martedì 14 aprile 2009

BENEDETTO XVI - “Esiste un ponte tra il Cielo e la Terra: il Sacramento dell’Eucaristia”


CASTELGANDOLFO - Esiste "un ponte fra il mondo e la vita eterna, sul quale ogni uomo e ogni donna puo' passare per giungere alla vera meta del nostro pellegrinaggio terreno". Lo ha detto Benedetto XVI tornando a parlare della Pasqua alle migliaia di fedeli che lo hanno seguito a Castelgandolfo, dove trascorre qualche giorno di riposo. A gettare questo ponte e' stata "la Risurrezione del Signore", ha spiegato il Papa, rilevando che essa "ci assicura che il piano divino della salvezza si compira' certamente". "Gioisce pertanto la comunita' cristiana", ha commentato. E dunque, "la Pasqua e' veramente la nostra speranza: risorti con Cristo mediante il Battesimo, dobbiamo ora seguirlo fedelmente in santita' di vita, camminando senza sosta verso la Pasqua eterna, sorretti dalla consapevolezza che le difficolta', le lotte, le prove, le sofferenze dell'umana esistenza, compresa la morte, ormai non potranno piu' separarci da Lui e dal suo amore". "Il Figlio dell'uomo, crocifisso, pietra scartata dai costruttori, e' diventato - ha scandito il Papa teologo - il solido fondamento del nuovo edificio spirituale, che e' la Chiesa, suo Corpo mistico. Il popolo di Dio, che ha Cristo come suo capo invisibile, e' destinato a crescere nel corso dei secoli, sino al pieno compimento del piano della salvezza". Cosi', mediante la Chiesa, il Signore e' presente nella nostra vita. "Quest'assicurazione di Gesu' - ha ricordato il Pontefice - si realizza soprattutto nell'Eucaristia; e' in ogni celebrazione eucaristica che la Chiesa, ed ogni suo membro, sperimentano la sua presenza viva e beneficiano di tutta la ricchezza del suo amore. Nel Sacramento dell'Eucaristia, il Signore risuscitato ci purifica dalle nostre colpe; ci nutre spiritualmente e ci infonde vigore per sostenere le dure prove dell'esistenza e per lottare contro il peccato ed il male. E' lui - ha proseguito - il sostegno sicuro nel nostro pellegrinaggio verso l'eterna dimora del Cielo. La Vergine Maria, che ha vissuto accanto al suo divin Figlio ogni fase della sua missione sulla terra, ci aiuti ad accogliere con fede il dono della Pasqua e ci renda fedeli e gioiosi testimoni del Signore risuscitato". "La gioia pasquale si sente, la sentiamo". Cosi' Benedetto XVI ha poi risposto sorridendo all'entusiasmo incontenibile dei circa tremila fedeli che gremivano il cortile della residenza estiva di Castelgandolfo e che piu' volte lo hanno interrotto applaudendo e gridando "viva il Papa". "Gesu', Dio lo ha risuscitato, e noi tutti ne siamo testimoni", ha quindi ripetuto il Pontefice ai pellegrini arrivati dalla Polonia, che si sono uniti agli italiani nelle manifestazioni di affetto. "Che la nostra testimonianza della Risurrezione di Cristo diventi - ha auspicato Benedetto XVI - sorgente di speranza per tutto il mondo". Il Pontefice ha infine rivolto un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. "In particolare - ha detto - saluto i fedeli della parrocchia San Pietro in Albano Laziale, accompagnati dal Vescovo e dal parroco. Mi felicito con voi per l'iniziativa dell'adorazione Eucaristica continuata che avete intrapreso ed inoltre volentieri benedico i rosari che portate con voi. A tutti - si e' infine congedato il Papa - auguro nuovamente Buona Pasqua".

lunedì 13 aprile 2009

Il Signore è risorto! E' veramente risorto! Allelúia!

Alla vittima pasquale,
s'innalzi oggi il sacrificio di lode.
L'agnello ha redento il suo gregge,
l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre.
Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa.
«Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente,
la gloria del Cristo risorto,e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto;
e vi precede in Galilea».
Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza.
Amen. Allelúia.

Ero cieco

Ed è venuto LUI,

la Luce vera,

ad illuminare le mie tenebre.


Ero morto

Ed è venuto LUI,

la Vita,

a farmi risuscitare.


Ero nel peccato

Ed è venuto LUI,

il perdono,

e mi ha ridato gioia e libertà.


Ero caduto nel baratro della morte, del peccato, del buio,

ed è venuto LUI,

Buon Pastore

Mi ha cercato, mi ha trovato, mi ha caricato sulle spalle

E mi ha riportato nella sua casa.


BUONA PASQUA DI PERDONO, PACE, TENEREZZA, LUCE E VITA NUOVA.

Valter, eremita
Pasqua 2009

domenica 12 aprile 2009

Il Signore è risorto! E' veramente risorto! Alleluia.

Cristo risuscitato dai morti non muore più

Dalla lettera di S. Paolo apostolo ai Romani Rm 6, 3-11

Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura At 10, 34a. 37-43
Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.
Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».
Salmo Responsoriale Sal 117
Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo.
Oppure:
Alleluia, alleluia, alleluia.
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Seconda Lettura Col 3, 1-4
Cercate le cose di lassù, dove è Cristo.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
oppure: 1Cor 5, 6b-8
Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con àzzimi di sincerità e di verità.
SEQUENZA
Alla vittima pasquale, s'innalzi oggi il sacrificio di lode.
L'agnello ha redento il suo gregge,
l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre.
Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa.
«Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto; e vi precede in Galilea».
Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza.
Canto al Vangelo Cf 1 Cor 5,7b-8a
Alleluia, alleluia.
Cristo, nostra Pasqua, è immolato:
facciamo festa nel Signore.
Alleluia.
Vangelo Gv 20, 1-9
Egli doveva risuscitare dai morti.
Dal vangelo secondo Giovanni
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

venerdì 10 aprile 2009

E’ LA PASQUA DEL SIGNORE (di padre Valter Arrigoni)


Cominciamo a dire che la cosa significa la parola Pasqua. Per gli ebrei ricorda diversi momenti della storia di YHWH con il suo popolo Israele. La notte di Pasqua è la notte nella quale si realizza la maledizione dell’ultima piaga quella della morte dei primogeniti di ogni famiglia degli egiziani. L’angelo della morte passa oltre le case degli schiavi ebrei segnate dal sangue dell’agnello che è stato immolato per essere mangiato in piedi con tutta la famiglia ed i vicini di casa. Si mangia in piedi perché si è pronti per partire. Si mangia con il contorno di erbe amare come segno dell’amarezza che talora riempie del suo sapore la vita. Momenti come il dover fuggire di notte, esuli. Schiavi che scappano inseguiti dai loro padroni. Nel mondo antico, anche quello romano, lo schiavo era considerato una cosa appartenente al suo padrone. Se lo schiavo fuggiva e veniva ripreso poteva essere ucciso. La fuga era uno dei reati più gravi. Eppure questi schiavi sono protetti da Dio. Anche se per loro il credere questo vuol dire aver fiducia in uno sconosciuto come è per loro Mosè. La prima Pasqua allora avviene nella notte della fuga dall’Egitto ed è la Pasqua che darà il senso a tutte quelle che seguiranno. Ci sono in questa notte che, come dice il rituale ebraico del “seder” di “pesach”, è la madre di tutte le notti, la notte più luminosa di tutte, diversi significati che verranno poi presi dalla Pasqua cristiana. E’ la notte del passaggio dalla morte alla vita. Cosa è accaduto nel sepolcro? Il venerdì si è deposto un corpo martoriato e morto. Il corpo di un giovane odiato, maltrattato, umiliato e che ha subito una delle morti più atroci dopo una agonia di ore. Soffocato sulla croce dove era stato inchiodato dopo una via crucis dolorosa. Dolorosa nella carne ma anche e soprattutto nel cuore, nello spirito quando vedeva sua madre, quando ripensava a tutta la sua vita ed alle ultime ore. Quando sentiva le ingiurie, le offese, la rabbia contro di lui della gente che pochi giorni prima lo osannava. Gente alla quale aveva voluto e fatto bene. Nel sepolcro, nell’angusto e stretto ambito di una tomba acceda che l’eterno entra nel tempo, l’infinto nello spazio, la vita nella morte. Dio riprende la sua presenza di vita nel corpo morto del Figlio “Mors et vita duello conflixere mirando. Dux vitae mortuus regnat vivus”. “La vita e la morte hanno combattuto un duello ammirabile. Il Signore della vita che era morte ora regna vivo”. La morte passa oltre, viene sconfitta definitivamente, la salvezza viene offerta a tutti ed il segno primo di questa salvezza è che non si muore più. Altro significato è l’essere sempre sul piede di partenza,a avere sempre chiaro che “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Cosa significa concretamente credere nel risorto? Significa anche non porre la propria sicurezza, la certezza della vita, la causa della nostra gioia in altro che non sia capace di sconfiggere la morte. Tutto passa solo Dio resta. Resta con tutta la vera vita resta sconfiggendo la morte, il peccato, tutto ciò, ed è proprio tutto ciò che è destinato a finire. Cristo sconfigge la morte. A Sansepolcro c’è un quadro di Piero della Francesca che rappresenta la risurrezione. Gesù ha un aspetto regale, è il Signore che sconfigge la morte. Accanto a lui ci sono i soldati che dormono e lui sta in piedi con un vessillo in mano. Vero vincitore. Vero Signore. Da un lato del Cristo ci sono alberi spogli, la natura nell’inverno, morta e dall’altro lato ci sono gli alberi nel rigoglio della primavera. La risurrezione i Gesù non è solo la sua, non riguarda solo lui ma è per tutti, di tutti. Occorre fidarsi. Come gli ebrei si fidarono di Mosè e misero a repentaglio la loro sicurezza, la loro vita stessa così occorre fidarsi di Gesù. La sua risurrezione è la prova che Dio ci dona, la prova certa, la ragione per la quale fidarsi di Gesù, credere in lui. La vita vince la morte. Pasqua è la festa della vita. Quelli che non sono di Dio, quelli che con arrogante superbia, come il faraone, rifiutano gli inviti a salvarsi da parte di Dio sono destinati alla morte. Sono destinati ad una apparenza di vita data dal benessere, dalla sicurezza, dalla ricchezza. Molti salmi ricordano questi momenti e questo atteggiamento di coloro “che confidano in carri e cavalli”. “Pensavano:’ inseguiamoli, raggiungiamoli, sterminiamoli, prendiamo i loro beni’ … ma tu, o Signore, hai confuso i loro pensieri”. Anche nella celebrazione della Pasqua ebraica una settimana prima si toglie dalle case tutto il lievito vecchio e si mangiano i pani azzimi, cioè fatti con pasta non lievitata (e’ per questo che usiamo le ostie per la Messa e non il pane lievitato). Il senso di questo segno è che tutto viene reso nuovo con la Pasqua, con il passaggio del Signore. Tutto viene reso nuovo dall’entrare di Cristo nella nostra vita. Nella liturgia della grande veglia pasquale accendiamo il fuoco nuovo, illuminiamo la chiesa con la luce nuova del cero pasquale, benediciamo l’acqua nuova. Con Cristo risorto tutto è nuovo. La nostra vita di fede è troppo spesso stantia. Troppo spesso ha l’odore della muffa ed il sapore rancido.
Pasqua è la parola che indica anche l’attraversamento del mar Rosso e quaranta anni dopo del fiume Giordano per entrare nella Terra Promessa, la terra nuova della libertà vera, la terra che il Signore ha preparato per i suoi e nella quale vive con il suo popolo. C’è sempre da attraversare qualcosa, da avere il coraggio di affrontare un pericolo che ci sembra insuperabile. C’è sempre da chiedere a Dio l’aiuto per andare avanti. E Lui ce lo dona.
Sia questa per noi la Pasqua della fede, della fiducia in Dio. Sia la Pasqua del coraggio di lasciare tutto per andare, per mettersi in viaggio, per attraversare il mare ed il deserto inseguiti da chi è più forte di noi ma non di Dio. Sia questa la Pasqua nella quale esplode in noi la novità della vita. Il profumo nuovo della primavera, del seme caduto in terra che dopo essere morto, e solo dopo essere morto, porta molto frutto.


