: “Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti” (Lc. 5,5).
Anche se con molto rispetto, Pietro tra le righe dice a Gesù: “Signore, tu sei un falegname, un grande oratore, un grande maestro di Israele; però sono io il pescatore, io conosco il mare, so quello che produce e so anche che la pesca in pieno giorno è un’assurdità, una perdita di tempo; però per farti piacere getterò le reti”.
Indubbiamente, dopo il sermone di Gesù, era nata in Pietro la volontà di cambiare, ma non era così facile, come non lo è per noi. Come Pietro, tutti ci portiamo dietro un gran bagaglio di vizi, di atteggiamenti e di abitudini che ci intralciano nel compiere la volontà di Dio, ed è Cristo che ci aiuta a spogliarci di quello che ci è di impedimento nel seguirlo; possiamo dire che, in qualche modo, il Signore si serve delle circostanze della nostra vita ponendole al servizio del suo progetto per noi.
Il Signore, quel giorno, aveva approfittato del fatto che Simone e gli altri non avessero pescato nulla per operare un prodigio così grande da spingerli a confrontarsi con lui, con la sua verità. E così, gettate le reti in mare, pescarono una grande quantità di pesce, tanto che le reti si rompevano ed essi dovettero chiamare in aiuto i compagni dell’altra barca, che pure si riempì tanto che quasi affondava. L’evangelista Luca racconta che, vedendo ciò, Simon Pietro cadde in ginocchio davanti a Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc. 5,8).
Pietro aveva seguito senza convinzione l’invito di Gesù, ma adesso, come tutti quelli che erano con lui, era colto da grande stupore per la pesca che aveva fatto.
Allora Gesù disse a Pietro: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc. 5,10b). Ed essi tirarono le barche a terra e, lasciando tutto, lo seguirono.
Molte volta noi, che pure abbiamo voluto seguire il Signore, ci sentiamo “vuoti” di Gesù; vorremmo che egli controllasse la nostra vita, che vivesse in noi; combattiamo contro noi stessi, ma questo ci scoraggia. È necessario che venga il Cristo, vivo e realmente presente fra noi, a toccare la nostra vita con la sconvolgente esperienza di lui, perché possiamo sperimentare la sua presenza, la sua potenza, la sua signoria. Facendosi presente nella nostra vita, ci porta a riflettere profondamente sulla nostra realtà.
Questo è ciò che successe a Pietro. Quando ascoltò Gesù, egli lo sedusse. Quando gli disse di gettare le reti, Pietro, pur dubitando, obbedì, ma davanti a quella miracolosa pesca, egli non poté far altro che cadere in ginocchio e riconoscere apertamente la grandezza di Gesù e la propria piccolezza.
È quello il momento in cui Pietro scopre e accetta il suo essere peccatore e riconosce di non essere degno di stare accanto al Signore; allo stesso tempo Gesù gli mostra la sua infinita misericordia e gli ribatte la promessa di usarlo a servizio del Regno.
Chi non compie, nella sua vita, questo medesimo processo, non potrà avanzare molto sulla via del Signore. Finché ci sentiamo buoni, normali, senza problemi, non avremo nemmeno bisogno di Gesù.
Dobbiamo arrivare a sentire il nostro cuore spezzarsi per il dolore del peccato, per poter gridare con il salmista: Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia preghiera (Sal. 130,1-2).
Solo così, in queste condizioni, potrai aprire pienamente il cuore alla misericordia del tuo Dio.
Attraverso l’esperienza della pesca miracolosa Pietro scoprì un’altra realtà: Gesù gli andava rivelando quale sarebbe stata realmente la sua missione. Nel momento in cui il Signore aveva dato a Simone il nome di Pietro e gli aveva detto che sarebbe stato la roccia su cui edificare la Chiesa, non aveva certo chiarito le idee all’apostolo riguardo a ciò che voleva da lui. In questo caso, invece, Gesù è più preciso e conforta il cuore di Pietro: “D’ora in poi sarai pescatore di uomini”.
Che grande impressione per Pietro, che vedeva la sua miseria e il suo peccato, ascoltare quella voce meravigliosa che diceva: “Dimentica il tuo peccato perché io lo guarisco. Comincia a camminare, mettiti al lavoro, perché ho bisogno che il mio amore giunga agli uomini per mezzo di te. Da adesso userai una nuova esca per pescare, cioè l’annuncio del Regno dei cieli”. Sembra quasi incredibile il destino che il Signore ha preparato per quelli che confidano in lui! Appena lo scopriamo possiamo dire con San Paolo: Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo e ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: Chi si vanta si vanti nel Signore (1Cor. 1,27-31).
Una terza conseguenza deriva da questo incontro con il Signore dei miracoli: Pietro, infatti, non si preoccupa di recarsi al mercato con tutto quel pesce per concludere l’’affare della sua vita e nemmeno propone a Gesù di diventare suo socio e fondare quella che oggi definiremmo una “multinazionale”. Era come se all’improvviso per Pietro, pescatore da una vita, la pesca e il pesce non avessero più alcuna importanza: ciò che veramente contava era seguire Gesù, in quel momento egli si consegnava totalmente a lui e, lasciando tutto, lo seguì.
Il Vangelo ci parlerà poi della barca di Pietro, della sua casa e perfino di sua suocera; ed è allora che ci si domanda: che cosa ha in realtà lasciato Pietro? Oggi si sente spesso parlare di povertà radicale, ma dobbiamo capire quello che gli apostoli lasciarono per poterli imitare: Pietro lasciò Pietro.
Egli consegnò il suo cuore e il suo spirito a Dio.
Scoprì che la cosa più grande nella sua vita era la necessità che aveva dell’amore di Dio; scoprendo questo, tutto il resto passò in second’ordine nella sua vita, ed egli trovò la sua vera dimensione. La sua barca e la sua casa divennero luoghi d’incontro con Gesù, dove cresceva e si sviluppava la comunità d’amore sotto la guida del Salvatore.
Signore Gesù, anche noi ti abbiamo scoperto, perché tu con prodigi e segni, hai chiamato ognuno di noi per nome e ci hai affidato una missione. Dacci, Signore, umiltà per riconoscere la nostra piccolezza confrontata con la tua gloria, e per poterci vantare solo in te. Dacci coraggio e generosità per rinunciare al nostro io e affidarti tutto il nostro essere, pienamente e totalmente, senza rancori e senza sotterfugi.
Fa' che quelle cose che ci appartengono diventino secondarie e che le usiamo solo per incontrarci con te, nell’amore per i nostri fratelli. Aiutaci a “pescare”, Signore, per te e con il tuo stile, tutte le persone che incrociano la nostra strada; e fa' che, alla fine della nostra giornata, possiamo dire: “Siamo servi, non dobbiamo far altro che compiere il nostro dovere”. Con la speranza che tu, Signore nostro, ci dica con infinita tenerezza: “Vieni, servo buono e fedele, a godere della gloria del tuo Signore”.

Domanda:
Gesù, come Pietro, ti sta cambiando e ha compiuto meraviglie nella tua vita. Te ne sei reso conto? Come?

MEDITAZIONE
Rifletti:
- se hai trovato la vera dimensione di tutto quello che ti circonda;
- su che cosa hai lasciato in realtà per seguire Gesù.

TRACCE DI RIFLESSIONE

Per mezzo dei suoi miracoli, il Signore insegna che chi si dedica al suo apostolato sarà pescatore di uomini. Io vedo con quanto amore e con quanta gioia, nella mia comunità, molti fratelli si impegnano nell’evangelizzazione. Osservo anche che alcuni si stancano presto. Sarà il peso dei peccati?
Gesù ci ha chiamati senza considerare il nostro peccato e la sua chiamata serve a convertirci, a farci lavorare per il suo Regno e così dargli gloria.
Noi ci sentiamo spesso coloro che sono scelti, ma gli rispondiamo come lui vuole? Quanti, finora, abbiamo evangelizzato? Credo ben pochi. Io confesso che non sempre ho approfittato del mio tempo per realizzare ciò che Gesù vuole; tuttavia, quando lo faccio, Dio mi aiuta e mi ascolta guidandomi attraverso lo Spirito Santo.
Signore, riconosco di aver urgenza del tuo amore.
Continua a trasformare la mia opaca esistenza. Fa’ che possa brillare con la luce della tua presenza.
Signore, per poterti incontrare, ho dovuto rendermi conto della mia piccolezza; vicino a te che sei il Signore comprendo la tua immensa bontà perché, malgrado la mia miseria, ti occupi di me, mi aiuti, mi consoli nelle mie angosce, mi accogli fra le tue braccia nei momenti di debolezza. Sempre, quando ho bisogno di te, tu sei pronto ad aiutarmi. Adesso capisco che, durante tutta la mia vita, anche se non lo sapevo, tu eri sempre vicino a me; ma adesso mi rendo conto che tutti i giorni mi fai “partecipe” dei tuoi miracoli, che continuamente posso ringraziarti per qualche cosa, talvolta anche di cose tanto insignificanti che sembra impossibile che tu te ne curi. Vorrei ricambiare in qualche modo, ma che potrei fare per te, Signore? È così poco quello che sono capace di fare; ma voglio darti il mio cuore e tutto il mio essere e voglio incontrarmi con te in ogni momento del giorno e servirti e lodarti tutti i giorni della mia vita.

martedì 13 gennaio 2009

CHE COSA CERCATE? (di Padre Valter Arrigoni)

