martedì 14 ottobre 2008

23 - La sapienza del cuore - (di Padre Fabrizio Carli)


Chi ha seguito lo svolgimento del nostro discorso, può ora ben comprendere che cosa sia la sapienza del cuore.
Notiamo intanto che nella teologia e nella pietà cristiana la sapienza è il primo dono dello Spirito Santo, e anche noi ne abbiamo già accennato in questo senso.
Come dono dello Spirito Santo, che è l'infinito Amore di Dio, la sapienza non è soltanto affinamento dell'intelligenza soprannaturale del cristiano, per cui egli può penetrare maggiormente nella conoscenza della verità e averne sicura luce che guidi tutta la sua condotta morale.
La sapienza che ci dona lo Spirito Santo è particolarmente luce per amare, e come tale investe direttamente il cuore, che nel nostro modo di pensare e di esprimerci intendiamo come l'intima sorgente dell'amore nell'uomo. Questa luce permette al cuore di amare nel modo vero, cioè nel modo voluto dall'amore nella sua più assoluta purezza e in tutta delicatezza e la finezza che solo esso conosce.
Amara di amore puro non è facile per sé all'uomo, sia per la naturale debolezza delle sue facoltà, sia per il suo istinto tendenzialmente egoistico. E' sempre facile che anche nell'amore che sembra più disinteressato si insinui qualcosa di meno puro e di meno buono, che può sfuggire anche alla coscienza più attenta e vigile. Inoltre, la stessa spontaneità dell'amore va sempre retta e anche corretta secondo il vero ordine del bene, poiché non può essere vero amore quell'amore che non è secondo quanto esige la verità .
Per tutto questo ci soccorre la sapienza del cuore, che noi dobbiamo invocare dalla fonte infinita dell'Amore, cioè dallo Spirito Santo. Si potrebbe anche dire che questa sapienza è l'istinto stesso dello Spirito Santo che si fa amore amante nel cuore dell'uomo. Istinto quindi santo, che porta cioè il cuore ad amare di vero amore; ed istinto che guida il cuore di amare con la sicurezza di essere nel vero amore.
La sapienza del cuore è dunque il cuore che sa amare perché, intimamente illuminato e alimentato dall'infinito Amore di Dio, cioè dallo Spirito Santo.
E di qui viene quella che possiamo chiamare la libertà del cuore. Quella libertà che è indicata anche dalle parole di sant'Agostino: “Ama e fa ciò che vuoi”; ossia, se sei colmo di amore non temere di amare: lasciati portare dall'amore ovunque esso ti porta, supposto però che sia l'amore vero, quello destato in cuore dall'istinto dello Spirito Santo.
Ecco allora anche l'intraprendenza dell'amore, sempre frutto della sapienza del cuore . Nella storia della santità vi sono continue espressioni dell'intraprendenza dell'amore, dimostrata nelle opere più impensate e più originali e più sorprendenti, che fanno veramente credere nell'infinita capacità dell'amore di manifestarsi in tutti i modi in cui è possibile all'uomo di amare. Inesauribile ricchezza dell'amore, che supera ogni pur possibile forma del male, perché non vi è forma di male che non possa essere redenta da un amore più grande ancora . Inesauribile ricchezza dell'amore, diciamo. Santa Teresa del Bambino Gesù scrisse che l'amore è tutto. “Ho cercato e finalmente ho compreso che l'amore comprende in sé tutte le vocazioni, che l'amore è tutto, abbraccia in sé tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola l'amore è eterno.
“Amore, nel pieno gaudio dell'anima inebriata, ho gridato: O Gesù , mio amore ho finalmente trovato la mia vocazione: la mia vocazione è l'amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me l'hai dato tu, o mio Dio. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l'amore, e così sarò tutto” (Manoscritti autobiografici, Lisieux 1957, p. 229) .
Ma anche senza manifestarsi in opere sorprendenti, l'intraprendenza del cuore sa abitualmente trovare mille vie e mille modi per amare, e sono tutte quelle accortezze, quelle industriosità, quelle finezze, quelle delicatezze che vengono spontanee al cuore quando ama veramente, e in cui l'amore, donandosi, si affina e quindi si alimenta sempre di più.
E allora la sapienza del cuore porta davvero spontaneamente alla continua benevolenza, vissuta in tutte le forme che abbiamo detto nelle pagine precedenti; quella benevolenza che non giudica mai, e che quindi non pensa male, non parla male, che insegna ad usare l'indulgenza e a comportarsi anche con la correzione fraterna quando questa è necessaria; quella benevolenza che porta a farsi carico dei proprio fratelli , a farsi tutto a tutti, in discrezione e delicatezza, senza mai stancarsi, tutto credendo, tutto portando, tutto sperando: come è il vero amore nello stupendo inno che gli eleva san Paolo.