Vater Arrigoni

lunedì 6 aprile 2009

Ecce Homo (di padre Valter Maria Arrigoni)


Ancora per una volta non offro una riflessione sul Vangelo della domenica prossima perché è la domenica di Pasqua ma degli spunti di riflessione per questa settimana santa, di Passione. Nel rito ambrosiano si chiama “settimana originale” perchè sta all’origine di ogni settimana. E’ il modello originale sul quale si modella il tempo dell’anima. Della vita alla luce di Dio. Il passaggio dalla morte alla vita. Il passaggio del dolore attraverso il venerdì santo della morte alla notte del sabato santo quando fra le tenebre si vede la luce della vita che trionfa, della risurrezione. Uno scrittore russo della letteratura clandestina, del samizdat, scriveva che “tanto più buia è la notte tanto più luminose brillano le stelle, quanto più profondo è il dolore tanto di più sarà la gioia”. Per questo in questa meditazione mi soffermo su alcuni aspetti della Passione, che abbiamo letto la domenica delle palme. Nel lavoro spirituale, nella fatica della conversione, quasi fosse un compito, una lezione, un insegnamento scolastico seguo l’insegnamento di san Bernardo di Chiaravalle che diceva “age quod agis”, fai bene quello che stai facendo. La tappa prima della Pasqua di risurrezione sono i tre giorni del dolore, del tradimento, della solitudine, del disprezzo, della morte. Direi anche della disperazione perché i protagonisti, Maria, Giovanni la Maddalena davanti alla morte di Gesù non fingevano di soffrire ma erano uomini davanti alla morte del figlio, dell’amico, della persona amata. Maria non era Addolorata per finta, non recitava ai piedi della croce. Maria era, in quel momento, una madre alla quale moriva in un modo drammatico il figlio unico. Partendo dalla lettura del Vangelo di domenica, liturgicamente chiamato il “Passio”, cioè la lettura della Passione, ci sono tre parole che sulle quali medito in questi giorni, che illuminano la mia preghiera: silenzio, uomo, preghiera. La prima parola è “silenzio”. Gesù vive la sua passione e morte nel rumore, fra le grida, nella violenza che è anch’essa un rumore, un “non silenzio”. Anzitutto occorre aver chiaro che rumore non sono solo le parole o quello che si sente con le orecchie. E’ rumore la violenza di certe immagini che vediamo quotidianamente durante i telegiornali. E’ rumore lo stupro, la pedofilia, la corruzione dei politici, le immagini pieni di sesso e di erotismo. E’ rumore anche la stupidità di certe trasmissioni (domenica ero a pranzo in una famiglia e sul primo canale della Rai c’erano alcuni che stavano discutendo su Wanna Marchi, Fabrizio Corona, come se fossero una questione di valori, di ideali. Ma quel che è peggio è stato l’aver visto l’interesse per questi argomenti!). Gesù soffre e muore in mezzo al rumore di una città che sta vivendo la vigilia della festa. Oltretutto dopo le quattro della sera tutto veniva chiuso perché si entrava nel giorno della Pasqua. Quando Gesù, carico della croce, passa per le vie di Gerusalemme la città non solo non si ferma ma viene addirittura infastidita da questo corteo del dolore fra le viuzze strette, gremite di folla, fra gente accalcata. Ho visto la stessa cosa attorno alla processione della palme o a quella, la sera prima, della giornata della gioventù. Mi ricordo venti anni fa, quando arrivai a Foggia, che quando passavano le processioni (palme, Corpus Domini, Icona vetere) le saracinesche venivano abbassate, la gente si faceva il segno della croce, tutto significava rispetto. Adesso non solo tutti i negozi rimangono aperti ma vedo gente indaffarata, distratta, infastidita dalla processione che rallenta il traffico, crea impedimenti. Vedo molti ragazzi, sempre più giovani, che con atteggiamento di sfida fumano e continuano a fumare, si sbaciucchiano, per dimostrare non solo il loro disinteresse ma anche il loro disprezzo. Silenzio davanti a Cristo che soffre e muore significa spegnere per questi giorni il rumore del mondo. Lasciare che siano gli occhi a vedere, ad ascoltare, a parlare. “Contempleranno Colui che hanno trafitto”. “Jesus autem tacebat” . in mezzo al gridare arrabbiato dei soldati, del sommo sacerdote Caifa, di suo suocero Hanna, dei falsi testimoni Gesù, dal canto suo taceva. Al rumore della violenza dei soldati che lo schiaffeggiavano, gli sputavano addosso, lo flagellavano, gli gridavano derisioni ed offese, Gesù taceva. Il suo sguardo di Dio fatto uomo, di uomo sacrificato, di uomo di benevolenza e di pace si posava con tenerezza, pace, dolcezza, perdono su chi gli faceva del male. Fermiamoci in silenzio a contemplare questo sguardo. Guardiamo e tacciamo. Questa notte c’è stato un terremoto terribile in Abruzzo e subito sono partite le parole. Inutili e vuote. Orribilmente scontate dei giornalisti, dei politici, di tutti i mestieranti del dolore. Finte compassioni. False condoglianze. Non vere promesse. Perché non rimanere in silenzio, guardare e darsi da fare senza parole? Perché non provare una vera compassione, che vuol dire”soffrire insieme”. Il silenzio non è non avere niente da dire ma lasciare che sia la vita, il cuore, l’anima a parlare. Silenzio vero ed umano, divino come quello di Gesù, non è non avere niente da dire, ma lasciare che parli la nostra vita, il nostro essere. Un proverbio dice “si nasce soli, si soffre soli, si muore soli”. Un aspetto del silenzio è la solitudine. Gesù che è stato circondato dalle folle per tutta la sua vita pubblica, cinquemila persone alle quali ha dato da mangiare pane e pesci, dodici apostoli, che lo seguivano, le pie donne che lo servivano. Tutta la gente che ha visto i suoi miracoli ed ascoltato i suoi insegnamenti. Di tutta questa gente alcune persone si sono trasformate in nemici che volevano la sua morte ed altri, i suoi più intimi, sono fuggiti lasciandolo solo. Lo stesso Pietro giura e spergiura di non conoscerlo. Hanno paura di subire la stessa sorte. Di essere anche essi crocifissi se riconosciuti suoi seguaci. Bestemmiatori come lui. Condannati a morte e crocifissi senza pietà, senza dignità, nudi davanti agli occhi di chi passa, di chi guarda con curiosità morbosa. Gesù soffre e muore solo. C’è la sua mamma, c’è Giovanni, la Maddalena, le altre Marie eppure lui grida la sua solitudine: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Già all’inizio di questa notte di Passione, nell’orto del Getsemani, i suoi discepoli si addormentano. Si sente solo ed abbandonato. Eppure accetta questa solitudine. Il silenzio cosmico. Addirittura il silenzio di Dio Padre al quale si rivolge (“Tu puoi allontanare da me questo calice”). Il “silentium Dei”. Dio che non viene in aiuto alla nostra morte ed al nostro dolore. O forse Dio che è presente in un modo diverso da quello che ci aspettiamo. Dio che è presente ma solo nel silenzio lo possiamo sentire. Nella nudità, nella solitudine, nella morte. Pietro dopo averlo rinnegato tre volte “pianse amaramente”. Il peccato, il tradimento lo hanno reso capace di lasciarsi penetrare, occupare nell’intimo dal vero Gesù, dal volto misericordioso, pieno di tenerezza e di perdono del Signore. Solo nel silenzio che lo contempla potremo vivere l’incontro con Gesù. Parteciperemo a processioni, sacre rappresentazioni, riti rumorosi, tradizionali, spesse volte organizzati dalla pro-loco ma vi chiedo di trovare il tempo per fermarvi, prendere in mano un crocifisso e contemplarlo. Imparare da Cristo che soffre e muore come si vive. Altrimenti il nostro sarà un cristianesimo senza Cristo. Non nel senso del consumismo del Natale, ma proprio dell’esistenza, della vita, del nostro dirci cristiani senza lasciare a Gesù uno spazio nel nostro modo di vivere e di essere. Il silenzio diventi in questa settimana santa del 2009 anche qualche momento di solitudine nel quale essere soli con se stessi e con Cristo. La seconda parola, il secondo spunto della riflessione, è la frase che il Centurione romano, un pagano, uno che non conosceva Gesù (né un ebreo e neppure uno dei discepoli) dice secondo l’evangelista Marco: “Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse:’Veramente questo uomo era Figlio di Dio’”. Penso spesso alla scena che si presentava a coloro che passavano, quel venerdì, davanti al Calvario, davanti alle tre croci. I delinquenti venivano infatti crocifissi in un posto dove potevano essere visti da molti perché la loro punizione fosse di monito agli altri perché non facessero le stesse cose. Passavano quel venerdì per entrare nella città di Gerusalemme, tanti perché era la vigilia di una festa importante, di quelle nelle quali i pii israeliti dovevano recarsi al Tempio. Passavano e vedevano tre uomini crocifissi. Uno di questi tre è Dio fatto uomo. E’ l’unica salvezza, l’unica risurrezione, l’unico perdono, l’unica vita vera. Cosa lo differenziava dagli altri due? Niente, assolutamente niente. Dio che si fa uomo, in tutto simile all’uomo, a me, si rivela come vero ed unico Dio, per come muore. Dio mi incontra sulla croce ed io posso incontrare Dio solo sulla croce. La croce di ogni uomo. Solo se divento capace di amare ogni uomo, di rispettarlo, di aiutarlo, addirittura di adorarlo divento capace trovare Dio, di amarlo, di pregarlo, di adorarlo. Inchinarsi davanti all’umanità sofferente. Cristo non è nella statua che portiamo in processione. Cristo non è nel crocifisso artistico di molte delle nostre chiese ma è in ogni uomo. Sono frasi, parole, concetti ripetuti tante, infinite, volte da me ma anche da tanti in questi duemila anni, eppure non hanno scalfito né la vita né il modo di pensare e di agire neppure di molti di coloro che si professano cristiani. Il silenzio, la solitudine, l’adorazione di Gesù contemplato anche nel volto del fratello che soffre (in questi giorni di coloro che vivono il dramma del terremoto) è la preghiera. Pregare non sono le parole che diciamo (che spesso sono il rumore che facciamo davanti a Dio) ma pregare è stare con Dio ogni istante della vita. Avere sempre presente il Signore, non come una idea lontana, astratta, ma come la presenza dell’amico dentro la mia vita. Il vangelo di domenica iniziava con il gesto della prostituta, in casa di Simone, che profuma con un profumo costosissimo Gesù. Un inutile spreco secondo alcuni dei presenti. Proprio come è inutile, per molti, il tempo dedicato alla preghiera. Pregando lasciamo entrare Gesù nella realtà della nostra vita dapprima e poi nel mondo. Come il profumo che si espande. Prima nel mio cuore, nella mia cela interiore, e poi da me nel mondo che mi circonda.
Silenzio che diventa solitudine, silenzio che diventa contemplazione di Dio attraverso il volto e le situazioni dei fratelli, silenzio che è la mia preghiera. Silenzio davanti alla croce di Gesù. Silenzio con Gesù sulla mia croce. Silenzio come unica possibilità per sentire la sua voce che mi parla. Silenzio come unica possibilità, sabato, nella notte, di incontrare il Risorto.

