Siamo arrivati alla fine dell’anno liturgico e la Chiesa ci invita a contemplare Cristo, re dell’universo. Tre sono le traiettorie delle domande che siamo invitati a porci, i percorsi della riflessione alla luce della Parola che ci viene donata e con la quale dobbiamo confrontare la nostra vita secondo l’ammonimento del Signore: “non chi dice: Signore, Signore ma chi fa la volontà del Padre mio entrerà nel Regno dei cieli”, “chi ascolta la mia Parola e la mette in pratica è per me fratello, sorella e madre.” Anche l’apostolo Giacomo ci invita con la sua abituale franchezza ad essere ascoltatori che mettono in pratica e non solo persone che illudono se stesse dicendosi che hanno ascoltato la Parola. Usa un’immagine eloquente quando paragona gli ascoltatori che non agiscono di conseguenza alle persone che si guardano allo specchio e poi appena si sono allontanate non ricordano più il loro volto. Il nostro volto, la nostra identità, i valori che seguiamo, le verità della nostra vita sono descritte, definite, illuminate dalla Parola.
Questa domenica dunque ci sono almeno tre aspetti su cui fermarci. Cristo è il re dell’universo, siamo chiamati ad adorarlo, a porre il suo trono anche nella nostra vita, nel nostro cuore e questa centralità di Cristo si vede dalle nostre azioni.
Le due premesse, che mi sembra di dover fare, sono sulla necessità di fermarci a riflettere. Sembra un tempo inutile quello della riflessione ma è invece indispensabile e la Chiesa (mater et magistra) ci chiede di fermarci a riflettere proprio prima del tempo di Avvento. Tempo forte di conversione. Quasi che questa domenica dobbiamo tracciare la strada da seguire fino a Natale. La penitenza nella spiritualità cristiana non è fine a se stessa ma è un cammino di formazione, di rieducazione della nostra persona e della nostra vita. Il termine, soprattutto quaresimale, di quaranta giorni, il numero quaranta, non indica un tempo di penitenza ma soprattutto di formazione. Ci fermiamo oggi, rivediamo la nostra vita, ci decidiamo alla conversione, scopriamo la nostra malattia spirituale e lasciamo a Dio il compito di tracciare il cammino da seguire. E dalla domenica che verrà, la prima di Avvento cominciamo a camminare su vie nuove fino all’incontro con il Signore che viene di nuovo in mezzo a noi nel Natale.
L’altra premessa fondamentale riguarda i comportamenti sui quali saremo giudicati. Le opere di misericordia che ci invitano, ci obbligano ad amare “il più piccolo dei fratelli”. Ci sono due tentazioni nella lettura e nella spiegazione delle parole di Gesù; da una parte l’eccessiva spiritualizzazione delle categorie dei poveri cui fa riferimento. Affamati, assetati, nudi, forestieri, malati e carcerati. Alcuni vogliono leggere in queste parole solo delle situazioni dello spirito, come se non esistessero uomini che sono davvero affamati, assetati, nudi, forestieri, carcerati nelle prigioni e non prigionieri dei loro vizi, malati negli ospedali e non come conseguenza dei loro peccati. Questi “spiritualisti” si lavano le mani davanti al male del mondo, alle sofferenze degli uomini. Alimentano e giustificano così la loro avarizia, il loro egoismo, l’impegno profuso nella difesa del loro benessere, del benessere della loro famiglia, dei figli, della patria. L’altro rischio è quello opposto cioè quello di coloro che leggono queste parole solo come aiuto alla carne dell’uomo, vedono solo l’orizzonte della terra e del mondo. Dimenticano che l’uomo è anche spirito, intelligenza e dignità.
Il brano del Vangelo viene dal capitolo XXV di Matteo. E’ il capitolo che ci ha accompagnato in queste ultime tre domeniche. La parabola delle vergine sagge e delle vergini stolte ci è ha detto che dobbiamo vigilare perché lo sposo, il Signore, torna quando non ce lo aspettiamo. Ci viene chiesto di avere abbastanza olio, preghiera e carità, fede e speranza per affrontare la notte e farci trovare pronti. La scorsa domenica il Vangelo dei talenti ci ha insegnato che ci sarà un giudizio perché tutto quanto ci è stato dato in affidamento, in consegna, anche la nostra vita, il mondo, le persone che incontriamo. Tutto ci è affidato e ci vengono dati a talenti per compiere bene l’opera. Talenti che dobbiamo far fruttare senza paura e senza pigrizia. oggi ci viene detto quale è il contenuto del giudizio, le domande alle quali con le opere della nostra vita abbiamo risposto. Sono domande concrete, sono fatti che o ci sono o non ci sono. Domande alle quali possiamo rispondere solo con un sì o un no. “Il vostro parlare sia sì sì, no no, il resto viene dal diavolo”.Qui non si tratta di fare discussioni accademiche. Il giudice è Dio stesso. Non un filosofo o un avvocato.