sabato 11 ottobre 2008

22 - Pregare per tutti gli uomini - "La sapienza del cuore" (di Padre Fabrizio Carli)


Farsi carico dei propri fratelli non è però soltanto pregare per essi quando sono provati dalla sofferenza. L'uomo, anche non particolarmente afflitto dal dolore, ha sempre bisogno dell'aiuto e della grazia del Signore, e quindi ha sempre senso pregare per lui. E pregare per chiedere tutto ciò che è veramente bene per il nostro prossimo, con fede, con fiducia, lasciando a Dio di determinare questo bene, perché, egli solo sa che cosa convenga a ciascuno di noi, per l'anima e per il corpo, nella vita terrena e per la vita eterna. E' carità delicatissima e preghiera che viene sempre esaudita.
Gesù stesso infatti ci assicura che quando chiediamo qualsiasi cosa al Padre in suo nome, il Padre ci esaudisce sempre. Ora, chiedere nel nome di Gesù che è il Salvatore, significa chiedere tutto ciò che giova alla nostra salvezza, e cioè chiedere il bene più grande per l'uomo, poiché non vi è nulla che valga maggiormente della salvezza eterna. “Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?”: ci ricorda sempre Gesù ( Mt 13, 25).
Che dono, quindi, facciamo ai nostri fratelli quando preghiamo per il loro bene, cioè per la loro salvezza eterna! Questo è vero amore, e lo sa il cuore buono che nel pregare così sente di abbracciare il mondo intero, e cioè tutti gli uomini, sente di dare a tutti i suoi fratelli, e questo dare è gioia intima che porta a donare sempre e di più, perché, è amore, e chi ama veramente vuole amare sempre di più.
Inoltre, pregando così, noi procuriamo in modo certo al nostro prossimo quel bene che non sempre riusciamo , per i nostri limiti, a fargli con l'aiuto esteriore che gli prestiamo. Aggiungendo invece a questo la preghiera, noi siamo certi di fare veramente del bene, perché in tal modo affidiamo a Dio il nostro prossimo e lasciamo a lui di intervenire: alla nostra pochezza e incapacità, sostituiamo una potenza infinita, un' infinita sapienza e un infinito amore.
Infine, i fratelli dei quali dobbiamo farci carico, non sono soltanto gli uomini sulla terra: sono nostri fratelli anche coloro che hanno compiuto il loro cammino terreno e sono tornati alla casa del Padre. La pietà cristiana ha sempre pregato anche per i defunti; diremmo anzi che lo ha fatto con un'insistenza particolare, che oggi forse tende a diminuire, ma che invece risponde ad una perfetta intuizione della realtà in cui si trovano le anime del Purgatorio, per usare un'espressione che pare andata anch'essa un poco in disuso. La fede e la ragione ci dicono che al di là della vita terrena le anime non possono più accrescere per se stesse il proprio bene morale, perché hanno raggiunto il loro stato definitivo, dopo il percorso della prova sulla terra. Ma questo bene lo possiamo accrescere noi, pregando per loro, offrendo sacrifici e opere buone. Il concetto cristiano del suffragio, che il cuore ben conosce e vuole .
Fondamento di questo, è l'ineffabile realtà della comunione dei santi, e cioè il fatto che tutti gli uomini, vivi e defunti, sono congiunti in Cristo, e quindi vi è tra loro comunione e comunicazione di affetti e di beni spirituali. Data questa comunione in Cristo, la pietà cristiana sente che la preghiera fatta da noi in terra, giova al bene delle anime che si stanno ancora purificando per essere degne di godere l'infinito Bene di Dio in Paradiso. Ed è carità squisita, delicatissimo atto di amore, aiutare a raggiungere quel Bene a cui anelano e tendono perché, sanno di esservi chiamate, ma del quale sentono di non essere ancora degne finchè tutto in esse non venga purificato dall'amore e nell'amore.
E coglie il vero l'animo cristiano che sente che le anime del Purgatorio ricambiano il bene che noi facciamo loro con la preghiera, intercedendo a loro volta per noi che camminiamo ancora lontani dalla meta finale, ed esposti a tanti pericoli sulla terra. E' testimonianza non infrequente quella di chi attesta di sentirsi aiutato dalle anime del Purgatorio. E' sempre l'ineffabile, consolante realtà della comunione dei santi, in Cristo e per Cristo.
E così, il cuore buono, il cuore che ama e quindi sa pregare per tutti gli uomini, abbraccia veramente nel suo amore il cielo e la terra. Diviene cioè il cuore del mondo.