venerdì 16 gennaio 2009

"Sfida al Cardinal Bagnasco" (di Maria Petti)

Bus ateo scossa ai credenti
(Di Franco Garelli, tratto da “La Stampa” di Mercoledì, 14 Gennaio 2009)


E ora, dopo i bus atei, ci saranno quelli della fede? La campagna pro-incredulità promossa a Genova, che dal 4 febbraio vedrà due linee di autobus tappezzate da scritte che «di Dio si può fare a meno», armerà i muscoli di quanti sono allergici agli slogan choc contro il sacro? L’iniziativa che non ha precedenti nel nostro Paese è dell’Unione degli atei e dei razionalisti italiani (Uaar), vogliosa di ristabilire la par condicio «comunicativa» sulle questioni religiose, spingendo i mass media a dar risalto non solo ai messaggi della Chiesa ma anche alle posizioni dei «senza religione».
Il vento dell’ateismo spira dunque ancor forte in Italia e attraverso questa iniziativa intende far breccia soprattutto nel capoluogo ligure da qualche tempo diventato il simbolo di una contesa.
La contesa tra la pretesa della Chiesa cattolica di rappresentare i sentimenti più autentici degli italiani e un’area laica che rivendica la propria esistenza e presenza nella società pluralistica. È fin troppo evidente che questa campagna sull’inesistenza di Dio è una specie di sfida atea in casa del cardinal Bagnasco, vescovo della città e presidente della Cei, reo d’essersi dimostrato poco tenero nei confronti di alcune minoranze culturali. In giugno la curia genovese ha fatto di tutto per ostacolare lo svolgimento del Gay Pride in quella città, fissato nello stesso giorno del Corpus Domini. Inoltre, il prelato ha più volte ribadito le posizioni della Chiesa sui temi cari ai cattolici (famiglia, vita, bioetica, eterosessualità, scienza), sminuendo - questa l’accusa - quanti hanno orientamenti diversi. La campagna pubblicitaria s’iscrive quindi nel clima ad alta tensione che da qualche tempo caratterizza i rapporti tra Chiesa e mondo laico, parte del quale reagisce con fastidio a una Chiesa sempre più protagonista nel campo culturale ed etico, e che continua a identificare l’Italia tout court con l’Italia cattolica. Come ci dice il mercato editoriale, oggi il libro di argomento religioso vende bene, ma a un doppio livello: non soltanto i testi di spiritualità o che parlano a favore della fede, ma anche i pamphlet che denunciano le ingenuità di una religione ancora arcaica e incantata e quelli che denunciano lo strapotere clericale nella società.
Genova e l’Italia, comunque, non detengono il primato della svolta antireligiosa e anticlericale. Da tempo iniziative analoghe sono presenti in alcune metropoli del mondo, tra cui Londra, Washington e varie città spagnole. Si tratta di rigurgiti o reazioni a gruppi religiosi che manifestano attivamente nella società pluralistica le proprie convinzioni, che si mobilitano contro il divorzio e l’aborto, portatori di quella cultura pro-life che tende a contrastare quella pro-choice. In Belgio, addirittura, gruppi di atei hanno da tempo costituito una sorta di associazione para-religiosa a difesa dei propri orientamenti e valori, rivendicando dallo Stato un finanziamento pubblico alla stessa stregua di quello accordato alle diverse confessioni religiose. Anche l’ateismo può essere un oggetto di propaganda, come le chiese promuovono i valori religiosi. Anche l’Italia, dunque, sembra partecipare di tendenze presenti in ogni dove.
A ben guardare, la pubblicità pro-ateismo può anche servire alla causa della fede religiosa. Nel senso che può scuotere dall’indifferenza molti credenti per caso o per tradizione, che si trascinano nel tempo un vago orientamento di fede senza un’adeguata riflessione e approfondimento. La promozione dell’incredulità può anche spingere qualcuno a uscire da uno stallo sulla questione religiosa che gli impedisce una più piena comprensione di sé e del mondo. Forse è anche guardando a questa opportunità che gli ambienti ecclesiali (sia genovesi che nazionali) non hanno troppo preso sul serio l’iniziativa, per cui non è detto che essa dia il via a una catena di reazioni, che, nel caso specifico, arricchirebbe le aziende di trasporto delle nostre città. I bus atei ci possono stare, rientrano nella provocazione creativa, se dietro essi non si nasconde una crociata di cattiverie contro la religione e la Chiesa.
Articoli come questi non mi fanno rabbia, dispiacere sì; ma è anche vero che la fede è un dono e che atei e credenti vedono l’uomo, la vita, il mondo, tutto ciò che ci circonda in maniera opposta. Peccato però che queste persone intelligenti e razionali, che hanno fatto della loro presunta intelligenza un dio, non sanno dare un significato alla gioia, alla vita (il massimo delle loro aspirazioni può essere “godiamocela finché possiamo!”, sì, va bene, ma poi?!), ma soprattutto al dolore, alla morte e, contraddizione delle contraddizioni, a se stesse.
Questi sono articoli che non mi fanno certo perdere la fede, e nemmeno ci riescono le “intellighenzie” che stanno dietro a queste iniziative, anzi… mi spingono ad aggrapparmi ad essa ancora di più e sperimento ancora più forte il dono che mi è stato fatto e a dare Dio e tutto ciò che lo riguarda meno scontato. Eh sì perché, a ben pensarci, e lo dico soprattutto a me stessa, l’abitudine per un credente è molto pericolosa: si rischia, senza accorgersene, di finire ad adorare un Dio di carta, mentre Dio si è fatto carne, altro che carta! Sono polemica? Ma se non lo si è per ciò che riguarda le cose di Dio, per chi o cosa lo si deve essere?! Ognuno è libero di scegliere ciò che vuole, però scusate, e lo dico spassionatamente, io ho scelto Dio al nulla.

Maria Petti

giovedì 15 gennaio 2009

"Riflessioni" (di Lucia Fretta)

Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione della sorella Lucia Fretta, impegnata in prima linea nel progetto "Agape Fraterna" ed in quello più gioioso, ma non meno importante, della musica, canto ed animazione "Granelli di Sabbia".

Ciao a tutti, volevo inviarvi queste lettere di San Giovanni che erano le letture delle messe della settimana scorsa dopo l'Epifania; penso che dicano qualcosa di importante e di utile anche per noi sia come persone che vivono nel mondo a contatto ogni giorno con gli altri uomini (anche se non li conosciamo) sia come gruppo di fratelli... penso che veramente ci possono aiutare a riflettere e a pensare... personalmente mi metto in discussione e penso soprattutto che, se ci vogliamo bene in Gesù, dobbiamo continuare a crescere insieme se ci teniamo ed essere sinceri e leali gli uni verso gli altri... amarci e rispettarci perchè se mettiamo questo fondamento sempre ed esclusivamente unito alla semplice preghiera (sottolineo PREGHIERA) si può costruire la casa sulla roccia e quindi qualsiasi tipo di tempesta arriverà si potrà affrontarla ed annientarla... credo molto in questo e sono più che sicura che le cose che vengono da Dio e coltivate solo in Lui possano andare avanti!!!!
Lucia Maria Fretta.
7 GENNAIO
FERIA DEL TEMPO DI NATALE DOPO L'EPIFANIA
MESSALE
Prima Lettura 1 Gv 3,22 - 4,6
Mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono da Dio.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.
Carissimi, qualunque cosa chiediamo la riceviamo dal Padre, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato. Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Costoro sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore.
8 GENNAIO
FERIA DEL TEMPO DI NATALE DOPO L'EPIFANIA
MESSALE
Prima Lettura 1 Gv 4, 7-10
Dio è amore.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo.
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
9 GENNAIO
FERIA DEL TEMPO DI NATALE DOPO L'EPIFANIA
MESSALE
Prima Lettura 1 Gv 4, 11-18
Se ci amiamo gli uni agli altri, Dio rimane in noi.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. Per questo l'amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore.
10 GENNAIO
FERIA DEL TEMPO DI NATALE DOPO L'EPIFANIA
MESSALE
Prima Lettura 1 Gv 4,19 - 5,4
Chi ama Dio, ami anche il suo fratello.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, noi amiamo Dio, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello. Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede.
DOMENICA DOPO L'EPIFANIA
BATTESIMO DEL SIGNORE