Comincia con questa domenica il tempo ordinario. Dovremmo esserci riempiti di stupore, di meraviglia, di pace, di gioia, di serenità in questi giorni dedicati al mistero del Dio fattosi uomo. Dovremmo avere lasciato spazio a Gesù nella nostra vita e nel nostro cuore per riempire di Lui gli spazi di desiderio. Aver trovato in Cristo le risposte alle nostre domande. Dovremmo riprendere la quotidianità del lavoro, dei rapporti nella famiglia, nei luoghi dove lavoriamo o studiamo, fino a dove facciamo la spesa. Dovremmo aver cambiato il nostro modo di stare in ascensore con i nostri vicini di casa. Dovrebbe trasparire anche dal nostro volto la gioia di chi ha incontrato Dio, sua Madre, san Giuseppe, gli angeli. Le nostre strade dovrebbero essere piene di Re Magi, di pastori che ritornano dalla mangiatoia e dalla casa dove abbiamo, come loro, visto con i nostri occhi e toccato con le nostre mani il Verbo di Dio fatto uomo. Se non è così allora significa che anche questo tempo di Natale è passato inutilmente. Gesù è passato, ha bussato ma noi non gli abbiamo aperto. Forse non lo abbiamo sentito perché assordati dai rumori delle nostre case dove si brindava al nuovo anno ed ancor prima delle mense di Natale. Non lo abbiamo visto troppo presi dal guardare i regali ricevuti, dall’aprire i pacchetti colorati dove era riposta la nostra gioiosa speranza di ricevere ciò che si voleva. I nostri bambini erano distratti dai doni per poter vedere e capire il Dono di Dio. Un po’ come nelle prime comunioni dove a Gesù che si riceve nel cuore viene anteposto tutto il resto dalla festa, al pranzo, ai regali, al ricordino. Forse ancora una volta tutti i buoni propositi, le intenzioni di un Natale essenziale, quasi povero, centrato sul Signore hanno lasciato il posto alle cose del mondo. Ancora una volta Dio ha trovato il nostro cuore preoccupato, già occupato, occupato prima, per cui per Lui non c’era posto. E Dio è passato oltre. Riprendiamo la nostra vita di tutti i giorni così come eravamo prima. Ci riprende la frenesia, la corsa, il tempo che fugge. Mi viene in mente il Mosè di Michelangelo con quei due “corni” sulla fronte che stanno a significare la luce, i raggi di luce, che uscivano dal suo volto dopo che aveva parlato con JHWH. Ritornava fra la sua gente così trasfigurato, così luminoso che gli ebrei non potevano guardarlo. Rimanevano abbagliati ed allora lui era costretto a velarsi il volto. San Paolo ci dice che noi invece possiamo guardare Dio faccia a faccia perché Dio si è fatto uomo, uno di noi, in Gesù Cristo. Le vie della nostra città, le case, le scuole, gli uffici, i negozi dovrebbero essere pieni della luce dei nostri volti che hanno contemplato, visto il Mistero. Ci siamo riempiti di Lui. Gesù ha vinto le nostre tenebre, ha portato la sua luce negli angoli bui della nostra esistenza. Ed invece siamo qui con Giovanni, l’apostolo ed evangelista, con Andrea,il fratello di Pietro a seguire Gesù ancora pieni di domande. Il loro maestro, la guida alla quale si sono affidati nel cammino della ricerca della verità, della gioia, del senso dell’esistere, Giovanni il Battista ha detto loro: ”Ecco l’agnello di Dio”. Ed i due discepoli sentendolo parlare così lo seguirono. Il racconto del primo incontro con Gesù dal Vangelo di Giovanni è pieno di verbi, di azione. La vita di fede, la vita stessa non è un pigro restare fermi ma un muoversi, un andare. Alzarsi e seguire. Tutto è iniziato dall’uscire di casa perché qualcosa dentro era infelice, vuoto. Perché qualcosa dentro era una domanda senza risposta. La famiglia, il lavoro. Moglie e figli. La pesca. La società con il padre ed il fratello. I garzoni. Tutto questo lasciava uno spazio vuoto e questo spazio vuoto gridava la sua domanda. Era come se non bastasse la vita. Tutti gli altri uomini. Le altre persone si accontentavano e quasi non capivano questo bisogno di un di più. Chissà quante volte Giovanni ed Andrea, e poi gli altri che seguirono il Maestro, si sono sentiti ripetere:”che cosa ti manca? Hai tutto!”. Come spiegarlo? Ancora oggi ogni volta che uno compie un gesto di libertà, fa una scelta coraggiosa, lascia tutto per mettersi alla sequela del Maestro non viene capito. Se poi la scelta è quella della vita eremitica o contemplativa è ancora peggio. Questo mondo, e forse anche molti uomini di chiesa, arrivano a comprendere chi parte per le missioni, chi aiuta gli altri, chi agisce per coloro che hanno bisogno. Chi invece si mette, con Maria, ai piedi del Maestro, lo ascolta, pende dalle sue labbra, impara a memoria la sua Parola, cerca di capire sempre di più quello che ha detto e fatto, viene tacciato di essere inutile. La clausura e l’eremo sono capiti da pochi! Giovanni ed Andrea lasciarono la casa e si misero alla sequela del Battista. Si fidarono e si affidarono a lui. Imparavano da lui. Per questo quando il loro maestro fissò lo sguardo su Gesù che passava e disse “ecco l’agnello di Dio” lasciarono anche il Battista e seguirono Gesù. E’ il compito della guida spirituale. E’ il compito dell’amico e del genitore. E’ il compito di chi insegna. Il compito di scomparire davanti alla Verità, a Bene alla Bellezza. Portare chi si affida a noi nella ricerca a riconoscere ciò che cerca e chi si cerca. Giovanni il Battista scompare. Rimangono i suoi discepoli ed il Maestro vero, buono e bello. Lo seguirono, egli si girò, chiese loro: “che cosa cercate?”. E loro rispondono: “Rabbi (che vuol dire maestro” dove abiti”. La ricerca della felicità passa da un “che cosa” ad un “chi”. Possiamo ridire la risposta dei discepoli: “non cerchiamo qualche cosa, siamo sazi delle cose, non ci riempiono, non ci danno niente le cose. Vogliamo Te. Colui che ci ha guidati fino ad ora, colui al quale ci siamo affidati e fidati ci ha detto di seguire te. Tu sei l’agnello di Dio. La vittima per i nostri peccati, per le vite sbagliate. Tu sei venuto da Dio ed a Lui ci riporti. Vogliamo restare con te. In greco “mainein” che significa vogliamo trovare in te la nostra consistenza. Come la casa sulla roccia della parabola che percossa dal vento, dalla tempesta, dallo straripare dei fiumi “mainei”, resta salda, consiste. L’avvenimento è così importante che Giovanni, il quale secondo la tradizione scrive il suo Vangelo quando è già vecchio, circa a novanta anni, nell’isola di Patmos, dove era al confino, si ricorda l’ora. “Erano le quattro del pomeriggio”. La sua domanda per la vita ha trovato la risposta. E la risposta non è un discorso, una idea ma una persona. Giovanni ama questa persona. Questa persona ama Giovanni. Giovanni è il discepolo prediletto, colui che Gesù amava. Giovanni diventa il teologo, colui che conosce Dio, l’esperto di Dio, colui che ne fa una esperienza così profonda e radicale (nel senso che tocca la radice del suo essere) da scrivere il Vangelo teologico, spirituale, per eccellenza. Il simbolo di Giovanni è l’aquila perché secondo il bestiario antico è l’animale che può fissare lo sguardo nel sole senza rimanerne accecato. Torniamo al sole, alla luce, al guardare e contemplare Dio, il suo Verbo fatto uomo. Mosè e Giovanni. Fissano lo sguardo sul Dio, sul mistero. Lo stesso Giovanni finisce il suo racconto della crocifissione citando il profeta Zaccaria: “Volgeranno lo sguardo su colui che hanno trafitto”. Il racconto della vocazione dei primi due discepoli, Giovanni ed Andrea, è un rincorrersi di occhiate, di sguardi. E’ un guardare dentro cercando la verità di chi ti sta di fronte. E’ un guardare che è anche un ascoltare. Il Battista vede Gesù che passa e lo indica ai suoi discepoli. Giovanni ed Andrea guardano, vedono e seguono. Gesù si volge, li vede e pone loro la domanda esistenziale. Ma accanto al guardare c’è un muoversi, un movimento. Uscire di casa, seguire il Precursore, seguire Gesù, restare con Gesù, tornare a casa, mettersi alla sequela del Cristo, andare, dopo la sua morte e risurrezione a testimoniare colui che si è incontrato. Arrivare a morire martiri (per Andrea e per molti degli apostoli) per quell’uomo sul quale alle quattro di quel pomeriggio si è fissato il loro sguardo.

Arrigoni Valter

lunedì 12 gennaio 2009

Simone incontra Gesù - "In compagnia di Pietro" (di Padre Fabrizio Carli)

Torniamo al lago di Tiberiade, quella mattina in cui Simone lavava le reti, frustrato e di cattivo umore per aver passato tutta la notte senza aver pescato nulla. Ma quella mattina quegli occhi che lo guardavano da un’eternità senza che lui se ne rendesse conto, lo fissarono intensamente; egli aveva già saputo di Gesù da Andrea, che voleva presentarglielo. Il loro incontro ci è raccontato in modo molto profondo dall’evangelista Giovanni:
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: “ Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv. 1,40-42).