martedì 7 ottobre 2008

21 - Il valore della sofferenza - "la sapienza del cuore" (di Padre Fabrizio Carli)


Farci carico dei nostri fratelli che soffrono significa partecipare interiormente alla prova a cui sono chiamati e pregare perché il Signore dia loro quell'aiuto e quel conforto che solo lui può dare, illuminandoli sul valore redentivo della sofferenza umana congiunta a quella di Cristo, e dando loro la forza di accettare questa misteriosa chiamata a condividerne la passione e la morte per la vita degli uomini.
Quando il cuore ha imparato a pregare così per tutti coloro che soffrono, ci si accorge che da questa partecipazione alla sofferenza altrui, viene una particolare luce per la vita: si vede cioè tutto sotto un aspetto più serio, più vero, più degno dell'uomo; si guarisce dalla superficialità e dalla leggerezza, ci si stacca man mano da tante cose vane a cui facilmente l'animo umano si aggrappa, e ci si sente come ingranditi moralmente e spiritualmente, perché più vicini al mistero della sofferenza nel disegno provvidenziale di Dio.
E pregando per coloro che soffrono , si fa nell'animo altra luce: si vede, cioè, la sofferenza stessa come una realtà che tocca tutti gli uomini, e tocca l'uomo singolo nelle sue profondità più intime; in tal modo l'animo e il cuore si dispongono ad accettare a loro volta la sofferenza, qualunque essa possa essere, quando il Signore chiama a questa prova, che è sempre segno di predilezione e di amore, perché occasione di un bene più grande per chi vi è chiamato e per tutti gli uomini. E si può giungere – con la grazia del Signore – all'accettazione addirittura gioiosa della sofferenza, sia perché così condividiamo la chiamata di tanti e tanti nostri fratelli , sia perché nella sofferenza noi siamo più simili al Cristo che soffre per redimere e salvare. Inoltre, pregando per coloro che soffrono si vive la sofferenza come una realtà quotidiana, la si comprende sempre di più; e questo ci porta anche a parlarne con il vero senso della fede, e a saper trovare parole di conforto e di aiuto a chi soffre. Si pensa, si solito, che sia difficile confortare i sofferenti, perché si crede che le parole siano inutili e che si debba dimostrare la partecipazione in altro modo.
Noi invece riteniamo che la parola illuminata dalla fede, detta dal cuore è accompagnata dalla preghiera, trova sempre la via del cuore e vi apporta luce. Anche se questo risultato quasi sempre ci sfugge, bisogna avere fiducia nella forza dell'amore di cui la parola è animata, perché questo amore non viene soltanto dal cuore dell'uomo, ma è l'amore stesso con cui Dio ama in noi e che vuole da noi effuso nel nostro prossimo. E l'amore opera sempre nell'anima in cui viene effuso.
Per questo, anche di fronte alla sofferenza più straziante, non si deve esitare a dire tutto ciò che la fede suggerisce, se appena si può pensare che le persone a cui ci rivolgiamo sono in condizione di poter accogliere la nostra parola di fede. La fede apporta sempre luce, e questa luce , anche se non rischiara subito, permane nell'anima e le permette, nel momento voluto dal Signore, di comprendere. Una sofferenza illuminata non cessa di essere sofferenza, ma non è più un soffrire al buio, un soffrire cieco: capire la sofferenza, vederla nella sua giusta luce, è di aiuto immenso. Ad esempio, anche nel caso di una morte improvvisa o che avviene in circostanze particolarmente dolorose e sconvolgenti, quando si fa più angoscioso il perché che non trova risposta, si può dare luce a chi soffre se sappiamo dire, con convinzione e amore, che il Signore sa quando è il momento giusto per chiamare a sé un'anima, poiché, egli solo sa qual è il vero bene per ciascuno di noi, in vita e in morte.
Non solo, ma il Signore sa anche quali sono le circostanze che più giovano al bene dell'anima nel momento in cui viene chiamata. E' difficile alla nostra limitata ragione capire una simile verità forse è difficile al cuore, soprattutto, accettarla. Come si può pensare, infatti, che un incidente stradale sia il modo migliore per concludere sulla terra una vita; o lo sia una dose eccessiva di droga, o il suicidio, o la violenza dell'uomo che si scatena su di un altro uomo?
Eppure, alla luce della fede la risposta è proprio che se Dio dispone o permette, quello è certamente il modo più confacente al bene dell'anima che viene chiamata. Dio è infinita sapienza, infinita potenza, infinita bontà: ama ciascuno di noi di amore infinito e vuole perciò il nostro vero bene. Come potrebbe quindi non volere questo bene proprio nel momento in cui l'uomo ne ha maggiormente bisogno, e cioè nel momento della morte?