Seconda Lettura 1 Gv 5, 1-9
Lo Spirito, l'acqua e il sangue.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e os­serviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che danno testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è superiore: e questa è la testimonianza di Dio, che egli ha dato riguardo al proprio Figlio.

mercoledì 14 gennaio 2009

Pietro e il Signore dei miracoli – “In compagnia di Pietro” (di Padre Fabrizio Carli)

Quasi tutti noi abbiamo sentito parlare delle cose grandi e meravigliose che il Signore può realizzare; abbiamo certo sentito parlare dei miracoli che avvengono in tutte le parti del mondo e in fondo nessuno di noi dubita che Dio, creatore di tutte le cose, possa fare miracoli.
Tuttavia, spesso pensiamo che Dio li faccia agli altri e non a noi. Io credo che Pietro, incontrando Gesù, fosse di questa stessa idea; e così una mattina piena di sole, quando il Signore salì sulla barca di Pietro per predicare da lì, questi rimase ammirato dalle sue parole. Che bel modo di parlare -pensò- come di uno che ha autorità. Di certo Pietro non si sarebbe mai aspettato che Gesù, ad un certo punto, gli dicesse: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca” (Lc. 5,4). Simone prontamente rispose: “Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti” (Lc. 5,5).
Anche se con molto rispetto, Pietro tra le righe dice a Gesù: “Signore, tu sei un falegname, un grande oratore, un grande maestro di Israele; però sono io il pescatore, io conosco il mare, so quello che produce e so anche che la pesca in pieno giorno è un’assurdità, una perdita di tempo; però per farti piacere getterò le reti”.
Indubbiamente, dopo il sermone di Gesù, era nata in Pietro la volontà di cambiare, ma non era così facile, come non lo è per noi. Come Pietro, tutti ci portiamo dietro un gran bagaglio di vizi, di atteggiamenti e di abitudini che ci intralciano nel compiere la volontà di Dio, ed è Cristo che ci aiuta a spogliarci di quello che ci è di impedimento nel seguirlo; possiamo dire che, in qualche modo, il Signore si serve delle circostanze della nostra vita ponendole al servizio del suo progetto per noi.
Il Signore, quel giorno, aveva approfittato del fatto che Simone e gli altri non avessero pescato nulla per operare un prodigio così grande da spingerli a confrontarsi con lui, con la sua verità. E così, gettate le reti in mare, pescarono una grande quantità di pesce, tanto che le reti si rompevano ed essi dovettero chiamare in aiuto i compagni dell’altra barca, che pure si riempì tanto che quasi affondava. L’evangelista Luca racconta che, vedendo ciò, Simon Pietro cadde in ginocchio davanti a Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc. 5,8).
Pietro aveva seguito senza convinzione l’invito di Gesù, ma adesso, come tutti quelli che erano con lui, era colto da grande stupore per la pesca che aveva fatto.
Allora Gesù disse a Pietro: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc. 5,10b). Ed essi tirarono le barche a terra e, lasciando tutto, lo seguirono.
Molte volta noi, che pure abbiamo voluto seguire il Signore, ci sentiamo “vuoti” di Gesù; vorremmo che egli controllasse la nostra vita, che vivesse in noi; combattiamo contro noi stessi, ma questo ci scoraggia. È necessario che venga il Cristo, vivo e realmente presente fra noi, a toccare la nostra vita con la sconvolgente esperienza di lui, perché possiamo sperimentare la sua presenza, la sua potenza, la sua signoria. Facendosi presente nella nostra vita, ci porta a riflettere profondamente sulla nostra realtà.
Questo è ciò che successe a Pietro. Quando ascoltò Gesù, egli lo sedusse. Quando gli disse di gettare le reti, Pietro, pur dubitando, obbedì, ma davanti a quella miracolosa pesca, egli non poté far altro che cadere in ginocchio e riconoscere apertamente la grandezza di Gesù e la propria piccolezza.
È quello il momento in cui Pietro scopre e accetta il suo essere peccatore e riconosce di non essere degno di stare accanto al Signore; allo stesso tempo Gesù gli mostra la sua infinita misericordia e gli ribatte la promessa di usarlo a servizio del Regno.
Chi non compie, nella sua vita, questo medesimo processo, non potrà avanzare molto sulla via del Signore. Finché ci sentiamo buoni, normali, senza problemi, non avremo nemmeno bisogno di Gesù.
Dobbiamo arrivare a sentire il nostro cuore spezzarsi per il dolore del peccato, per poter gridare con il salmista: Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia preghiera (Sal. 130,1-2).
Solo così, in queste condizioni, potrai aprire pienamente il cuore alla misericordia del tuo Dio.
Attraverso l’esperienza della pesca miracolosa Pietro scoprì un’altra realtà: Gesù gli andava rivelando quale sarebbe stata realmente la sua missione. Nel momento in cui il Signore aveva dato a Simone il nome di Pietro e gli aveva detto che sarebbe stato la roccia su cui edificare la Chiesa, non aveva certo chiarito le idee all’apostolo riguardo a ciò che voleva da lui. In questo caso, invece, Gesù è più preciso e conforta il cuore di Pietro: “D’ora in poi sarai pescatore di uomini”.
Che grande impressione per Pietro, che vedeva la sua miseria e il suo peccato, ascoltare quella voce meravigliosa che diceva: “Dimentica il tuo peccato perché io lo guarisco. Comincia a camminare, mettiti al lavoro, perché ho bisogno che il mio amore giunga agli uomini per mezzo di te. Da adesso userai una nuova esca per pescare, cioè l’annuncio del Regno dei cieli”. Sembra quasi incredibile il destino che il Signore ha preparato per quelli che confidano in lui! Appena lo scopriamo possiamo dire con San Paolo: Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo e ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: Chi si vanta si vanti nel Signore (1Cor. 1,27-31).
Una terza conseguenza deriva da questo incontro con il Signore dei miracoli: Pietro, infatti, non si preoccupa di recarsi al mercato con tutto quel pesce per concludere l’’affare della sua vita e nemmeno propone a Gesù di diventare suo socio e fondare quella che oggi definiremmo una “multinazionale”. Era come se all’improvviso per Pietro, pescatore da una vita, la pesca e il pesce non avessero più alcuna importanza: ciò che veramente contava era seguire Gesù, in quel momento egli si consegnava totalmente a lui e, lasciando tutto, lo seguì.
Il Vangelo ci parlerà poi della barca di Pietro, della sua casa e perfino di sua suocera; ed è allora che ci si domanda: che cosa ha in realtà lasciato Pietro? Oggi si sente spesso parlare di povertà radicale, ma dobbiamo capire quello che gli apostoli lasciarono per poterli imitare: Pietro lasciò Pietro.
Egli consegnò il suo cuore e il suo spirito a Dio.
Scoprì che la cosa più grande nella sua vita era la necessità che aveva dell’amore di Dio; scoprendo questo, tutto il resto passò in second’ordine nella sua vita, ed egli trovò la sua vera dimensione. La sua barca e la sua casa divennero luoghi d’incontro con Gesù, dove cresceva e si sviluppava la comunità d’amore sotto la guida del Salvatore.
Signore Gesù, anche noi ti abbiamo scoperto, perché tu con prodigi e segni, hai chiamato ognuno di noi per nome e ci hai affidato una missione. Dacci, Signore, umiltà per riconoscere la nostra piccolezza confrontata con la tua gloria, e per poterci vantare solo in te. Dacci coraggio e generosità per rinunciare al nostro io e affidarti tutto il nostro essere, pienamente e totalmente, senza rancori e senza sotterfugi.
Fa' che quelle cose che ci appartengono diventino secondarie e che le usiamo solo per incontrarci con te, nell’amore per i nostri fratelli. Aiutaci a “pescare”, Signore, per te e con il tuo stile, tutte le persone che incrociano la nostra strada; e fa' che, alla fine della nostra giornata, possiamo dire: “Siamo servi, non dobbiamo far altro che compiere il nostro dovere”. Con la speranza che tu, Signore nostro, ci dica con infinita tenerezza: “Vieni, servo buono e fedele, a godere della gloria del tuo Signore”.

Domanda:
Gesù, come Pietro, ti sta cambiando e ha compiuto meraviglie nella tua vita. Te ne sei reso conto? Come?

MEDITAZIONE
Rifletti:
- se hai trovato la vera dimensione di tutto quello che ti circonda;
- su che cosa hai lasciato in realtà per seguire Gesù.

TRACCE DI RIFLESSIONE

Per mezzo dei suoi miracoli, il Signore insegna che chi si dedica al suo apostolato sarà pescatore di uomini. Io vedo con quanto amore e con quanta gioia, nella mia comunità, molti fratelli si impegnano nell’evangelizzazione. Osservo anche che alcuni si stancano presto. Sarà il peso dei peccati?
Gesù ci ha chiamati senza considerare il nostro peccato e la sua chiamata serve a convertirci, a farci lavorare per il suo Regno e così dargli gloria.
Noi ci sentiamo spesso coloro che sono scelti, ma gli rispondiamo come lui vuole? Quanti, finora, abbiamo evangelizzato? Credo ben pochi. Io confesso che non sempre ho approfittato del mio tempo per realizzare ciò che Gesù vuole; tuttavia, quando lo faccio, Dio mi aiuta e mi ascolta guidandomi attraverso lo Spirito Santo.
Signore, riconosco di aver urgenza del tuo amore.
Continua a trasformare la mia opaca esistenza. Fa’ che possa brillare con la luce della tua presenza.
Signore, per poterti incontrare, ho dovuto rendermi conto della mia piccolezza; vicino a te che sei il Signore comprendo la tua immensa bontà perché, malgrado la mia miseria, ti occupi di me, mi aiuti, mi consoli nelle mie angosce, mi accogli fra le tue braccia nei momenti di debolezza. Sempre, quando ho bisogno di te, tu sei pronto ad aiutarmi. Adesso capisco che, durante tutta la mia vita, anche se non lo sapevo, tu eri sempre vicino a me; ma adesso mi rendo conto che tutti i giorni mi fai “partecipe” dei tuoi miracoli, che continuamente posso ringraziarti per qualche cosa, talvolta anche di cose tanto insignificanti che sembra impossibile che tu te ne curi. Vorrei ricambiare in qualche modo, ma che potrei fare per te, Signore? È così poco quello che sono capace di fare; ma voglio darti il mio cuore e tutto il mio essere e voglio incontrarmi con te in ogni momento del giorno e servirti e lodarti tutti i giorni della mia vita.