Il giudizio al quale Matteo si riferisce è il giudizio finale. Fino ad allora c’è il purgatorio come luogo nel quale possiamo ancora purificarci. Dopo ci sarà solo il paradiso o l’inferno.
Finisce allora il tempo intermedio che passa fra la venuta di Gesù sulla terra ed il suo ritorno nella gloria. Il tempo del giudizio particolare che attende ogni uomo al momento della morte. Il giudizio al quale si riferisce Matteo è quello universale, finale.
La pagina del Vangelo inizia con una descrizione apocalittica, gloriosa, densa di immagini, di simboli. “Quando il Figlio dell’uomo verrà … seduto su un trono … con gli angeli e i giusti”. il Figlio dell’uomo fino al profeta Daniele ed alle sue visioni significa l’uomo stesso (“che cosa è l’uomo perché te ne ricordi o il figlio dell’uomo perché te ne dia pensiero?”) ma con il profeta Daniele questa immagine viene ad indicare una creatura divina tanto che quando durante il suo processo Gesù la applicherà a se stesso susciterà scandalo e la reazione del Sommo Sacerdote ch si straccia le vesti. anche le altre immagini usate da Matteo vengono dal cerimoniale di un re d’oriente nella sua corte, nella reggia, nella sala del trono.
“E saranno riunite davanti a lui tutte le genti”. Il giudizio è universale riguarda tutte le genti non solo ebrei e cristiani. Dio è il Dio di tutti gli uomini, Gesù salva tutta l’umanità. Lo ripetiamo ogni volta nella consacrazione quando diciamo del pane che diventa carne di Cristo “prendete e mangiatene tutti” e sul calice del vino “bevetene tutti … versato per voi e per tutti”. Gesù è il salvatore, la via, la vita e la verità di ogni essere umano anche del più lontano da lui.
Il criterio del giudizio è universale. Tutti gli uomini, qualunque sia la loro razza, etnia, religione, qualunque sia il loro credo filosofico, politico, ideologico, sono uomini se amano. le categorie delle quali parla Gesù sono universali. Affamati ed assetati rappresentano i bisogni essenziali dell’umanità che pur tuttavia vengono negati ad alcuni. Nudi e forestieri sono il segno della dignità di chi ha lavoro e casa e dell’umiliazione di coloro che non hanno di che coprirsi ed un tetto sotto cui ripararsi. Infine malati e carcerati sono gli emarginati, gli esclusi coloro che non appartengono a nessuno. Al tempo di Gesù si pensava che la malattia fosse una maledizione di Dio per i peccati commessi. Il malato era escluso come colui che si trovava in carcere.
E’ chiaro per Gesù che questa attenzione all’uomo, alla dignità della persona è così valida per tutti che i giusti, coloro che fanno le opere di misericordia non le fanno per amore di Gesù. Infatti affermano di non avere mai incontrato il Signore.”Signore quando mai ti abbiamo veduto affamato … assetato … nudo … forestiero … malato … in carcere?” Cioè non abbiamo amato il povero per amare te ma perché ci muovevano tenerezza e compassione per l’uomo, per l’essere umano, per la sua dignità. E Gesù dirà loro “ogni cosa che farete al più piccolo dei miei la fate a me”: Non si tratta qui di in Dio solidale col povero, difensore dell’orfano e della vedova, portatore d libertà per il prigioniero, di vista per il cieco ma di Dio che si identifica col povero. “Io, Gesù, il tuo Dio, quello che adori nei tabernacoli, nelle processioni sono il carcerato, il malato, il forestiero”. “Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura … io stesso giudicherò”.