venerdì 3 ottobre 2008

20 - Farsi carico dei propri fratelli - "La sapienza del cuore" (di Padre Fabrizio Carli)


Farsi carico dei propri fratelli: è quanto si deve fare per indirizzare all’amore del prossimo tutte le energie del cuore e della mente, così che tutto in noi sia per l’amore, e quindi sottratto al nostro istintivo egoismo.Il farsi carico dei fratelli non si deve limitare alla carità che si manifesta esteriormente nell’aiuto al prossimo bisognoso: dobbiamo invece abbracciare nel nostro cuore sempre e tutti gli uomini, anche quelli che apparentemente non hanno bisogno di noi, anche coloro che non conosciamo e che non incontriamo sul nostro cammino. Ora, il modo per essere vicini sempre a tutti, è quello di pregare per tutti. La preghiera è un mezzo sicuro per aiutare ogni persona, ed è un mezzo che abbiamo sempre a disposizione. Mentre talvolta non ci è dato di soccorrere materialmente i nostri fratelli bisognosi, li possiamo sempre aiutare spiritualmente pregando per essi.È squisita carità particolarmente, pregare per coloro che sono colpiti dalla sofferenza. A questo ci inclina già il naturale senso di compassione che si desta in noi quando ci troviamo direttamente di fronte alla persona sofferente, o quando, attraverso i mezzi di informazione, veniamo a conoscenza di casi dolorosi e sovente sconvolgenti. Sarebbe molto triste se apprendessimo con indifferenza queste notizie: sarebbe segno che in noi non vi è né pietà né amore. Infatti, il venire a sapere di casi dolorosi, non è una notizia per la nostra curiosità o per i nostri commenti superficiali: è un venirci incontro di Cristo che soffre in quei nostri fratelli e che vuole essere da noi accolto e aiutato.Ma il cuore buono sa che non vi è soltanto la sofferenza che appare e di cui si viene a conoscenza: sa e sente anche quella sofferenza nascosta che tante persone vivono nell’intimo e che non manifestano mai per un senso di pudore o di dignità o di austerità umana e cristiana. Allora il cuore buono impara a pregare anche per coloro che soffrono senza che la loro sofferenza appaia.

giovedì 2 ottobre 2008

"L'Amicizia" - (di Brigida Liparoti)

Con la tenerezza di un'amica che conosce il valore di questa parola e la vive, pur nelle proprie imperfezioni e grandi carenze, mi piace pensare che queste parole Gibran le possa aver pensate nei confronti di Gesù ...e perché no, perché noi non possiamo viverle nello stesso modo? Chi ce lo impedisce?
L'Amicizia.


Il vostro amico
è il vostro bisogno saziato,
è il campo che seminate con amore
e che mietete ringraziando.
Egli è la vostra mensa e la vostra dimora
perché, affamati, vi rifugiate in lui
e lo cercate per la vostra pace.
Se l'amico vi confida il suo pensiero
non nascondetegli il vostro.
Quando lui tace
il vostro cuore non smette di ascoltarlo,
perché nell'amicizia
ogni pensiero, desiderio, speranza
nasce nel silenzio e si partecipa con gioia.
Se vi separate dall'amico
non addoloratevi, perché la sua assenza
v'illumina su ciò che più in lui amate.
E non vi sia nell'amicizia altro intento
che scavarsi nello spirito a vicenda.
Condividetevi le gioie
sorridendo nella dolcezza amica,
perché nella rugiada delle piccole cose
il cuore scopre il suo mattino
e si conforta.