Forse non abbiamo ancora scoperto nel profondo ciò che significano queste parole di Gesù; in esse possiamo già scorgere la grande verità e la grande promessa. Ma analizziamole un po’ meglio: “Simone, figlio di Giovanni!”: in tre parole il Signore racconta tutta la storia dell’uomo vecchio, cioè di Simone, sin dalla sua nascita. Ne aveva già conosciuto le tentazioni e le debolezze, i peccati, le lotte interiori e le ribellioni, ne conosceva il temperamento.
A Simone, figlio di Giovanni, Gesù avrebbe potuto dire ogni cosa delle sue liti e delle sue risse, della sua dedizione al peccato, delle sue qualità naturali di uomo molto dotato che tuttavia porta nel cuore il peso di tutta la sua miseria. Gesù, invece di gettare in faccia a Pietro queste pesanti verità, gli fa una promessa che, a tempo opportuno, si compirà, come sempre accade per la parola di Dio.
Questa promessa, tuttavia, non si realizzerà secondo i modi e i tempi di Pietro, ma secondo quelli di Gesù. Pietro sarà la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa, ma questo grande masso dovrà essere spezzato, scolpito, limato, per poter sostenere il grande progetto dell’ “Architetto”.
Per quest’uomo Gesù prepara un cambiamento del suo stato attuale: “Tu sei Simone, diventerai Pietro”. In quel momento Simone era ben lontano dall’essere una roccia e Cristo lo sapeva bene, ma sapeva anche che sarebbe venuto il tempo in cui Pietro, insieme agli altri apostoli, avrebbe trasformato il mondo con al potenza dello Spirito Santo.
Così scrive San Paolo nella Prima lettera ai Tessalonicesi: “Coli che vi chiama è fedele e farà tutto questo!” (5,24). Pietro doveva percorrere un cammino particolare nel corso della sua vita, attraverso esperienze molto diverse tra loro: doveva crescere spiritualmente e cambiare in modo radicale la sua mentalità, il suo carattere, le sue abitudini; doveva lasciare da parte il suo egoismo per potersi dare agli altri; doveva smettere di essere egli stesso il centro della sua vita per lasciare spazio a Gesù.
Attraverso il racconto dei Vangeli ci rendiamo conto che in varie occasioni Pietro era l’apostolo più lodato per i suoi progressi, come quando riconosce Gesù quale Figlio di Dio: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt. 16,17); ma allo stesso tempo il più criticato, allorché non vuole accettare il pensiero della futura morte di Gesù: “Lungi da me, satana” (Mt. 16,23).
Pietro non sapeva quel che gli sarebbe successo nella vita, né poteva immaginarlo; sapeva soltanto di aver incontrato il Signore: qualcuno degno di essere seguito. Il Vangelo ci racconta che gli apostoli lasciarono tutto per seguire Cristo, ma la cosa davvero importante non è la scelta di abbandonare ogni cosa, quanto quella di seguire il Maestro: “ Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (Mt. 13,44).
Dal momento in cui Pietro accetterà di seguire Gesù, il suo compito sarà quello di tenere gli occhi fissi su quel tesoro, senza mai volgersi indietro.
Questo ci fa riflettere sulla nostra vita, sulle esperienze che abbiamo vissuto, sul nostro comportamento spirituale: Gesù ci chiama tutti per nome, e questo nome rappresenta, come nel caso di Simone, l’uomo vecchio e peccatore che Cristo ha, in seguito, cambiato e redento.
Quante volte, tuttavia, invece di dire a Gesù il nostro “eccomi” gli contrapponiamo la nostra durezza di cuore e gli impediamo così di entrare nella nostra vita. Molto spesso è difficile per noi accettare la misericordia di Dio; forse perché talvolta non siamo in grado di perdonare nemmeno a noi stessi, o forse perché misuriamo la bontà di Dio con la nostra. Immaginiamo un Dio meschino, limitato nella tenerezza nella compassione, come se, ad un determinato punto, oltre un certo peccato, la sua misericordia dovesse finire. Dimentichiamo che egli è totalmente “altro”, il misericordioso, l’eterna bontà, l’amore infinito e perfetto.
Se egli viene a noi accettandoci come siamo, allo stesso modo esige che lo accettiamo come è, senza limitazioni: Padre di amore e di bontà.
Già le prime parole di Gesù prefiguravano, per Pietro, una promessa, ed egli pensava di dover fallire, nonostante dietro questa consegna ci fosse tutto il potere di Cristo. Io mi domando allora: se quella promessa, che ancora oggi è la stessa, si compì in Pietro, perché non dovrebbe compiersi anche per me? Tutte le debolezze, i problemi, i peccati e le passioni, che sommuovono così spesso il mio cuore, erano le stesse che turbavano anche il cuore di Simone; tuttavia, quando Gesù termina la sua opera di “trasformazione”, nasce il grande apostolo che fu Pietro.
Dobbiamo vivere coscienti, fiduciosi e pieni di speranza nella grande promessa di Gesù, per la quale siamo figli di Dio e avremo parte del suo Regno, perché…colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù (Fil. 1,6). L’opera di Dio in noi avviene attraverso il cambiamento e la trasformazione, anche se noi ne dubitiamo poiché siamo consapevoli della difficoltà della lotta contro noi stessi, e sappiamo quanto siano radicate le nostre passioni. Ma il potere di Cristo vince per noi, se soltanto sappiamo essere docili a questa trasformazione.
Tutte le cose insignificanti che ci procurano il piacere del mondo e ci tengono in schiavitù, ci fanno dimenticare la grande avventura di Dio; siamo chiamati, tuttavia, a non guardare a ciò che ci lasciamo indietro, ma a comportarci come quell’uomo della parabola che, una volta trovato il tesoro nel campo, non rimpiangere ciò che ha impegnato per averlo.
Domanda
Sei cosciente della chiamata del Signore e della sua promessa di salvezza? Come?
MEDITAZIONE
Domandati se continui a guardarti indietro, verso quelle cose che ti tenevano schiavo nel peccato, oppure se lasci tutto nelle mani di Gesù cercando di camminare con lui verso il suo Regno.
TRACCE DI RIFLESSIONE
Desidero assolutamente con tutto il cuore camminare con il Signore verso il suo Regno e gli ho consegnato la sola cosa che è mia: il mio peccato; non voglio più essere legato a ciò che non potrà mai darmi la vera felicità. A volte mi capita di guardarmi indietro e sentire che si risveglia ciò che era apparentemente morto, come se di nuovo volesse dominarmi: la differenza è che adesso non mi dà piacere, ma al contrario, quando mi accade, quasi inconsapevolmente, mi aiuta nella disciplina, facendomi comprendere chiaramente quali sono – quasi sempre le stesse – le mie debolezze. Gesù, nella sua bontà, continua a rivelarmele e allo stesso tempo mi dà la possibilità di allontanarmene, mettendomi nelle mani le armi per combatterle. E, al momento della battaglia, mi affascina essere suo soldato!

Come Pietro, anch’io ho avuto questo primo incontro con il Signore, quando ho sentito il suo sguardo dolce e profondo con il quale mi chiamava; quando lo incontrai ricevetti tutta la consolazione di cui avevo bisogno in quel momento della mia vita.
Egli venne a me quando ne avevo maggiormente bisogno; quando la vita mi era diventata difficile da vivere, quando oramai nulla aveva senso. Cercavo solo di continuare a lottare per portare avanti i miei figli, ma senza speranza, senza incentivo.
Tuttavia, come tanti altri, anch’io cercavo qualcosa che sapevo esistesse, pur senza riuscire a trovarla. Questo incontro venne a cambiare tutto; mi sono sentito amato e fortificato e, soprattutto, la mia vita ha acquistato uno scopo e una meta. Avevo incontrato qualcuno che mi spingeva a vivere e a lottare, e la cosa più importante è che lo facevo, finalmente, pieno di gioia e di speranza. Dopo tre anni da questa chiamata, capisco che il Signore è veramente fedele, che tutte le sue promesse si stanno compiendo in me; che la mia vita ora è piena di frutti d’amore e di pace; che conoscere e seguire Gesù, rende la nostra vita piena e degna di essere vissuta.
Io chiedo a Gesù la docilità, per accettare il suo piano nella mia vita, per permettergli di continuare a trasformarmi, affinché, come Pietro, possa terminare la sua opera in me.

domenica 11 gennaio 2009

Un coraggioso programma di vita (di Mons. Andrea Gemma)


di Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Andrea Gemma

(Vescovo di Santa Romana Chiesa)
(Articolo tratto da "Petrus" - Il quotidiano on line sull'Apostolato di Benedetto XVI)