martedì 13 gennaio 2009

CHE COSA CERCATE? (di Padre Valter Arrigoni)

Comincia con questa domenica il tempo ordinario. Dovremmo esserci riempiti di stupore, di meraviglia, di pace, di gioia, di serenità in questi giorni dedicati al mistero del Dio fattosi uomo. Dovremmo avere lasciato spazio a Gesù nella nostra vita e nel nostro cuore per riempire di Lui gli spazi di desiderio. Aver trovato in Cristo le risposte alle nostre domande. Dovremmo riprendere la quotidianità del lavoro, dei rapporti nella famiglia, nei luoghi dove lavoriamo o studiamo, fino a dove facciamo la spesa. Dovremmo aver cambiato il nostro modo di stare in ascensore con i nostri vicini di casa. Dovrebbe trasparire anche dal nostro volto la gioia di chi ha incontrato Dio, sua Madre, san Giuseppe, gli angeli. Le nostre strade dovrebbero essere piene di Re Magi, di pastori che ritornano dalla mangiatoia e dalla casa dove abbiamo, come loro, visto con i nostri occhi e toccato con le nostre mani il Verbo di Dio fatto uomo. Se non è così allora significa che anche questo tempo di Natale è passato inutilmente. Gesù è passato, ha bussato ma noi non gli abbiamo aperto. Forse non lo abbiamo sentito perché assordati dai rumori delle nostre case dove si brindava al nuovo anno ed ancor prima delle mense di Natale. Non lo abbiamo visto troppo presi dal guardare i regali ricevuti, dall’aprire i pacchetti colorati dove era riposta la nostra gioiosa speranza di ricevere ciò che si voleva. I nostri bambini erano distratti dai doni per poter vedere e capire il Dono di Dio. Un po’ come nelle prime comunioni dove a Gesù che si riceve nel cuore viene anteposto tutto il resto dalla festa, al pranzo, ai regali, al ricordino. Forse ancora una volta tutti i buoni propositi, le intenzioni di un Natale essenziale, quasi povero, centrato sul Signore hanno lasciato il posto alle cose del mondo. Ancora una volta Dio ha trovato il nostro cuore preoccupato, già occupato, occupato prima, per cui per Lui non c’era posto. E Dio è passato oltre. Riprendiamo la nostra vita di tutti i giorni così come eravamo prima. Ci riprende la frenesia, la corsa, il tempo che fugge. Mi viene in mente il Mosè di Michelangelo con quei due “corni” sulla fronte che stanno a significare la luce, i raggi di luce, che uscivano dal suo volto dopo che aveva parlato con JHWH. Ritornava fra la sua gente così trasfigurato, così luminoso che gli ebrei non potevano guardarlo. Rimanevano abbagliati ed allora lui era costretto a velarsi il volto. San Paolo ci dice che noi invece possiamo guardare Dio faccia a faccia perché Dio si è fatto uomo, uno di noi, in Gesù Cristo. Le vie della nostra città, le case, le scuole, gli uffici, i negozi dovrebbero essere pieni della luce dei nostri volti che hanno contemplato, visto il Mistero. Ci siamo riempiti di Lui. Gesù ha vinto le nostre tenebre, ha portato la sua luce negli angoli bui della nostra esistenza. Ed invece siamo qui con Giovanni, l’apostolo ed evangelista, con Andrea,il fratello di Pietro a seguire Gesù ancora pieni di domande. Il loro maestro, la guida alla quale si sono affidati nel cammino della ricerca della verità, della gioia, del senso dell’esistere, Giovanni il Battista ha detto loro: ”Ecco l’agnello di Dio”. Ed i due discepoli sentendolo parlare così lo seguirono. Il racconto del primo incontro con Gesù dal Vangelo di Giovanni è pieno di verbi, di azione. La vita di fede, la vita stessa non è un pigro restare fermi ma un muoversi, un andare. Alzarsi e seguire. Tutto è iniziato dall’uscire di casa perché qualcosa dentro era infelice, vuoto. Perché qualcosa dentro era una domanda senza risposta. La famiglia, il lavoro. Moglie e figli. La pesca. La società con il padre ed il fratello. I garzoni. Tutto questo lasciava uno spazio vuoto e questo spazio vuoto gridava la sua domanda. Era come se non bastasse la vita. Tutti gli altri uomini. Le altre persone si accontentavano e quasi non capivano questo bisogno di un di più. Chissà quante volte Giovanni ed Andrea, e poi gli altri che seguirono il Maestro, si sono sentiti ripetere:”che cosa ti manca? Hai tutto!”. Come spiegarlo? Ancora oggi ogni volta che uno compie un gesto di libertà, fa una scelta coraggiosa, lascia tutto per mettersi alla sequela del Maestro non viene capito. Se poi la scelta è quella della vita eremitica o contemplativa è ancora peggio. Questo mondo, e forse anche molti uomini di chiesa, arrivano a comprendere chi parte per le missioni, chi aiuta gli altri, chi agisce per coloro che hanno bisogno. Chi invece si mette, con Maria, ai piedi del Maestro, lo ascolta, pende dalle sue labbra, impara a memoria la sua Parola, cerca di capire sempre di più quello che ha detto e fatto, viene tacciato di essere inutile. La clausura e l’eremo sono capiti da pochi! Giovanni ed Andrea lasciarono la casa e si misero alla sequela del Battista. Si fidarono e si affidarono a lui. Imparavano da lui. Per questo quando il loro maestro fissò lo sguardo su Gesù che passava e disse “ecco l’agnello di Dio” lasciarono anche il Battista e seguirono Gesù. E’ il compito della guida spirituale. E’ il compito dell’amico e del genitore. E’ il compito di chi insegna. Il compito di scomparire davanti alla Verità, a Bene alla Bellezza. Portare chi si affida a noi nella ricerca a riconoscere ciò che cerca e chi si cerca. Giovanni il Battista scompare. Rimangono i suoi discepoli ed il Maestro vero, buono e bello. Lo seguirono, egli si girò, chiese loro: “che cosa cercate?”. E loro rispondono: “Rabbi (che vuol dire maestro” dove abiti”. La ricerca della felicità passa da un “che cosa” ad un “chi”. Possiamo ridire la risposta dei discepoli: “non cerchiamo qualche cosa, siamo sazi delle cose, non ci riempiono, non ci danno niente le cose. Vogliamo Te. Colui che ci ha guidati fino ad ora, colui al quale ci siamo affidati e fidati ci ha detto di seguire te. Tu sei l’agnello di Dio. La vittima per i nostri peccati, per le vite sbagliate. Tu sei venuto da Dio ed a Lui ci riporti. Vogliamo restare con te. In greco “mainein” che significa vogliamo trovare in te la nostra consistenza. Come la casa sulla roccia della parabola che percossa dal vento, dalla tempesta, dallo straripare dei fiumi “mainei”, resta salda, consiste. L’avvenimento è così importante che Giovanni, il quale secondo la tradizione scrive il suo Vangelo quando è già vecchio, circa a novanta anni, nell’isola di Patmos, dove era al confino, si ricorda l’ora. “Erano le quattro del pomeriggio”. La sua domanda per la vita ha trovato la risposta. E la risposta non è un discorso, una idea ma una persona. Giovanni ama questa persona. Questa persona ama Giovanni. Giovanni è il discepolo prediletto, colui che Gesù amava. Giovanni diventa il teologo, colui che conosce Dio, l’esperto di Dio, colui che ne fa una esperienza così profonda e radicale (nel senso che tocca la radice del suo essere) da scrivere il Vangelo teologico, spirituale, per eccellenza. Il simbolo di Giovanni è l’aquila perché secondo il bestiario antico è l’animale che può fissare lo sguardo nel sole senza rimanerne accecato. Torniamo al sole, alla luce, al guardare e contemplare Dio, il suo Verbo fatto uomo. Mosè e Giovanni. Fissano lo sguardo sul Dio, sul mistero. Lo stesso Giovanni finisce il suo racconto della crocifissione citando il profeta Zaccaria: “Volgeranno lo sguardo su colui che hanno trafitto”. Il racconto della vocazione dei primi due discepoli, Giovanni ed Andrea, è un rincorrersi di occhiate, di sguardi. E’ un guardare dentro cercando la verità di chi ti sta di fronte. E’ un guardare che è anche un ascoltare. Il Battista vede Gesù che passa e lo indica ai suoi discepoli. Giovanni ed Andrea guardano, vedono e seguono. Gesù si volge, li vede e pone loro la domanda esistenziale. Ma accanto al guardare c’è un muoversi, un movimento. Uscire di casa, seguire il Precursore, seguire Gesù, restare con Gesù, tornare a casa, mettersi alla sequela del Cristo, andare, dopo la sua morte e risurrezione a testimoniare colui che si è incontrato. Arrivare a morire martiri (per Andrea e per molti degli apostoli) per quell’uomo sul quale alle quattro di quel pomeriggio si è fissato il loro sguardo.

Arrigoni Valter

lunedì 12 gennaio 2009

Simone incontra Gesù - "In compagnia di Pietro" (di Padre Fabrizio Carli)

Torniamo al lago di Tiberiade, quella mattina in cui Simone lavava le reti, frustrato e di cattivo umore per aver passato tutta la notte senza aver pescato nulla. Ma quella mattina quegli occhi che lo guardavano da un’eternità senza che lui se ne rendesse conto, lo fissarono intensamente; egli aveva già saputo di Gesù da Andrea, che voleva presentarglielo. Il loro incontro ci è raccontato in modo molto profondo dall’evangelista Giovanni:
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: “ Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv. 1,40-42).