Kalhil Gibran

mercoledì 1 ottobre 2008

CRISTO MISERICORDIOSO - (di Padre Valter Arrigoni)


“Ritorna al nostro Dio che largamente perdona”. Così ci dice attraverso il profeta Isaia il Padre di ogni misericordia e consolazione. E’ questa la prima lettura della XXV domenica. Dio nelle Messe ci ripeterà, lo ripeterà a tutti quelli che sono convenuti nelle chiese di tutto il mondo perché lo vadano ad annunciare ai loro fratelli di umanità. Dio che largamente perdona è il volto del Padre che dobbiamo annunciare, testimoniare, far conoscere a coloro, in particolare, che si sentono esclusi dalla salvezza. Troppi, dopo duemila anni di cristianesimo, pensano ancora a Dio con terrore. Troppi preti parlano sempre e solo di un Dio che giudica e castiga. Riducono l’esperienza dello spirito, l’esperienza dell’essere fedeli, del lasciarsi afferrare da Dio ad un elenco di precetti, di leggi. Sembra che il compito affidato dal Signore ad alcuni (troppi!) suoi ministri sia quello di esporre le condizioni di appartenenza. Se non rispetti queste condizioni sei fuori! Sei tagliato fuori dalla salvezza! Non sei più un figlio di Dio, non hai diritto a mettere piede in chiesa. Eppure la Parola di Dio è chiarissima. Quello che è venuto a testimoniare, a far conoscere il Figlio del Padre è il suo volto di amore, di tenerezza, di perdono. “Se voi capiste cosa significa misericordia io voglio e non sacrificio”. “Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Per questo ho detto: eccomi, io vengo per fare la tua volontà”. Siamo salvati dal sacrificio di Gesù sulla croce. San Paolo lo ripete ai cristiani di Efeso: “Per grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene”. San Giovanni nella sua prima lettera ai cristiani dell’Asia minore scrive che l’amore di Dio si è manifestato nel donarci suo Figlio “quando ancora eravamo peccatori”. Grazia, dono, gratuità sono le connotazioni del comportamento di Dio come ci viene presentato nelle letture di questa domenica. Sempre nella prima lettura c’è un pensiero che ha due significati, due sfaccettature che vanno intese bene tutte e due per capire qualcosa del pensiero di Dio: “perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”. Convertirsi vuol dire fare nostro il modo di pensare, di vedere di Dio. Scegliere fra la mentalità del mondo (gli spiritualisti dicevano “del secolo”) e quella di Dio che è radicalmente, totalmente, diversa. Scegliere fra il successo, il denaro, il piacere, la vendetta, l’arrivismo, l’apparire, la vanità, la moda, l’inutile, il superfluo, l’ostentazione, il provocare invidia, l’essere emergente, l’ottenere successo anche mentendo ed uccidendo l’altro, e la mentalità di Dio. Pace, giustizia, carità, perdono, umiltà, pazienza, solidarietà, rinunciare al proprio interesse per il bene di tutti, non sfruttare, non vendicarsi, riconoscere chi è migliore di noi e farlo andare avanti. Mi pare proprio che le strade di Dio non siano quelle percorse dalla più parte dell’umanità anche se frequenta le chiese, le messe domenicali, le processioni, le case degli ecclesiastici. Le vie di Dio non sono state per secoli quelle dell’umanità e non lo sono ancora adesso. Se la fonte è inquinata non ne può scaturire acqua buona. Il mondo è in questo stato in conseguenza delle scelte operate da chi gestisce il potere. La nostra città è in questo stato per colpa di chi gestisce il potere. Tutti. Anche io nel mio piccolo. Una conseguenza concreta dell’ascolto della Parola di Dio è eliminare tutte le situazioni di lavoro nero. Di sfruttamento della povertà, del bisogno del povero che lo rendono sempre più fragile, impotente. Cominciare a seguire le vie di Dio, ad avvicinarci almeno ad esse.