CITTA’ DEL VATICANO - La colletta che il Messale Romano colloca alla data del 2 Gennaio, nella memoria dei Santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, è straordinariamente bella. Evidentemente chi l’ha dettata ha tenuto presente la collocazione di tale memoria all’inizio del nuovo anno civile e ha voluto stimolare ogni uomo saggio ad approfittare del nuovo inizio per una più degna impostazione della propria vita. Si tratta, insomma, di un non sottinteso invito a far tesoro della circostanza per il bene della propria anima. La colletta, dopo aver chiesto a Dio uno “spirito umile e ardente”, implora una piena “conoscenza della verità” e di “attuarla con un coraggioso programma di vita”. Specie quest’ultima espressione non poteva non prestarsi ad una approfondita e meditata riflessione, cosa che per me non ho voluto tralasciare. Vorrei rispondere, pertanto, a queste tre domande: Perché un programma di vita? Quale programma di vita? E perché un programma coraggioso? Rispondiamo alla prima domanda. Ogni cosa bella, ogni cosa grande, ogni meta desiderabile deve necessariamente essere preparata da una programmazione, ossia dalla previsione esatta del traguardo da raggiungere, del tempo da impiegarvi, dalla predisposizione dei mezzi necessari per conseguirla, della previsione delle difficoltà e dall’adeguamento ottimale delle proprie forze per conseguire lo scopo. Il navigante, se non vuole sbagliare la rotta, deve sapere la destinazione verso cui dirigersi, le strade che meglio vi conducono, e deve procurarsi il carburante che alimenterà il motore della sua nave, evitando il pericolo di doversi arrestare in panne. Chi si mettesse in mare senza tutte queste precise cognizioni sarebbe certamente dichiarato imprevidente e impari al suo compito e sicuramente destinato al naufragio. La vita - usciamo di metafora - è un vasto mare, spesso tempestoso, da attraversare con la nostra debole personalità, individuale e comunitaria: bisognerà dunque conoscerne bene la meta finale per desiderarla ed arrivarvi. Bisognerà pure conoscere quelle che potremmo chiamare tappe intermedie, per prendere ristoro e per procurarsi il necessario rifornimento. È doveroso pure aver ben presente innanzi agli occhi della mente gli eventuali pericoli a cui la traversata può andare incontro, onde scansarvi con sicurezza. È pure saggezza procurarsi con accurata selezione buoni compagni di viaggio che dividano con noi le fatiche della navigazione. E poi è assolutamente necessario poter contare su una abbondante scorta di viveri. Tutto questo comporta avere preciso innanzi a sé un dettagliato “programma di vita”, assicurando parimenti a se stessi la tenacia e l’impregno di esservi fedele. Si capisce allora come in una società che banalizza ogni cosa, compresa l’esistenza propria ed altrui, che naviga, come si usa dire, “a vista”, sia dovere impreteribile di chi non voglia “vivere a caso”, avere sempre pronto ed in efficienza un bagaglio di cognizioni e di energie spirituali per non restare indietro e addirittura finire sommerso. Quando si sente prorompere qualcuno nella tragica constatazione “nella mia vita ho sbagliato tutto”, si dovrà dire che è mancata la programmazione di cui stiamo parlando. Rispondiamo ora alla seconda domanda. Quale sarà il nostro programma di vita? Per nostra fortuna, di noi che abbiamo il privilegio e la gioia di credere nel supremo “dator di vita”, il programma fondamentale è già tracciato: è un dono misericordioso dell’Onnipotente il quale, come dice il Concilio, ha voluto “parlare agli uomini come ad amici” ed ha indicato nella sua santa Legge i percorsi fondamentali ed insostituibili che una vita degna di esser vissuta deve percorrere, come peraltro già riconosceva il popolo d’Israele. La Legge di Dio, come è stato giustamente rilevato, è ciò che per un treno veloce è il binario, saldo, duttile, scorrevole, condizione impreteribile perché il convoglio raggiunga la destinazione. Alla fondamentale Legge di Dio, la quale coincide con la cosiddetta “legge naturale”, iscritta per di più nell’intimo di ogni coscienza, gli uomini docili ad una superiore saggezza hanno aggiunto, ad ulteriore determinazione e facilitazione, altre leggi che di quelle prime fossero la pratica attuazione. Così, ai seguaci di Cristo, che hanno per legge inderogabile il Vangelo, uomini saggi hanno fatto seguire monumentali corpi legislativi che mantengono, a tutt’oggi, il loro grande valore. Ecco i nomi di alcuni di questi sapientissimi legislatori: Agostino, Basilio, Benedetto, Francesco. Ogni regola composta da questi legislatori, a commento del Vangelo, ha costituito e costituisce per molti un accessibile e proficuo programma di vita, seguendo il quale non si fallisce la meta. Sennonché, ad ulteriore e necessaria specificazione, ognuno di noi deve proporsi, nell’ultima capillare attuazione, un suo proprio, personale, programma di vita. Il che è quanto dire che ogni uomo ha una sua individuale, inconfondibile vocazione a cui egli, ed egli solo, può e deve rispondere con la grazia di Dio e la sua buona volontà. D’altra parte, avere a portata di mano un preciso, direi minuzioso, programma di vita significherà in definitiva mettere ordine nella propria vita, evitare sciocche improvvisazioni, digressioni infauste o, peggio, definitivi fallimenti. Significherà, inoltre, efficienza e fruttificazione in ogni campo, da quello fisico a quello intellettuale, da quello spirituale a quello sociale. Mi rimane da rispondere al perché questo programma di vita, secondo il testo liturgico, debba essere “coraggioso”. Rispondo lapidariamente. Quanto più la meta è ardua e difficile - si pensi ad un abile scalatore -, tanto più è necessario munirsi di coraggio e di tenacia per non cedere alla stanchezza, allo scoramento e, soprattutto, a quella mediocrità, oggi imperante, la quale rischia di tarpare le ali, anche dei più generosi, e impedire loro gli arditi voli verso la pienezza. Se questa pienezza per noi discepoli di Cristo è la “perfezione del Padre celeste”, si capirà come soltanto un uomo coraggioso, deciso a tutto, di provata costanza, di indomita fermezza, potrà conseguire la meta desiderata. In questo - come è dolce costatarlo! - ci hanno preceduto miriadi di purissimi eroi, i Santi della Chiesa cattolica.

sabato 10 gennaio 2009

Comunicato nr. 3 - 10 Gennaio 2009

Martedì 6 Gennaio scorso, festa dell'Epifania, nel salone parrochhiale di Isola Sant'Antonio (AL), si è svolta la premiazione del tradizionale "Concorso dei Presepi".
Abbiamo animato la festa proponendo una selezione di canti su San Francesco.
Non credevamo ai nostri occhi quando abbiamo visto il coinvolgimento e la sintonia con i canti da noi proposti da parte delle persone presenti in sala. Ma la gioia più grande è stata quando tutti i bimbi hanno "preteso" che continuassimo a cantare perché loro volevano ballare, sapientemente coinvolti dalle "animatrici" dei Granelli.
Vogliamo ringraziare Don Giovanni, parroco di Isola Sant'Antonio, per la bellissima opportunità che ci ha dato nell'animare questi momenti di festa nel periodo natalizio.
Granelli di Sabbia


La felicità non è un diritto (di Padre Valter Arrigoni)

La felicità non è un diritto
Ma il frutto di una costruzione
Lenta, paziente, umile ed umiliata +
Tutta la vita, i giorni, ogni singolo gesto
Sono i mattoni di questo edificio +
Io da solo non basto
E neppure noi due soli
Ma se riusciamo a coinvolgere
Un terzo e poi un quarto
Diamo il via ad un fiume immenso
Che diventa mare ed oceano +
Disseteremo tutti e cambieremo il mondo +
Io e te non bastiamo da soli
Ma se io e te non iniziamo …
Niente inizia ...
Neppure la vita +
Padre Valter Maria Arrigoni
Natale 2008

giovedì 8 gennaio 2009

EPIFANIA (di Padre Valter Arrigoni)