Forse non abbiamo ancora scoperto nel profondo ciò che significano queste parole di Gesù; in esse possiamo già scorgere la grande verità e la grande promessa. Ma analizziamole un po’ meglio: “Simone, figlio di Giovanni!”: in tre parole il Signore racconta tutta la storia dell’uomo vecchio, cioè di Simone, sin dalla sua nascita. Ne aveva già conosciuto le tentazioni e le debolezze, i peccati, le lotte interiori e le ribellioni, ne conosceva il temperamento.
A Simone, figlio di Giovanni, Gesù avrebbe potuto dire ogni cosa delle sue liti e delle sue risse, della sua dedizione al peccato, delle sue qualità naturali di uomo molto dotato che tuttavia porta nel cuore il peso di tutta la sua miseria. Gesù, invece di gettare in faccia a Pietro queste pesanti verità, gli fa una promessa che, a tempo opportuno, si compirà, come sempre accade per la parola di Dio.
Questa promessa, tuttavia, non si realizzerà secondo i modi e i tempi di Pietro, ma secondo quelli di Gesù. Pietro sarà la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa, ma questo grande masso dovrà essere spezzato, scolpito, limato, per poter sostenere il grande progetto dell’ “Architetto”.
Per quest’uomo Gesù prepara un cambiamento del suo stato attuale: “Tu sei Simone, diventerai Pietro”. In quel momento Simone era ben lontano dall’essere una roccia e Cristo lo sapeva bene, ma sapeva anche che sarebbe venuto il tempo in cui Pietro, insieme agli altri apostoli, avrebbe trasformato il mondo con al potenza dello Spirito Santo.
Così scrive San Paolo nella Prima lettera ai Tessalonicesi: “Coli che vi chiama è fedele e farà tutto questo!” (5,24). Pietro doveva percorrere un cammino particolare nel corso della sua vita, attraverso esperienze molto diverse tra loro: doveva crescere spiritualmente e cambiare in modo radicale la sua mentalità, il suo carattere, le sue abitudini; doveva lasciare da parte il suo egoismo per potersi dare agli altri; doveva smettere di essere egli stesso il centro della sua vita per lasciare spazio a Gesù.
Attraverso il racconto dei Vangeli ci rendiamo conto che in varie occasioni Pietro era l’apostolo più lodato per i suoi progressi, come quando riconosce Gesù quale Figlio di Dio: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt. 16,17); ma allo stesso tempo il più criticato, allorché non vuole accettare il pensiero della futura morte di Gesù: “Lungi da me, satana” (Mt. 16,23).
Pietro non sapeva quel che gli sarebbe successo nella vita, né poteva immaginarlo; sapeva soltanto di aver incontrato il Signore: qualcuno degno di essere seguito. Il Vangelo ci racconta che gli apostoli lasciarono tutto per seguire Cristo, ma la cosa davvero importante non è la scelta di abbandonare ogni cosa, quanto quella di seguire il Maestro: “ Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (Mt. 13,44).
Dal momento in cui Pietro accetterà di seguire Gesù, il suo compito sarà quello di tenere gli occhi fissi su quel tesoro, senza mai volgersi indietro.
Questo ci fa riflettere sulla nostra vita, sulle esperienze che abbiamo vissuto, sul nostro comportamento spirituale: Gesù ci chiama tutti per nome, e questo nome rappresenta, come nel caso di Simone, l’uomo vecchio e peccatore che Cristo ha, in seguito, cambiato e redento.
Quante volte, tuttavia, invece di dire a Gesù il nostro “eccomi” gli contrapponiamo la nostra durezza di cuore e gli impediamo così di entrare nella nostra vita. Molto spesso è difficile per noi accettare la misericordia di Dio; forse perché talvolta non siamo in grado di perdonare nemmeno a noi stessi, o forse perché misuriamo la bontà di Dio con la nostra. Immaginiamo un Dio meschino, limitato nella tenerezza nella compassione, come se, ad un determinato punto, oltre un certo peccato, la sua misericordia dovesse finire. Dimentichiamo che egli è totalmente “altro”, il misericordioso, l’eterna bontà, l’amore infinito e perfetto.
Se egli viene a noi accettandoci come siamo, allo stesso modo esige che lo accettiamo come è, senza limitazioni: Padre di amore e di bontà.
Già le prime parole di Gesù prefiguravano, per Pietro, una promessa, ed egli pensava di dover fallire, nonostante dietro questa consegna ci fosse tutto il potere di Cristo. Io mi domando allora: se quella promessa, che ancora oggi è la stessa, si compì in Pietro, perché non dovrebbe compiersi anche per me? Tutte le debolezze, i problemi, i peccati e le passioni, che sommuovono così spesso il mio cuore, erano le stesse che turbavano anche il cuore di Simone; tuttavia, quando Gesù termina la sua opera di “trasformazione”, nasce il grande apostolo che fu Pietro.
Dobbiamo vivere coscienti, fiduciosi e pieni di speranza nella grande promessa di Gesù, per la quale siamo figli di Dio e avremo parte del suo Regno, perché…colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù (Fil. 1,6). L’opera di Dio in noi avviene attraverso il cambiamento e la trasformazione, anche se noi ne dubitiamo poiché siamo consapevoli della difficoltà della lotta contro noi stessi, e sappiamo quanto siano radicate le nostre passioni. Ma il potere di Cristo vince per noi, se soltanto sappiamo essere docili a questa trasformazione.
Tutte le cose insignificanti che ci procurano il piacere del mondo e ci tengono in schiavitù, ci fanno dimenticare la grande avventura di Dio; siamo chiamati, tuttavia, a non guardare a ciò che ci lasciamo indietro, ma a comportarci come quell’uomo della parabola che, una volta trovato il tesoro nel campo, non rimpiangere ciò che ha impegnato per averlo.
Domanda
Sei cosciente della chiamata del Signore e della sua promessa di salvezza? Come?
MEDITAZIONE
Domandati se continui a guardarti indietro, verso quelle cose che ti tenevano schiavo nel peccato, oppure se lasci tutto nelle mani di Gesù cercando di camminare con lui verso il suo Regno.
TRACCE DI RIFLESSIONE
Desidero assolutamente con tutto il cuore camminare con il Signore verso il suo Regno e gli ho consegnato la sola cosa che è mia: il mio peccato; non voglio più essere legato a ciò che non potrà mai darmi la vera felicità. A volte mi capita di guardarmi indietro e sentire che si risveglia ciò che era apparentemente morto, come se di nuovo volesse dominarmi: la differenza è che adesso non mi dà piacere, ma al contrario, quando mi accade, quasi inconsapevolmente, mi aiuta nella disciplina, facendomi comprendere chiaramente quali sono – quasi sempre le stesse – le mie debolezze. Gesù, nella sua bontà, continua a rivelarmele e allo stesso tempo mi dà la possibilità di allontanarmene, mettendomi nelle mani le armi per combatterle. E, al momento della battaglia, mi affascina essere suo soldato!

Come Pietro, anch’io ho avuto questo primo incontro con il Signore, quando ho sentito il suo sguardo dolce e profondo con il quale mi chiamava; quando lo incontrai ricevetti tutta la consolazione di cui avevo bisogno in quel momento della mia vita.
Egli venne a me quando ne avevo maggiormente bisogno; quando la vita mi era diventata difficile da vivere, quando oramai nulla aveva senso. Cercavo solo di continuare a lottare per portare avanti i miei figli, ma senza speranza, senza incentivo.
Tuttavia, come tanti altri, anch’io cercavo qualcosa che sapevo esistesse, pur senza riuscire a trovarla. Questo incontro venne a cambiare tutto; mi sono sentito amato e fortificato e, soprattutto, la mia vita ha acquistato uno scopo e una meta. Avevo incontrato qualcuno che mi spingeva a vivere e a lottare, e la cosa più importante è che lo facevo, finalmente, pieno di gioia e di speranza. Dopo tre anni da questa chiamata, capisco che il Signore è veramente fedele, che tutte le sue promesse si stanno compiendo in me; che la mia vita ora è piena di frutti d’amore e di pace; che conoscere e seguire Gesù, rende la nostra vita piena e degna di essere vissuta.
Io chiedo a Gesù la docilità, per accettare il suo piano nella mia vita, per permettergli di continuare a trasformarmi, affinché, come Pietro, possa terminare la sua opera in me.

domenica 11 gennaio 2009

Un coraggioso programma di vita (di Mons. Andrea Gemma)


di Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Andrea Gemma

(Vescovo di Santa Romana Chiesa)
(Articolo tratto da "Petrus" - Il quotidiano on line sull'Apostolato di Benedetto XVI)