L’altro aspetto della diversità di Dio da noi è quello della misericordia. Dio è Padre di misericordia. Santa Faustina Kowalska riferisce i suoi colloqui con Gesù che si lamenta con lei perché l’umanità, ed in questa gran parte della Chiesa, non ha capito quanto è grande la sua misericordia, il suo perdono, l’amore che Dio prova per l’umanità.
Il Vangelo chiarisce questo punto, anzi svela il comportamento di “chi si sente giusto” e per questo “condanna gli altri”. Si parla del padrone di una vigna, Dio Signore del mondo, che esce a chiamare operai per la sua vigna. Siamo noi ai quali è affidato il mondo e nel mondo in particolare, oltre alla natura, l’umanità. A noi sono affidati tutti gli uomini. Questo padrone esce sulla piazza, dove si riuniscono quelli che cercano lavoro e sono disponibili per essere chiamati a giornata, a diverse ore del giorno. La mattina presto, a mezza mattina, a mezzogiorno ed infine la sera. Gli ultimi spiegano che non sono andati prima al lavoro perché nessuno li ha chiamati. Iniziano quindi a lavorare all’undicesima ora, alle cinque del pomeriggio. Quando viene il momento della paga quelli che sono andati al mattino presto nella vigna sperano di guadagnare di più. Rimangono delusi, amareggiati, pieni di odio quando si vedono dare lo stesso salario degli ultimi arrivati. Qui c’è il discorso chiarificatore del padrone, di Dio. quello che viene dato è quanto pattuito all’inizio del lavoro. Ma la seconda affermazione ci deve far capire il pensiero di Dio: “non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Il paradiso è la casa di Dio e ci entra chi vuole il padrone di casa. Certe volte l’atteggiamento di alcuni cristiani (e qui vorrei riportare le parole di Gesù per definire questi personaggi. Sono le stesse che diceva agli scribi ed ai farisei del suo tempo che sono passati nella Chiesa e ci sono ancora adesso. Preoccupati più di chiudere fuori che di far entrare) è quello di persone infelici della loro fede. Sembra quasi che l’essere credenti, l’essere nella e della Chiesa sia la peggior disgrazia che poteva capitare loro. Sembra che i non credenti, i senza Dio, i ricchi, i potenti, i forti, i belli, quelli alla moda, siano i felici. Quelli che fanno “la bella vita”. Chi invece crede è infelice. Non può permettersi le gioie, i godimenti, i piaceri ma solo croce, dolore, penitenza, digiuno, morigeratezza, infelicità. Gli opera della prima mattina hanno visto solo la fatica ed lavoro e non l’essere utili, la gioia del lavorare, del servire, del fare il mondo bello e buono e giusto. Il loro salario è quello accordato all’inizio del lavoro. Non viene tolto loro nulla. In più hanno passato una giornata, la vita, utile, significativa.
Quello che manca a troppi credenti è la gioia del servizio, dell’essere utili. La gioia “dentro”. Troppi sono ancora alla ricerca del godimento “fuori”. Oppure, peggio ancora, troppi credenti sono convinti di salvarsi solo per le opere loro, perché sono bravi, buoni, santi, giusti, belli. Giudicano e condannano (raramente un giudizio si conclude con l’assoluzione).
Riporto alla fine di questa riflessione un brano di Simeone il nuovo Teologo, santo, poeta, autore di inni sacri, cantore del mistero di Dio e della sua misericordia:


“Non ho lavorato, non ho compiuto le opere della giustizia,
non ho mai osservato uno solo dei tuoi comandamenti,
ho vissuto nel vizio per tutta la mia vita;
eppure tu non hai rivolto altrove lo sguardo,
mi hai cercato emi hai trovato là dove andavo errando,
mi hai ricondotto dalla strada sbagliata
e mi hai sollevato sulle tue spalle immacolate, o Cristo,
fino alla luce della tua grazia;
mi hai caricato sulle spalle, o misericordioso,
e senza lasciarmi sentire la minima fatica,
perfettamente a mio agio, come su un carro,
mi hai fatto percorrere senza sforzo le strade accidentate,
finchè mi hai ricondotto all’ovile delle tue pecore,
mi hai fatto entrare nella comunione
e mi hai messo nel numero dei tuoi servi”.


Padre Valter Arrigoni