Anzitutto occorre spiegare il nome della festa: epifania. E’ una parola greca che vuol dire manifestazione, far vedere fuori ciò che si è dentro. Svelare un mistero. La parola Epifania viene dall’unione del verbo “fainei” mostrare con la preposizione “epì” sopra, fuori, in superficie. C’è un mistero che san Paolo dice che è “avvolto nel silenzio da secoli”, ed è il mistero di Dio. L’indicibile. Colui del quale possiamo solo affermare ciò che non è perché quando diciamo delle definizioni, ci insegna san Tommaso d’Aquino, diciamo delle menzogne, tanto sono lontane le nostre affermazioni dalla verità di Dio. Tanto la nostra esperienza dista dalla realtà di Dio. “Come il cielo è alto sulla terra così le mie vie sono lontane dalle vostre vie, i miei pensieri dai vostri pensieri”. Possiamo solo adombrare, perché non possiamo “significar per verba”, come diceva Dante, o, come pregava san Francesco d’Assisi, “nullo homo ene digno te mentovare”. Questo Dio, l’unico Dio, il Solo, l’Onnipotente, il Creatore, il Misericordioso, il Vincitore della morte e del dolore, Colui che riempie della sua presenza potente tutto l’universo, che neppure i cieli ed i cieli dei cieli possono contenere, che ha fatto della terra il suo sgabello, questo Dio, Dio si è fatto uomo , si è manifestato. Tutto il senso delle feste che abbiamo vissuto in questo tempo: il Natale, la santa famiglia, la Madre di Dio, fino ad oggi, fino all’Epifania è il fermarsi e contemplare, nel silenzio il mistero che si è realizzato, che è divenuto realtà, che “si è fatto carne” qui, adesso, sotto i nostro occhi. Siamo stati, ancora una volta, chiamati a svuotare i nostri cuori per far spazio al Dio che viene, anzi che è venuto, nel mondo, dentro ciascuno di noi, nella vita e nel cuore di ogni uomo. Il tempo prima del Natale, il tempo dell’Avvento ci ha portato a svuotare dall’inutile, dal superfluo, falla vanità vuota, mortifera, disumana, falsa, bugiarda, la nostra vita per riempirci della domanda, del desiderio più vero, più profondamente umano, più liberante. Nel tempo prima del Natale siamo stati chiamati a spegnere i riflettori, le luci fatue della pubblicità, delle cose, della ricchezza, dell’inutile per poter vedere la sola luce vera, quella che illumina ogni uomo, quella che vene nel mondo. Ci insegna Giovanni: “la luce vera viene nel mondo ma il mondo non la accoglie”!. Dio si fa uomo, viene fera i suoi, viene a salvare l’umanità ma gli vengono chiuse le porte in faccia! Nasce povero, rifiutato, emarginato in una stalla perché non c’era posto per lui nell’albergo. Sempre san Giovanni, nel Prologo al suo Vangelo, scrive che “i suoi (in greco scrive idioi, i parenti, quelli di casa) non lo hanno accolto”. Gli esegeti dicono per paura delle spie di Erode che era re in Palestina senza essere ebreo, e temeva che qualcuno della casa di Davide rivendicasse il trono. Per questo aveva mandato spie a Betlemme, il paese di Davide. Per questo la presenza e la domanda dei Re Magi: “dove è nato il re di Israele?” lo ha angosciato e lo ha spinto a chiedere a questi stranieri di fargli sapere dove lo avrebbero trovato per andare anche lui ad omaggiarlo. Sappiamo però, dalla strage degli innocenti, quale sarebbe stato il suo omaggio. Dio si fa uomo ma gli uomini non lo hanno accolto, non lo hanno fatto entrare nelle loro case, nella loro vita, dentro di sé. Ancora oggi, dopo secoli, troppi uomini sono convinti che per affermare la propria dignità, la propria libertà occorre uccidere Dio, eliminarlo dalla storia. In Inghilterra la festa del Natale è stata sostituita, per rispetto alle altre religioni, con la festa dell’Inverno. Tolto Dio ma non il consumismo, la vendita, della festa. Ma forse per la maggior parte anche di noi non è accaduta la stessa cosa? Ho sentito una persona dire “finalmente sono finite queste maledette feste!”. Il ritrovarsi in famiglia per alcuni è stato riaprire ferite, odi, incomprensioni con genitori e fratelli. Il rumore assordante dei botti, dei canti di Natale amplificati nelle vie dei negozi, nei corridoi dei centri commerciali. L’esagerazione di luci, di addobbi (ho visto chiese con degli alberi di Natale, lucine, palline, babbi natale, pacchetti colorati, festoni ). Come possiamo sentire Dio se c’è troppo rumore? Come possiamo vedere dire se ci riempiamo di lucine, di scatole, di regali, di colorati e fastidiosi oggetti ed oggettini? Dio nella voce inaudita di un bambino? Negli occhi pieni di lacrime di un povero? Forse qualcuno pensa che Dio si sia fermato nelle case piene di cose, alle mense dove si sono abbuffati gli uomini? Qualcuno pensa che Gesù si nato accanto a bambini viziati e coperti di doni pretesi? Bambini sazi e capricciosi? Forse convinti di essere buoni perché hanno dato ai poveri i giocattoli (alcuni rotti, li ho visti quando ero Parroco), i vestitini che non vanno più bene o peggio che non sono più di moda. Ci sono persone che hanno speso migliaia di euro in regali “importanti” alle mogli e ai figli. Salvo poi tacitarsi la coscienza con qualche dolce, qualche pacco di pasta, scatola di pelati, salame, formaggio scadente, insalata russa avanzata. Alla fine del loro incontro con Gesù i Magi se ne tornarono a casa per un’altra via che l’angelo aveva indicato loro. Un’altra via cioè era accaduta nella loro vita una conversione. Una era la via, la vita, lo stile, seguito fino ad allora ed un’altra via, un’altra vita, un altro stile quello che iniziava con l’incontro con Gesù. I Magi, coraggiosi camminatori sulle vie degli uomini che cercano Dio. Sulle vie delle domande che rendono così sensibili da sentire il rumor delle stelle, del cosmo che gira, che si muove. I Magi che secondo la tradizione sono sepolti nel Duomo di Monaco perché la strada che hanno iniziato a Betlemme non li ha portati più a casa, alla vita di prima ma sulle strade del mondo, degli uomini. Che differenza fra il loro incontro con Dio, così bello e significativo, così gioioso e radicale, così esaustivo e toccante da cambiare la loro vita e quello che sento dire in questi giorni da persone che pure frequentano la chiesa! Finalmente queste feste sono finite! Non ne potevo più! Adesso dobbiamo metterci a dieta per smaltire! Dove è Dio? Dove il Natale? Dove Gesù bambino? Ma ancora chiediamoci:dove è l’uomo? Dove sono io? Cosa ne ho fatto dei miei ideali, dei sogni, dei progetti? Dove è la mia vita? Questo Natale era un’altra occasione che mi ha offerto Dio per essere uomo vero, per vivere la vita. Cosa ne ho fatto? Ho colto ed usato questa occasione oppure l’ho bruciata andando dietro al mondo, al “così fan tutti”, al ripetermi per convincermi “questo è il mondo in cui viviamo”. Nella speranza che queste false risposte anestetizzino, mettano a tacere, almeno addormentino il senso di fastidio, di fallimento, di noia, che il dopo festa porta con sé.
Io sono venuto qui nel mio eremo per tacere, per vedere le stelle e sentire il loro canto. Perché nel silenzio, nella solitudine, nell’essenzialità Dio si possa ancora far sentire e vedere. Qui non c’è il riscaldamento e sto davanti al camino a guardare le fiamme. E’ legno d’olivo, legno buono, che arde a lungo, che lascia un profumo buono. Per accendere il fuoco uso le pigne raccolte a fatica questa estate. In questa vita tutto ha senso,anche la fatica. Che differenza fra questa bellezza ed il rumore, le cose che non riempiono ma diventano stomachevoli, fastidiose. Che differenza fra la notte e la mancanza di luce!
Valter Arrigoni

mercoledì 7 gennaio 2009

ANNO NUOVO VITA NUOVA (di Padre Valter Arrigoni)

Il primo gennaio la Chiesa lo dedica alla Madre di Dio ed alla giornata della pace. Si tratta di porre l’accento e la nostra meditazione sul senso della vita. Affermare fin dall’inizio dell’anno per noi credenti che con l’anno nuovo inizia una vita nuova. Ci è data una occasione per convertirci, per cambiare ed affermare, non solo a parole, ma con la vita stessa che cambiare è possibile. Non solo doveroso. Nei nostri giorni stiamo assistendo al crollo del modello di vita capitalistico, dove tutto era consumismo in qualche modo dominato da un egoismo viscerale, dall’attenzione così centrata su di sé che gli altri, il prossimo, come lo chiama Gesù, i nostri fratelli, come lo chiamiamo in tutte le liturgie, sono legati a noi e noi a loro. Non si può, oggi, pensare di salvarsi da soli. Occorre riscoprire il senso della comunità umana. Il nostro Vangelo, quello che Dio ci insegna, quello che è il cuore del messaggio del Signore Gesù è che l’amore salva. San Giovanni della Croce insegna che al termine della nostra vita saremo giudicati sull’amore. I gesti concreti che facciamo, abbiamo fatto, colorano la nostra esistenza quotidiana. Un anno che inizia, un anno nuovo, segue un anno che finisce, una esistenza fino ad ora. Mi chiedo, in questi giorni che ho deciso di passare all’eremo dove ho passato l’estate, di guardare con verità, unica possibilità di essere liberi, la mia vita, il mio esistere fino ad oggi. Di leggere i fatti che hanno costruito i giorni, l’essere, il vivere. Io chi sono? Non chi penso di essere, non l’ideale che vorrei essere ma chi sono realmente. Nella sua lettera ai colossesi, letta nella domenica della santa famiglia, Paolo compila un elenco di virtù che sono il modo di essere dell’uomo di Dio. “Tenerezza”: avere il coraggio di manifestare i nostri sentimenti, il voler bene, lo stimare, l’apprezzare. Dire agli amici, alle persone che si amano, alla moglie, al marito, ai figli: “ti voglio bene”. Diciamo così facilmente la nostra rabbia, il rancore, le cose negative. Affermare la nostra tenerezza verso le persone che ci circondano non è segno di debolezza, di non virilità, ma è lasciare spazio a sentimenti buoni. Creare intorno a noi un clima di bellezza. Quando qualcuno muore,non si può più dirgli il bene che gli si è voluto. E’ troppo tardi! Non lasciamo spazi di rimpianto nei nostri rapporti. Dopo la tenerezza, Paolo, scrive “la bontà”. Essere buono significa avere l’altro al centro della nostra vita. Essere attento all’altra persona. Il contrario di buono è cattivo che significa colui che pensa solo a se stesso. Tutti gli altri, compresi i figli, sono al servizio del cattivo, dell’egocentrico, dell’egoista. “Esisto solo io e tutto il mondo mi gira attorno e mi deve qualcosa”. Così pensa il cattivo, l’uomo che non è buono. Per lui gli altri sono solo cose, possesso, beni proprio da usare ed ai quali non dare niente. Quanti ne conosco! Pieni di belle parole ma aridi di amore e di bene. “Buono” è uni degli attributi di Dio, Dio che è amore, Dio che arriva a donarci suo Figlio che adesso, in questi giorni contempliamo nella culla appena nato ma che nella settimana santa contempleremo nell’atto estremo, sublime del suo amore che si dona totalmente. Buono è colui che, imitando Gesù e Dio, si dona totalmente agli altri, per gli altri, per tutti certo ma almeno per quelli che dice di amare. “Umiltà” è l’altra caratteristica dell’uomo di Dio. San Carlo, della nobilissima e potente famiglia dei Borromeo, quando venne a Milano come Vescovo, scelse come motto dl suo episcopato “Humilitas”, umiltà. La parola umiltà viene dal termine “humus”, terra. E’ il riconoscere che siamo tutti terra. Io ed il presidente della Repubblica siamo uguali, siamo fatti di terra ed in terra torneremo. Così io e la zarina di tutte le Russie, Caterina la grande, siamo fatti della stessa terra. Riconoscere la profonda uguaglianza fra tutti gli uomini è la fonte dell’umiltà. Pone tutti al mo stesso livello. L’umiltà mi porta ad aver rispetto per ogni uomo. Non si tratta di umiltà pelosa, di falsa umiltà, di atteggiamenti ipocriti ma di onorare ogni uomo a cominciare da coloro che sono per noi padre e madre. E’ un comandamento, una legge di Dio: “onora il padre e la madre”. Come è triste andare negli ospizi o nelle cliniche dove figli, anche pieni di fede a parole, hanno chiuso i propri genitori! Ma mi fanno ancora più disgusto i figli che vedono nel loro padre solo l’eredità, i soldi e i beni che il padre può lasciare loro. Quanti figli abbiamo visto a Foggia che non si parlano più da anni. Quanti hanno dilapidato capitali in avvocati. Quanti sono pronti ad uccidersi, si odiano, sono nella più assoluta falsità, perché non hanno ancora diviso, perché non sono ancora arrivati all’eredità. Mi diceva una madre prima di morire:”quando io me ne sarò andata i miei figli si uccideranno!”. E così sta accadendo fra sorrisi e pugnalate! Essere umili è non credersi fatti di una materia diversa dalla terra. Nessuno degli uomini è fatto d’oro. E poi, come insegnava Fabrizio de Andrè, “dal letame nascono i fiori e dai diamanti non nasce niente”. Essere umili non è solo un atteggiamento verso se stessi e verso il prossimo ma anche aprirsi allo stupore, alla meraviglia, alla sorpresa che ogni essere umano può riservarti. Dal letame nascono i fiori. Un altro modo di essere dell’uomo di Dio, un’altra sua caratteristica è la mansuetudine. Caratteristica dell’agnello che veniva immolato per la Pasqua. Il profeta Isaia riferisce questa virtù, questo modo di essere al Servo sofferente, a Gesù. Mansueto è colui che si fida talmente tanto di qualcuno da lasciarsi andare nelle sue mani e di lasciarsi fare tutto. Il beato Charles de Foucauld ha scritto una preghiera che dice “Padre mi abbandono a Te, di me fai quello che ti pare, mi fido di te perché tu sei il Padre mio, il fidarmi è una esigenza del mio amore per te”. Mansueto è colui che si fida e si lascia fare. Da Dio ma anche dagli altri. Da coloro che ama. “Magnanimità” avere l’animo grande. I latini dicevano “de minimis non curat praetor”. Colui che è superiore non si cura delle cose piccole. Dante Alighieri scrive:”Non ti curar di lor ma guarda e passa”. La magnanimità cristiana ovviamente non è una presunzione, una sicumera, un diniego ma è dare alle cose il loro giusto peso e valore. Secondo me il contrario di magnanimo è suscettibile. Colui cioè che si ferma sulle inezie e ne fa un motivo di guerra. Rancoroso. Vendicativo. L’uomo di Dio sopporta tutti. Il verbo sopportare significa che dobbiamo portare insieme (sub portare) la croce, il peso della vita. Non dobbiamo dire “io ti sopporto” ma “con te porto il peso che ti opprime”.
Con tutte queste caratteristiche diventa facile amarci. Diventiamo simpatici. Tutti gli altri ci cercano perché stare con noi è stare bene.
Questo è l’augurio che vi lascio per il nuovo anno e che faccio anche a me stesso:”che tutti stiano talmente bene con me che io possa diventare amico di tutti, amico di Dio ed amico degli uomini”.
Padre Valter Arrigoni