CITTA’ DEL VATICANO - La colletta che il Messale Romano colloca alla data del 2 Gennaio, nella memoria dei Santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, è straordinariamente bella. Evidentemente chi l’ha dettata ha tenuto presente la collocazione di tale memoria all’inizio del nuovo anno civile e ha voluto stimolare ogni uomo saggio ad approfittare del nuovo inizio per una più degna impostazione della propria vita. Si tratta, insomma, di un non sottinteso invito a far tesoro della circostanza per il bene della propria anima. La colletta, dopo aver chiesto a Dio uno “spirito umile e ardente”, implora una piena “conoscenza della verità” e di “attuarla con un coraggioso programma di vita”. Specie quest’ultima espressione non poteva non prestarsi ad una approfondita e meditata riflessione, cosa che per me non ho voluto tralasciare. Vorrei rispondere, pertanto, a queste tre domande: Perché un programma di vita? Quale programma di vita? E perché un programma coraggioso? Rispondiamo alla prima domanda. Ogni cosa bella, ogni cosa grande, ogni meta desiderabile deve necessariamente essere preparata da una programmazione, ossia dalla previsione esatta del traguardo da raggiungere, del tempo da impiegarvi, dalla predisposizione dei mezzi necessari per conseguirla, della previsione delle difficoltà e dall’adeguamento ottimale delle proprie forze per conseguire lo scopo. Il navigante, se non vuole sbagliare la rotta, deve sapere la destinazione verso cui dirigersi, le strade che meglio vi conducono, e deve procurarsi il carburante che alimenterà il motore della sua nave, evitando il pericolo di doversi arrestare in panne. Chi si mettesse in mare senza tutte queste precise cognizioni sarebbe certamente dichiarato imprevidente e impari al suo compito e sicuramente destinato al naufragio. La vita - usciamo di metafora - è un vasto mare, spesso tempestoso, da attraversare con la nostra debole personalità, individuale e comunitaria: bisognerà dunque conoscerne bene la meta finale per desiderarla ed arrivarvi. Bisognerà pure conoscere quelle che potremmo chiamare tappe intermedie, per prendere ristoro e per procurarsi il necessario rifornimento. È doveroso pure aver ben presente innanzi agli occhi della mente gli eventuali pericoli a cui la traversata può andare incontro, onde scansarvi con sicurezza. È pure saggezza procurarsi con accurata selezione buoni compagni di viaggio che dividano con noi le fatiche della navigazione. E poi è assolutamente necessario poter contare su una abbondante scorta di viveri. Tutto questo comporta avere preciso innanzi a sé un dettagliato “programma di vita”, assicurando parimenti a se stessi la tenacia e l’impregno di esservi fedele. Si capisce allora come in una società che banalizza ogni cosa, compresa l’esistenza propria ed altrui, che naviga, come si usa dire, “a vista”, sia dovere impreteribile di chi non voglia “vivere a caso”, avere sempre pronto ed in efficienza un bagaglio di cognizioni e di energie spirituali per non restare indietro e addirittura finire sommerso. Quando si sente prorompere qualcuno nella tragica constatazione “nella mia vita ho sbagliato tutto”, si dovrà dire che è mancata la programmazione di cui stiamo parlando. Rispondiamo ora alla seconda domanda. Quale sarà il nostro programma di vita? Per nostra fortuna, di noi che abbiamo il privilegio e la gioia di credere nel supremo “dator di vita”, il programma fondamentale è già tracciato: è un dono misericordioso dell’Onnipotente il quale, come dice il Concilio, ha voluto “parlare agli uomini come ad amici” ed ha indicato nella sua santa Legge i percorsi fondamentali ed insostituibili che una vita degna di esser vissuta deve percorrere, come peraltro già riconosceva il popolo d’Israele. La Legge di Dio, come è stato giustamente rilevato, è ciò che per un treno veloce è il binario, saldo, duttile, scorrevole, condizione impreteribile perché il convoglio raggiunga la destinazione. Alla fondamentale Legge di Dio, la quale coincide con la cosiddetta “legge naturale”, iscritta per di più nell’intimo di ogni coscienza, gli uomini docili ad una superiore saggezza hanno aggiunto, ad ulteriore determinazione e facilitazione, altre leggi che di quelle prime fossero la pratica attuazione. Così, ai seguaci di Cristo, che hanno per legge inderogabile il Vangelo, uomini saggi hanno fatto seguire monumentali corpi legislativi che mantengono, a tutt’oggi, il loro grande valore. Ecco i nomi di alcuni di questi sapientissimi legislatori: Agostino, Basilio, Benedetto, Francesco. Ogni regola composta da questi legislatori, a commento del Vangelo, ha costituito e costituisce per molti un accessibile e proficuo programma di vita, seguendo il quale non si fallisce la meta. Sennonché, ad ulteriore e necessaria specificazione, ognuno di noi deve proporsi, nell’ultima capillare attuazione, un suo proprio, personale, programma di vita. Il che è quanto dire che ogni uomo ha una sua individuale, inconfondibile vocazione a cui egli, ed egli solo, può e deve rispondere con la grazia di Dio e la sua buona volontà. D’altra parte, avere a portata di mano un preciso, direi minuzioso, programma di vita significherà in definitiva mettere ordine nella propria vita, evitare sciocche improvvisazioni, digressioni infauste o, peggio, definitivi fallimenti. Significherà, inoltre, efficienza e fruttificazione in ogni campo, da quello fisico a quello intellettuale, da quello spirituale a quello sociale. Mi rimane da rispondere al perché questo programma di vita, secondo il testo liturgico, debba essere “coraggioso”. Rispondo lapidariamente. Quanto più la meta è ardua e difficile - si pensi ad un abile scalatore -, tanto più è necessario munirsi di coraggio e di tenacia per non cedere alla stanchezza, allo scoramento e, soprattutto, a quella mediocrità, oggi imperante, la quale rischia di tarpare le ali, anche dei più generosi, e impedire loro gli arditi voli verso la pienezza. Se questa pienezza per noi discepoli di Cristo è la “perfezione del Padre celeste”, si capirà come soltanto un uomo coraggioso, deciso a tutto, di provata costanza, di indomita fermezza, potrà conseguire la meta desiderata. In questo - come è dolce costatarlo! - ci hanno preceduto miriadi di purissimi eroi, i Santi della Chiesa cattolica.

sabato 10 gennaio 2009

Comunicato nr. 3 - 10 Gennaio 2009

Martedì 6 Gennaio scorso, festa dell'Epifania, nel salone parrochhiale di Isola Sant'Antonio (AL), si è svolta la premiazione del tradizionale "Concorso dei Presepi".
Abbiamo animato la festa proponendo una selezione di canti su San Francesco.
Non credevamo ai nostri occhi quando abbiamo visto il coinvolgimento e la sintonia con i canti da noi proposti da parte delle persone presenti in sala. Ma la gioia più grande è stata quando tutti i bimbi hanno "preteso" che continuassimo a cantare perché loro volevano ballare, sapientemente coinvolti dalle "animatrici" dei Granelli.
Vogliamo ringraziare Don Giovanni, parroco di Isola Sant'Antonio, per la bellissima opportunità che ci ha dato nell'animare questi momenti di festa nel periodo natalizio.
Granelli di Sabbia


La felicità non è un diritto (di Padre Valter Arrigoni)

La felicità non è un diritto
Ma il frutto di una costruzione
Lenta, paziente, umile ed umiliata +
Tutta la vita, i giorni, ogni singolo gesto
Sono i mattoni di questo edificio +
Io da solo non basto
E neppure noi due soli
Ma se riusciamo a coinvolgere
Un terzo e poi un quarto
Diamo il via ad un fiume immenso
Che diventa mare ed oceano +
Disseteremo tutti e cambieremo il mondo +
Io e te non bastiamo da soli
Ma se io e te non iniziamo …
Niente inizia ...
Neppure la vita +
Padre Valter Maria Arrigoni
Natale 2008

giovedì 8 gennaio 2009

EPIFANIA (di Padre Valter Arrigoni)

Anzitutto occorre spiegare il nome della festa: epifania. E’ una parola greca che vuol dire manifestazione, far vedere fuori ciò che si è dentro. Svelare un mistero. La parola Epifania viene dall’unione del verbo “fainei” mostrare con la preposizione “epì” sopra, fuori, in superficie. C’è un mistero che san Paolo dice che è “avvolto nel silenzio da secoli”, ed è il mistero di Dio. L’indicibile. Colui del quale possiamo solo affermare ciò che non è perché quando diciamo delle definizioni, ci insegna san Tommaso d’Aquino, diciamo delle menzogne, tanto sono lontane le nostre affermazioni dalla verità di Dio. Tanto la nostra esperienza dista dalla realtà di Dio. “Come il cielo è alto sulla terra così le mie vie sono lontane dalle vostre vie, i miei pensieri dai vostri pensieri”. Possiamo solo adombrare, perché non possiamo “significar per verba”, come diceva Dante, o, come pregava san Francesco d’Assisi, “nullo homo ene digno te mentovare”. Questo Dio, l’unico Dio, il Solo, l’Onnipotente, il Creatore, il Misericordioso, il Vincitore della morte e del dolore, Colui che riempie della sua presenza potente tutto l’universo, che neppure i cieli ed i cieli dei cieli possono contenere, che ha fatto della terra il suo sgabello, questo Dio, Dio si è fatto uomo , si è manifestato. Tutto il senso delle feste che abbiamo vissuto in questo tempo: il Natale, la santa famiglia, la Madre di Dio, fino ad oggi, fino all’Epifania è il fermarsi e contemplare, nel silenzio il mistero che si è realizzato, che è divenuto realtà, che “si è fatto carne” qui, adesso, sotto i nostro occhi. Siamo stati, ancora una volta, chiamati a svuotare i nostri cuori per far spazio al Dio che viene, anzi che è venuto, nel mondo, dentro ciascuno di noi, nella vita e nel cuore di ogni uomo. Il tempo prima del Natale, il tempo dell’Avvento ci ha portato a svuotare dall’inutile, dal superfluo, falla vanità vuota, mortifera, disumana, falsa, bugiarda, la nostra vita per riempirci della domanda, del desiderio più vero, più profondamente umano, più liberante. Nel tempo prima del Natale siamo stati chiamati a spegnere i riflettori, le luci fatue della pubblicità, delle cose, della ricchezza, dell’inutile per poter vedere la sola luce vera, quella che illumina ogni uomo, quella che vene nel mondo. Ci insegna Giovanni: “la luce vera viene nel mondo ma il mondo non la accoglie”!. Dio si fa uomo, viene fera i suoi, viene a salvare l’umanità ma gli vengono chiuse le porte in faccia! Nasce povero, rifiutato, emarginato in una stalla perché non c’era posto per lui nell’albergo. Sempre san Giovanni, nel Prologo al suo Vangelo, scrive che “i suoi (in greco scrive idioi, i parenti, quelli di casa) non lo hanno accolto”. Gli esegeti dicono per paura delle spie di Erode che era re in Palestina senza essere ebreo, e temeva che qualcuno della casa di Davide rivendicasse il trono. Per questo aveva mandato spie a Betlemme, il paese di Davide. Per questo la presenza e la domanda dei Re Magi: “dove è nato il re di Israele?” lo ha angosciato e lo ha spinto a chiedere a questi stranieri di fargli sapere dove lo avrebbero trovato per andare anche lui ad omaggiarlo. Sappiamo però, dalla strage degli innocenti, quale sarebbe stato il suo omaggio. Dio si fa uomo ma gli uomini non lo hanno accolto, non lo hanno fatto entrare nelle loro case, nella loro vita, dentro di sé. Ancora oggi, dopo secoli, troppi uomini sono convinti che per affermare la propria dignità, la propria libertà occorre uccidere Dio, eliminarlo dalla storia. In Inghilterra la festa del Natale è stata sostituita, per rispetto alle altre religioni, con la festa dell’Inverno. Tolto Dio ma non il consumismo, la vendita, della festa. Ma forse per la maggior parte anche di noi non è accaduta la stessa cosa? Ho sentito una persona dire “finalmente sono finite queste maledette feste!”. Il ritrovarsi in famiglia per alcuni è stato riaprire ferite, odi, incomprensioni con genitori e fratelli. Il rumore assordante dei botti, dei canti di Natale amplificati nelle vie dei negozi, nei corridoi dei centri commerciali. L’esagerazione di luci, di addobbi (ho visto chiese con degli alberi di Natale, lucine, palline, babbi natale, pacchetti colorati, festoni ). Come possiamo sentire Dio se c’è troppo rumore? Come possiamo vedere dire se ci riempiamo di lucine, di scatole, di regali, di colorati e fastidiosi oggetti ed oggettini? Dio nella voce inaudita di un bambino? Negli occhi pieni di lacrime di un povero? Forse qualcuno pensa che Dio si sia fermato nelle case piene di cose, alle mense dove si sono abbuffati gli uomini? Qualcuno pensa che Gesù si nato accanto a bambini viziati e coperti di doni pretesi? Bambini sazi e capricciosi? Forse convinti di essere buoni perché hanno dato ai poveri i giocattoli (alcuni rotti, li ho visti quando ero Parroco), i vestitini che non vanno più bene o peggio che non sono più di moda. Ci sono persone che hanno speso migliaia di euro in regali “importanti” alle mogli e ai figli. Salvo poi tacitarsi la coscienza con qualche dolce, qualche pacco di pasta, scatola di pelati, salame, formaggio scadente, insalata russa avanzata. Alla fine del loro incontro con Gesù i Magi se ne tornarono a casa per un’altra via che l’angelo aveva indicato loro. Un’altra via cioè era accaduta nella loro vita una conversione. Una era la via, la vita, lo stile, seguito fino ad allora ed un’altra via, un’altra vita, un altro stile quello che iniziava con l’incontro con Gesù. I Magi, coraggiosi camminatori sulle vie degli uomini che cercano Dio. Sulle vie delle domande che rendono così sensibili da sentire il rumor delle stelle, del cosmo che gira, che si muove. I Magi che secondo la tradizione sono sepolti nel Duomo di Monaco perché la strada che hanno iniziato a Betlemme non li ha portati più a casa, alla vita di prima ma sulle strade del mondo, degli uomini. Che differenza fra il loro incontro con Dio, così bello e significativo, così gioioso e radicale, così esaustivo e toccante da cambiare la loro vita e quello che sento dire in questi giorni da persone che pure frequentano la chiesa! Finalmente queste feste sono finite! Non ne potevo più! Adesso dobbiamo metterci a dieta per smaltire! Dove è Dio? Dove il Natale? Dove Gesù bambino? Ma ancora chiediamoci:dove è l’uomo? Dove sono io? Cosa ne ho fatto dei miei ideali, dei sogni, dei progetti? Dove è la mia vita? Questo Natale era un’altra occasione che mi ha offerto Dio per essere uomo vero, per vivere la vita. Cosa ne ho fatto? Ho colto ed usato questa occasione oppure l’ho bruciata andando dietro al mondo, al “così fan tutti”, al ripetermi per convincermi “questo è il mondo in cui viviamo”. Nella speranza che queste false risposte anestetizzino, mettano a tacere, almeno addormentino il senso di fastidio, di fallimento, di noia, che il dopo festa porta con sé.
Io sono venuto qui nel mio eremo per tacere, per vedere le stelle e sentire il loro canto. Perché nel silenzio, nella solitudine, nell’essenzialità Dio si possa ancora far sentire e vedere. Qui non c’è il riscaldamento e sto davanti al camino a guardare le fiamme. E’ legno d’olivo, legno buono, che arde a lungo, che lascia un profumo buono. Per accendere il fuoco uso le pigne raccolte a fatica questa estate. In questa vita tutto ha senso,anche la fatica. Che differenza fra questa bellezza ed il rumore, le cose che non riempiono ma diventano stomachevoli, fastidiose. Che differenza fra la notte e la mancanza di luce!
Valter Arrigoni