martedì 6 gennaio 2009

Epifania del Signore



Il Signore ha manifestato in tutto il mondo la sua salvezza

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa(Disc. 3 per l'Epifania, 1-3. 5; Pl 54, 240-244)

La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell'universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque in Israele sia grande il suo nome (cfr. Sal 75, 2).Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l'inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l'Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E' lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L'aveva annunziato Isaia: Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: Popoli che non ti conoscono ti invocheremo, e popoli che ti ignorano accorreranno a te (cfr. Is 55, 5).«Abramo vide questo giorno e gioì » (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2). Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l'un l'altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Vangelo Mt 2,1-12
Siamo venuti dall'oriente per adorare il re.
Dal vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

lunedì 5 gennaio 2009

Andrea e Giovanni - "In compagnia di Pietro" (di Padre Fabrizio Carli)



Nonostante gli uomini di questo nostro mondo siano così numerosi e così diversi, esiste qualcosa che li raggruppa tutti: il senso che ognuno di loro attribuisce alla vita.
Ci sono delle persone che, preoccupate solo di se stesse, vivono cercando di approfittare di tutte le cose e di tutte le persone; sono coloro che, evidentemente, hanno scelto dèi diversi: il piacere, i soldi, il potere.
Ma, a ben guardare, un solo idolo dirige la loro vita: quello dell’“io”. E’ l’“io” che costantemente vuole distinguersi, essere al centro dell’attenzione, mostrare tutta la sua prepotenza, cercare a tutti i costi il proprio benessere. Tutti, se pure in misure diverse, siamo influenzati da questo piccolo, grande idolo: il nostro egoismo. Molti, però, fanno di esso la loro unica ragione di vita.
Esiste anche un’altra categoria di persone che attraversa le medesime difficoltà e tentazioni, soggette alla stessa debolezza umana; tuttavia, con una profonda inquietudine nel cuore, capiscono che vivere nell’egoismo produce stoltezza, e che in noi stessi esiste qualcosa di più importante: una verità sublime e perenne, un amore profondo e inesauribile che non riescono a scoprire del tutto, pur intuendo quale felicità dà loro il trovarlo. Sono quelle persone che instancabilmente cercano, tentando di scoprire dove sia questo Dio, questo essere totalmente altro da loro, che può tuttavia regalare pienezza di vita, di realizzazione.
Ebbene, Andrea e Giovanni appartenevano a questa categoria; erano uomini religiosi, veri israeliti. Avevano probabilmente ascoltato dalla bocca dei loro padri e dei maestri di Israele le promesse che Jahvè, nella sua infinita misericordia, aveva fatto al suo popolo e poiché vivevano, come tutti in quell’epoca, in attesa del Messia, cercavano affannosamente il modo di incontrarlo. Giovanni il Battista proclamava a gran voce: “Preparate le vie del Signore!… Convertitevi! Perché il regno di Dio è vicino…” (cf. Gv. 1,19 ss).
Andrea e Giovanni, diventati discepoli del Battista, avevano udito con chiarezza le sue parole: “Io non sono il Messia, né Elìa, né il profeta, ma colui che viene dopo di me è più grande di me” (cf. Gv. 1,20 ss). E ancora: “E’ necessario che egli cresca e io diminuisca” (cf. Gv. 3,30).
I due discepoli credevano fermamente nelle parole di Giovanni e mettevano in pratica i suoi insegnamenti; per questo essi non si fermavano alla figura del Battista, per quanto grande gli apparisse la santità di questo importante profeta, ma, al contrario, cercavano il Messia.
Così, un pomeriggio, accompagnando Giovanni che impartiva il battesimo sulle acque del Giordano, apparve dinanzi a loro la figura di un uomo che dovette sembrare loro veramente speciale, così umile e privo di ostentazioni. E, a proposito di quest’uomo, essi ascoltano quello che sarà l’ultimo grande insegnamento di Giovanni: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo...colui che battezza in Spirito Santo” (Gv. 1,29.33b).
Non sapremo mai cosa accadde nel cuore di questi due uomini; ma di certo, finalmente, essi avevano udito dalla bocca del precursore la tanto anelata testimonianza: “Questi è il Messia, è la ragione della vostra ricerca, lo scopo della vostra vita, il motivo della vostra speranza…”
Allora, senza una parola, incominciano a camminare con il Messia.
Che bell’atteggiamento quello di cominciare a camminare; essi non soltanto videro il Signore, non soltanto si rallegrarono della sua presenza, ma, lasciato Giovanni, cominciarono a seguire Gesù, ben sapendo che il Battista approvava la loro condotta, poiché proprio a questo li aveva preparati.
Fu così che Gesù, camminando nel deserto, si rese conto che due uomini, timidamente, lo seguivano.
Egli chiese loro: “Che cercate?”
Questa domanda li colse impreparati. Ognuno di loro dovette riflettere seriamente, anche se molte potevano essere le risposte a quella domanda: “Cerco il Maestro, il medico; il personaggio importante; cerco di scoprire le credenziali che quest’uomo può avere”. Tuttavia, un’altra domanda sgorga in risposta dalle loro labbra: “Maestro, dove abiti?” (cf. Gv. 1,38).
Che grande intuizione in questi uomini! Certo lo Spirito Santo ha lavorato in loro con sorprendente velocità, così da fargli comprendere che Gesù non insegnava dottrine, né ideologie, non aveva nulla che in qualche modo potesse impressionare la gente; intuirono che Gesù dava vita e insegnava a vivere. Perciò quando gli domandarono dove vivesse, in fondo gli stavano chiedendo qualcosa di più: “Insegnaci a vivere come te, condividi la tua vita con noi”. Gesù, che per questo era venuto nel mondo, generosamente li invita: “ ‘Venite e vedrete’…e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa l e quattro del pomeriggio” (Gv. 1,39).
Questo giorno si prolungò fino a diventare il giorno di Dio; per Andrea e per Giovanni quel giorno raggiunse dimensioni di eternità. Quando un uomo incontra il vero amore e si sente totalmente preso, non può nasconderlo in nessun modo, tanto è evidente. Per questo motivo gli innamorati vengono subito scoperti, perché l’amore tende a comunicarsi, a darsi agli altri, e quando siamo innamorati vorremmo che tutti partecipassero della nostra contentezza.
Andrea e lo stesso Giovanni, pieni di questo amore, cominciarono la missione alla quale, senza saperlo, erano stati chiamati: sarebbero stati pescatori di uomini e, appena cominciato, “pescarono” subito il primo pesce importante: Pietro.
Lasciatemi raccontare la storia: Andrea e Simon Pietro provenivano da un paesino chiamato Betsaida, ma vivevano a Cafarnao, sulla riva del lago. Giovanni e Giacomo, padroni di barche da pesca, erano loro vicini. Andrea e Pietro erano fratelli e naturalmente avevano trascorso insieme tutta una vita, fatta di decisioni importanti, di gioie, di dolori, di litigi, di feste. Una sera come tante altre, Andrea raggiunge Pietro di corsa, per evitare che questi si mettesse in mare senza di lui, e con gioia gli dà la buona notizia, la migliore fra quante, in passato, aveva condiviso con lui: “Abbiamo incontrato il Messia! Lascia tutto, Pietro, lascia la tua barca, lascia le tue reti, i tuoi guadagni: vieni, poiché ho trovato qualcosa per cui vale la pena farlo!” (cf. Gv. 1,41).
Pietro dovette rimanere interdetto e forse pensò, come molti di noi avremo fatto: “Mio fratello è diventato matto. Probabilmente avrà bevuto!”.
Certo è che, contagiato dall’entusiasmo di Andrea, si lasciò condurre da Gesù.
La storia si ripete più o meno allo stesso modo con Giovanni e Giacomo, Filippo e Natanaele, così come è narrato nel primo capitolo di Giovanni. La notizia si diffonde e tutti vengono condotti da Gesù.
Andrea, Giovanni e gli altri imparano presto la prima lezione: essi saranno dei pastori, e come tali non dovranno trascinare le pecore dietro di loro ma portarle a Gesù. Andrea, inoltre, pur essendo stato il primo ad essere avvicinato da Gesù, non si mostra egoista né superbo e non si ritiene più importante degli altri. Egli esorta Pietro ad essere obbediente agli insegnamenti di Gesù, ne valuta la crescita e l’impegno, ma non si lamenta di nulla né protesta, ben sapendo che ciò che conta davvero è Gesù e l’annuncio del suo Regno. Insomma, Andrea e Giovanni docilmente lasciano che Dio realizzi il suo progetto attraverso di loro.

ESAMINIAMO

alla luce di questa piccola storia:
- quante volte apprendiamo ideologie e crediamo in dottrine che poi difendiamo con passione senza capire che l’importante è seguire Gesù, e da lui imparare un nuovo modo di vivere
- quante volte nell’ambito familiare, sociale, lavorativo ci asteniamo dal diffondere la buona novella del Vangelo condizionati dalla paura di ciò che penseranno o diranno di noi: quante volte, in sostanza, invece di essere dei “pescatori” veniamo irrimediabilmente “pescati”
- quante volte vogliamo serbare per noi tutti gli onori e crediamo che, per il solo fatto di essere stati chiamati per primi, abbiamo maggiori diritti degli altri. Dovremmo chiederci cosa sarebbe successo se Andrea, poiché chiamato per primo, si fosse opposto al ruolo fondamentale di Simone quale pietra fondante della nascente Chiesa.
Dobbiamo scoprire, nella pace del Signore, il progetto che egli ha per ciascuno di noi e docilmente accettarlo. Se sei testa, perché Dio vuole così, non cercare di essere piede; e se sei piede non cercare di camminare sopra le teste.

Domanda
Hai trasformato in vita quello che hai imparato da Gesù? Come?

MEDITAZIONE

Cerchi di essere importante nella tua comunità o compi con docilità il progetto di Dio, obbedendo al tuo pastore? Analizza il tuo atteggiamento.

TRACCE DI RIFLESSIONE

Oggi devo guardare un po’ dentro al mio cuore, per vedere ancora una volta dove mi trovo; che posto ho dato alle cose del Signore. Egli, nel suo infinito amore, senza alcun merito da parte mia, ha voluto che lo servissi nella comunità esigendo da me obbedienza. Perciò, con totale sottomissione, devo escludere me stesso, diminuire perché lui cresca in me.
Egli mi ha scelto nella mia miseria, mi ha dato un cuore nuovo e ha portato via tutto ciò che era impuro, ciò che non serviva; mi ha insegnato a vedere le cose buone che lui stesso ha messo nel mio cuore, e per questo voglio dirgli: “Signore, non permettere mai che il desiderio del riconoscimento dimori nel mio cuore; dammi l’umiltà di cui ho bisogno, per trasformare in vita il progetto che hai per me; non permettere che io gli tolga forza facendo riapparire il mio io. Non permettere che da parte mia nasca un atto di ribellione, di disobbedienza verso i miei carissimi pastori, ai quali voglio essere fedele perché così facendo dimostro a te quanto ti amo. Fa’, o Signore, che io non debba mai perderti di vista e sii sempre con me”.

Cerco di fare in modo che nella mia casa non manchi mai l’amore. Procuro che vi siano comprensione, affetto e aiuto. Vedo che Gesù è giusto e voglio che vi sia giustizia in casa. Mi basta solo vedere con gli occhi del Signore; lasciare che egli penetri con tutta la sua forza dentro di me per allontanare l’oscurità e il peccato, lasciandomi solo pace e felicità. Anelo che il suo volto amoroso si rifletta in me perché io possa manifestarlo ai miei fratelli.
Ho imparato qualcosa della sapienza del Signore, del suo amore e della sua verità e mi sento molto piccola davanti alla sua grandezza. Credo che continuerò a crescere, se mi sforzo di diventare quello che lui vuole; e così è per ognuno di noi.
Amo il mio prossimo e cerco di servirlo con sincerità. Voglio imitare Andrea nel veder crescere un fratello rallegrandomi dei suoi miglioramenti.
Non ho mai cercato di essere importante nella mia comunità. Voglio esserlo per Gesù. Non aspiro ad essere più di quello che posso con le mie capacità.
Non sento invidia e non credo di essere egoista.
Mi piace lodare le capacità dei fratelli. Li ammiro e chiedo a Dio che dia loro più sapienza. Non mi piace dare spintoni per mettermi in vista. So che Dio ha un piano per ognuno di noi e io ho fede in lui. Sto zitta/o e sono docile. Il contrario di quello che ero una volta. Cerco di essere obbediente e umile con il mio pastore; lo considero scelto dal Signore per predicare degnamente la sua Parola; pieno di santità, di doni, di carismi. Perciò mi piace aver cura della sua immagine quando qualcuno cerca di macchiarla. Tutto quello che il Signore ha messo nelle sue mani, lui lo mette a servizio dei suoi fratelli. Conservo gelosamente anche quelle che mi sembrano briciole dell’amore di Dio, ma ogni mattina scopro che egli mi ama molto, vedendo che sono viva. Gli dico: “Padre, perdonami. Grazie per il tuo amore”.

domenica 4 gennaio 2009


Il gruppo del canto ed animazione "Granelli di sabbia" ricorda che il giorno 6 alle ore 15, presso il salone parrocchiale di Isola S.Antonio (AL), presentarà una breve selezione di canti incentrati sulla vita di San Francesco.

II Domenica dopo Natale



Vangelo Gv 1,1-18
Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.


Dal vangelo secondo Giovanni

[ In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. ]
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
[ Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. ]
Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

sabato 3 gennaio 2009

Anania, straordinario strumento di Dio (di Rosaria De Simone ed Emiliano Fasolio)

“ ... Mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che diceva “Saulo...Saulo perché mi perseguiti?” rispose “Chi sei Tu Signore?” e la voce “Io sono Gesù, che Tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare”...
Ora c’era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse “Anania!” rispose “Eccomi Signore”. E il Signore a lui “Su va sulla strada chiamata diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo di Tarso; ecco sta pregando, e ha visto in visione un uomo di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperi la vista” ... Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse “Saulo, fratello mio, mi ha mandato a Te il Signore Gesù, che Ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo”.( Atti 9, 3-6; 10-12; 17)

E’ Cristo che “chiama” Saulo sulla via di Damasco, apparendogli in visione, ma poi lo “assegna” ad Anania perché riacquisti la vista, cresca nello Spirito Santo e si inserisca nella Chiesa: Saulo diviene così Paolo “l’Apostolo delle Genti”.
Questa è una legge costante che Dio segue nella Sua cura delle anime: Dio, infatti, “provvidenzialmente” guida la vita di ogni uomo, ma di norma si serve di un altro Suo figlio che Egli “manda” quale vero “pastore di anime”.
L’Onnipotente si serve dunque, normalmente, di un “Anania” perché ogni uomo possa, così “accompagnato”, intraprendere e proseguire il faticoso cammino di conversione, scoprendo passo dopo passo l’infinito amore di Dio.
Venendo alla nostra esperienza personale, benché fosse già iniziato quel processo di “destabilizzazione” interiore che caratterizza i primi passi del cammino, eccoci giungere in un’uggiosa serata autunnale di due anni or sono al Convento Francescano di Tortona: proprio durante l’incontro di preghiera del gruppo giovani.
Non dimenticheremo mai quel momento: la porta d’entrata sembrava inesorabilmente chiusa e proprio mentre pareva che le nostre speranze venissero vanificate, ecco l’arrivo di una coppia di ragazzi “veterani” dell’esperienza di preghiera!
L’apertura del portone e il conseguente ingresso nella struttura e nella fraternità di preghiera evidenziavano così una profonda verità che in quel momento diveniva tangibile : “Dio non si nega mai a chi lo cerca con cuore sincero!”.
La Provvidenza ci aveva condotti in quel luogo, di cui noi ignoravamo l’esistenza, perché proprio lì svolgeva il suo Ministero colui che sarebbe divenuto il nostro “Anania”, mentre cresceva la consapevolezza di essere nel luogo giusto al momento giusto (rectius: il momento e il luogo stabiliti da Dio per ognuno di noi).
E’ iniziata così il forte cammino di conversione e di crescita spirituale, in Sequela Christi, accompagnati dalla nostra Guida (Padre ma anche fratello e amico) e circondati da fratelli nella fede. Benché la strada sia ancora lunga e la vetta “ove splende il sole” lontana, innumerevoli sono già stati i frutti ricevuti mentre i raggi dell’amore di Dio riscaldano e vivificano i nostri cuori.
Dio suscita degli Anania meravigliosi nella Chiesa!