mercoledì 7 gennaio 2009

ANNO NUOVO VITA NUOVA (di Padre Valter Arrigoni)

Il primo gennaio la Chiesa lo dedica alla Madre di Dio ed alla giornata della pace. Si tratta di porre l’accento e la nostra meditazione sul senso della vita. Affermare fin dall’inizio dell’anno per noi credenti che con l’anno nuovo inizia una vita nuova. Ci è data una occasione per convertirci, per cambiare ed affermare, non solo a parole, ma con la vita stessa che cambiare è possibile. Non solo doveroso. Nei nostri giorni stiamo assistendo al crollo del modello di vita capitalistico, dove tutto era consumismo in qualche modo dominato da un egoismo viscerale, dall’attenzione così centrata su di sé che gli altri, il prossimo, come lo chiama Gesù, i nostri fratelli, come lo chiamiamo in tutte le liturgie, sono legati a noi e noi a loro. Non si può, oggi, pensare di salvarsi da soli. Occorre riscoprire il senso della comunità umana. Il nostro Vangelo, quello che Dio ci insegna, quello che è il cuore del messaggio del Signore Gesù è che l’amore salva. San Giovanni della Croce insegna che al termine della nostra vita saremo giudicati sull’amore. I gesti concreti che facciamo, abbiamo fatto, colorano la nostra esistenza quotidiana. Un anno che inizia, un anno nuovo, segue un anno che finisce, una esistenza fino ad ora. Mi chiedo, in questi giorni che ho deciso di passare all’eremo dove ho passato l’estate, di guardare con verità, unica possibilità di essere liberi, la mia vita, il mio esistere fino ad oggi. Di leggere i fatti che hanno costruito i giorni, l’essere, il vivere. Io chi sono? Non chi penso di essere, non l’ideale che vorrei essere ma chi sono realmente. Nella sua lettera ai colossesi, letta nella domenica della santa famiglia, Paolo compila un elenco di virtù che sono il modo di essere dell’uomo di Dio. “Tenerezza”: avere il coraggio di manifestare i nostri sentimenti, il voler bene, lo stimare, l’apprezzare. Dire agli amici, alle persone che si amano, alla moglie, al marito, ai figli: “ti voglio bene”. Diciamo così facilmente la nostra rabbia, il rancore, le cose negative. Affermare la nostra tenerezza verso le persone che ci circondano non è segno di debolezza, di non virilità, ma è lasciare spazio a sentimenti buoni. Creare intorno a noi un clima di bellezza. Quando qualcuno muore,non si può più dirgli il bene che gli si è voluto. E’ troppo tardi! Non lasciamo spazi di rimpianto nei nostri rapporti. Dopo la tenerezza, Paolo, scrive “la bontà”. Essere buono significa avere l’altro al centro della nostra vita. Essere attento all’altra persona. Il contrario di buono è cattivo che significa colui che pensa solo a se stesso. Tutti gli altri, compresi i figli, sono al servizio del cattivo, dell’egocentrico, dell’egoista. “Esisto solo io e tutto il mondo mi gira attorno e mi deve qualcosa”. Così pensa il cattivo, l’uomo che non è buono. Per lui gli altri sono solo cose, possesso, beni proprio da usare ed ai quali non dare niente. Quanti ne conosco! Pieni di belle parole ma aridi di amore e di bene. “Buono” è uni degli attributi di Dio, Dio che è amore, Dio che arriva a donarci suo Figlio che adesso, in questi giorni contempliamo nella culla appena nato ma che nella settimana santa contempleremo nell’atto estremo, sublime del suo amore che si dona totalmente. Buono è colui che, imitando Gesù e Dio, si dona totalmente agli altri, per gli altri, per tutti certo ma almeno per quelli che dice di amare. “Umiltà” è l’altra caratteristica dell’uomo di Dio. San Carlo, della nobilissima e potente famiglia dei Borromeo, quando venne a Milano come Vescovo, scelse come motto dl suo episcopato “Humilitas”, umiltà. La parola umiltà viene dal termine “humus”, terra. E’ il riconoscere che siamo tutti terra. Io ed il presidente della Repubblica siamo uguali, siamo fatti di terra ed in terra torneremo. Così io e la zarina di tutte le Russie, Caterina la grande, siamo fatti della stessa terra. Riconoscere la profonda uguaglianza fra tutti gli uomini è la fonte dell’umiltà. Pone tutti al mo stesso livello. L’umiltà mi porta ad aver rispetto per ogni uomo. Non si tratta di umiltà pelosa, di falsa umiltà, di atteggiamenti ipocriti ma di onorare ogni uomo a cominciare da coloro che sono per noi padre e madre. E’ un comandamento, una legge di Dio: “onora il padre e la madre”. Come è triste andare negli ospizi o nelle cliniche dove figli, anche pieni di fede a parole, hanno chiuso i propri genitori! Ma mi fanno ancora più disgusto i figli che vedono nel loro padre solo l’eredità, i soldi e i beni che il padre può lasciare loro. Quanti figli abbiamo visto a Foggia che non si parlano più da anni. Quanti hanno dilapidato capitali in avvocati. Quanti sono pronti ad uccidersi, si odiano, sono nella più assoluta falsità, perché non hanno ancora diviso, perché non sono ancora arrivati all’eredità. Mi diceva una madre prima di morire:”quando io me ne sarò andata i miei figli si uccideranno!”. E così sta accadendo fra sorrisi e pugnalate! Essere umili è non credersi fatti di una materia diversa dalla terra. Nessuno degli uomini è fatto d’oro. E poi, come insegnava Fabrizio de Andrè, “dal letame nascono i fiori e dai diamanti non nasce niente”. Essere umili non è solo un atteggiamento verso se stessi e verso il prossimo ma anche aprirsi allo stupore, alla meraviglia, alla sorpresa che ogni essere umano può riservarti. Dal letame nascono i fiori. Un altro modo di essere dell’uomo di Dio, un’altra sua caratteristica è la mansuetudine. Caratteristica dell’agnello che veniva immolato per la Pasqua. Il profeta Isaia riferisce questa virtù, questo modo di essere al Servo sofferente, a Gesù. Mansueto è colui che si fida talmente tanto di qualcuno da lasciarsi andare nelle sue mani e di lasciarsi fare tutto. Il beato Charles de Foucauld ha scritto una preghiera che dice “Padre mi abbandono a Te, di me fai quello che ti pare, mi fido di te perché tu sei il Padre mio, il fidarmi è una esigenza del mio amore per te”. Mansueto è colui che si fida e si lascia fare. Da Dio ma anche dagli altri. Da coloro che ama. “Magnanimità” avere l’animo grande. I latini dicevano “de minimis non curat praetor”. Colui che è superiore non si cura delle cose piccole. Dante Alighieri scrive:”Non ti curar di lor ma guarda e passa”. La magnanimità cristiana ovviamente non è una presunzione, una sicumera, un diniego ma è dare alle cose il loro giusto peso e valore. Secondo me il contrario di magnanimo è suscettibile. Colui cioè che si ferma sulle inezie e ne fa un motivo di guerra. Rancoroso. Vendicativo. L’uomo di Dio sopporta tutti. Il verbo sopportare significa che dobbiamo portare insieme (sub portare) la croce, il peso della vita. Non dobbiamo dire “io ti sopporto” ma “con te porto il peso che ti opprime”.
Con tutte queste caratteristiche diventa facile amarci. Diventiamo simpatici. Tutti gli altri ci cercano perché stare con noi è stare bene.
Questo è l’augurio che vi lascio per il nuovo anno e che faccio anche a me stesso:”che tutti stiano talmente bene con me che io possa diventare amico di tutti, amico di Dio ed amico degli uomini”.
Padre Valter Arrigoni