Emiliano e Rosaria

venerdì 2 gennaio 2009

Pietro, l’uomo chiamato Simone - "In compagnia di Pietro" (di Padre Fabrizio Carli)

1° Meditazione

Pietro, l’uomo chiamato Simone

Quando leggiamo la vita di quei santi che ci hanno colpito per la loro grandezza, non pensiamo mai al fatto che, nella faticosa scalata verso la santità, essi hanno cominciato da zero, esattamente come chiunque altro. Così fu per Simone il pescatore, un uomo chiacchierone e grossolano, diventato ancor più rude a causa del suo mestiere.
L e Scritture ci raccontano che quest’uomo, abbronzato dal sole di Cafarnao, fosse nato in Galilea. Aveva cominciato a pescare da ragazzino, probabilmente istruito dal padre; crescendo, aveva imparato insieme al fratello Andrea a conoscere la natura e i “tempi” del mare: la calma che precedeva la tempesta, le burrasche che in più occasioni lo avevano messo in serio pericolo.
Simone conosceva bene anche la propria natura, con le sue debolezze, la sua viltà e anche i suoi momenti di coraggio, quando, sapendo a volte di dover rischiare, metteva in luce le sue doti di leader, acquisite attraverso l’esperienza di capitano della barca. Egli assicurava l’unità e la coesione all’interno del suo equipaggio attraverso lo scherzo e l’allegria, ma sapeva anche essere duro e usare un linguaggio, volgare, per mantenere la sua autorità di “capitano”.
Coloro che seguivano Gesù, in genere, erano estremamente poveri, ma non era questo il caso di Pietro, che era padrone della sua casa e della sua barca. Potremmo dire che, per il suo tempo, era un uomo della classe media al quale le cose non andavano poi tanto male.
A suo modo, egli era felice; i suoi interessi puramente umani consistevano nel pescare in abbondanza e nel riuscire a non pagare le imposte, e, da buon giudeo, non amava molto coloro che le esigevano.
Per la sua personalità, era molto amato dal fratello ed era popolare fra gli amici, con i quali si vantava delle sue prodezze marine.
Viveva la normale condizione di uomo sposato e aveva a casa con sé la suocera.
Una cosa ammiro in Simone: che egli credeva in se stesso; era un uomo che aveva fede nella sua capacità umana, ma credeva in Jahvè e lo cercava, come tanti di noi che abbiamo creduto cercando Cristo, ma evitando di “andare oltre”.
Un giorno della sua vita, però, di ritorno da una nottata in mare, irritato e frustrato per non aver pescato nulla, quest’uomo incontra uno sguardo profondo e colmo di tenerezza, davanti al quale si sente messo a nudo, mentre una voce gli dice: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai “Kefas”, che vuol dire “pietra” (Gv. 1,42).
Comincia così per Kefas la grande avventura verso la salvezza, un viaggio ricco di eventi, talvolta spiacevoli, compiuto però con fiducia, sulla base dell’insegnamento di Dio.
Quanti di noi oggi si ritrovano nella stessa situazione di Simone: commercianti, artigiani, impiegati, professionisti, imprenditori, ognuno con il proprio grado di cultura e di educazione…Abbiamo trascorso la vita cercando di imporre la nostra volontà.
Se abbiamo molto e siamo riusciti a ottenere una buona posizione, ci gonfiamo nella vanità; se abbiamo poco, ci tormentiamo per la frustrazione e l’insoddisfazione, soggetti come siamo alla tentazione di emergere e di farci ammirare.
Forse, se ci fermassimo un istante a riflettere, scopriremmo che non siamo cattivi…ma non siamo neanche buoni. Ci siamo semplicemente messi comodi nei nostri possessi, abbiamo posto le nostre sicurezze negli amici influenti, nel guadagno o nella posizione economica, confidando unicamente nella nostra furbizia e nella capacità di dominare gli altri. O forse, timorosi di rimanere in silenzio e di scoprire il nostro “io”, corriamo alla vita senza sosta, cercando nuove esperienze, tesi a non perdere ciò che abbiamo o ad avere di più, nascondendoci, più o meno consapevolmente, da quell’incontro, da quella riflessione, che potrebbe stravolgere le nostre certezze. Ma, un giorno, ecco uno sguardo davanti al quale ci sentiamo come spogliati da tutto ciò; occhi profondi che ci guardano con tenerezza, e una voce che, ripetendo il nostro nome, ci invita a sperimentare l’amore: “Ti ho amato dall’eternità, seguimi…!”. Questa voce esige una risposta!
Domanda
Analizza sinceramente: dove hai posto la tua fiducia e le tue sicurezze?
MEDITAZIONE
Pensa alla tua vita prima dell’incontro con Gesù, e paragonala a quella che vivi adesso. Trovi differenza?
Rifletti sui tuoi comportamenti in comunità, nella società, nella famiglia.
Brano di riferimento: Gv. 1,35-51
TRACCE DI RIFLESSIONE
La mia fiducia è posta nel Signore. Senza di lui non sono nulla.
Sotto la sua protezione mi sento sicuro; lascio che lui ordini e disponga tutto secondo la sua volontà. Alcune volte manco, però mi correggo e gli chiedo perdono.
Come un grande fiume impetuoso che sbocca nel mare della tranquillità, così è stato il mio abbandono al Signore.
Man mano che passa il tempo e che la serenità e la pace invadono il mio cuore, io affido al mio Signore tutto ciò che i miei talenti fanno germogliare, con la speranza, e nello stesso tempo la certezza, che la mia offerta sia gradita.
Adesso scopro con gioia che vivere nel Signore significa sperimentare ogni giorno la sua pace.
Prima di incontrare Gesù cercavo di riempire il vuoto del mio cuore intraprendendo scelte di ogni tipo, alcune profondamente sbagliate: oggi questo vuoto si è riempito del suo ineffabile amore. Mi sento protetto, coperto, sotto il suo dolce e tenero sguardo. Tutto mi sembra più bello.
Servire il Signore e i miei fratelli è un’esperienza nuova, pura, indescrivibile. Mi sforzo affinché il mio lavoro nella comunità sia sempre più perfetto, e sebbene sia ben lontano dall’esserlo, io mi impegno a fondo e confido nell’aiuto dello Spirito Santo.
Amo sempre più i miei fratelli, e confido in alcuni, tra questi, che sono per me come fratelli maggiori, chiedendo loro consigli e direttive spirituali. Vedo con gioia l’armonia, l’unità e il sostegno reciproco che caratterizzano la comunità.
A casa mia le cose non vanno come io vorrei perché i miei figli non condividono e passano molto tempo fuori casa, però ho la speranza che ad uno ad uno anche loro arriveranno all’incontro definitivo con Gesù, che Egli li converta e li trasformi come ha fatto con me, diventando il Signore della loro vita. Amo Dio e lo ringrazio per tutto quello che ricevo, soprattutto perché a casa mia comincia a crescere l’amore, la comprensione e al carità. E che il Dio vivente agisca nei nostri cuori.
Preghiera

A te, Gesù, tutta la mia lode, la mia riconoscenza e il mio amore. Vorrei poterti offrire di più, perché sei stato tanto buono con me. Prima di conoscerti mi sentivo disorientata/o, triste e soprattutto sola/o. Tu lo sai, Signore, quanti problemi, quante malattie ho avuto, quante disillusioni nel corso della mia vita, sia nel lavoro sia in famiglia. Tutto questo mi rendeva prigioniera/o della tristezza e della stanchezza. Non avevo più voglia di vivere e tante volte alla sera, al momento di andare a dormire, ti chiedevo, o mio Dio, di togliermi la vita e di non lasciarmi risvegliare al nuovo giorno. Che differenza, mio buon Gesù, quando mi chiamasti per nome come Pietro, e mi facesti incontrarenil rinnovamento! Allora compresi l’amore che avevi per me e per tutta l’umanità, amore che ti aveva portato a morire in croce per la nostra salvezza. Da quel momento tu cominciasti a parlarmi attraverso la Bibbia; successivamente mi permettesti di essere pastore di un piccolo gregge affidato alle mie cure. Tutto questo mi servì come incentivo per continuare a vivere e sentirmi nuovamente utile; sperimentando il tuo amore non mi sentivo più sola/o e pian piano imparavo a offrirti le mie malattie, le mie afflizioni fisiche e morali che diventavano sempre meno dolorose al pensiero di quello che tu avevi sofferto per me. Adesso cerco di vedere sempre tutto ciò che della vita è positivo, e grazie a te, mio Signore Gesù, vivo più tranquilla/o, in pace e con gioia, perché so che tu mi ami e che rimani con me, per aiutarmi in ogni momento.
“…fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi” (2Cor. 13,11).