Lascio alla fine di questa meditazione una domanda provocatoria. Che cosa significa amare il prossimo? Cosa vuol dire carità? come aiutare davvero il forestiero? l’ammalato? Il carcerato? dobbiamo riflettere, secondo me, sul vero significato della carità: I pochi spiccioli che diamo per tacitare le nostre coscienze, per sentirci giusti non sono la vera carità. un proverbio cinese dice che all’affamato che ti chiede un pesce tu devi dare una canna da pesca ed insegnargli a pescare. Agli zingari, ai rumeni, ai neri che si trovano agli incroci delle nostre strade a chiedere la carità (non dovremmo mai usare questo termine per al posto di offerta) gli spiccioli che diamo non cambiano la situazione, non la risolvono ma li lasciano senza dignità. La vera, più grande, utile carità è ridare ad ogni uomo la sua dignità di immagine e somiglianza con Dio. per questo Gesù si identifica con ogni uomo, soprattutto il più piccolo, quello al quale è stata tolta la dignità.
Questa domenica dunque ci sono almeno tre aspetti su cui fermarci. Cristo è il re dell’universo, siamo chiamati ad adorarlo, a porre il suo trono anche nella nostra vita, nel nostro cuore e questa centralità di Cristo si vede dalle nostre azioni.
Le due premesse, che mi sembra di dover fare, sono sulla necessità di fermarci a riflettere. Sembra un tempo inutile quello della riflessione ma è invece indispensabile e la Chiesa (mater et magistra) ci chiede di fermarci a riflettere proprio prima del tempo di Avvento. Tempo forte di conversione. Quasi che questa domenica dobbiamo tracciare la strada da seguire fino a Natale. La penitenza nella spiritualità cristiana non è fine a se stessa ma è un cammino di formazione, di rieducazione della nostra persona e della nostra vita. Il termine, soprattutto quaresimale, di quaranta giorni, il numero quaranta, non indica un tempo di penitenza ma soprattutto di formazione. Ci fermiamo oggi, rivediamo la nostra vita, ci decidiamo alla conversione, scopriamo la nostra malattia spirituale e lasciamo a Dio il compito di tracciare il cammino da seguire. E dalla domenica che verrà, la prima di Avvento cominciamo a camminare su vie nuove fino all’incontro con il Signore che viene di nuovo in mezzo a noi nel Natale.
L’altra premessa fondamentale riguarda i comportamenti sui quali saremo giudicati. Le opere di misericordia che ci invitano, ci obbligano ad amare “il più piccolo dei fratelli”. Ci sono due tentazioni nella lettura e nella spiegazione delle parole di Gesù; da una parte l’eccessiva spiritualizzazione delle categorie dei poveri cui fa riferimento. Affamati, assetati, nudi, forestieri, malati e carcerati. Alcuni vogliono leggere in queste parole solo delle situazioni dello spirito, come se non esistessero uomini che sono davvero affamati, assetati, nudi, forestieri, carcerati nelle prigioni e non prigionieri dei loro vizi, malati negli ospedali e non come conseguenza dei loro peccati. Questi “spiritualisti” si lavano le mani davanti al male del mondo, alle sofferenze degli uomini. Alimentano e giustificano così la loro avarizia, il loro egoismo, l’impegno profuso nella difesa del loro benessere, del benessere della loro famiglia, dei figli, della patria. L’altro rischio è quello opposto cioè quello di coloro che leggono queste parole solo come aiuto alla carne dell’uomo, vedono solo l’orizzonte della terra e del mondo. Dimenticano che l’uomo è anche spirito, intelligenza e dignità.
Il brano del Vangelo viene dal capitolo XXV di Matteo. E’ il capitolo che ci ha accompagnato in queste ultime tre domeniche. La parabola delle vergine sagge e delle vergini stolte ci è ha detto che dobbiamo vigilare perché lo sposo, il Signore, torna quando non ce lo aspettiamo. Ci viene chiesto di avere abbastanza olio, preghiera e carità, fede e speranza per affrontare la notte e farci trovare pronti. La scorsa domenica il Vangelo dei talenti ci ha insegnato che ci sarà un giudizio perché tutto quanto ci è stato dato in affidamento, in consegna, anche la nostra vita, il mondo, le persone che incontriamo. Tutto ci è affidato e ci vengono dati a talenti per compiere bene l’opera. Talenti che dobbiamo far fruttare senza paura e senza pigrizia. oggi ci viene detto quale è il contenuto del giudizio, le domande alle quali con le opere della nostra vita abbiamo risposto. Sono domande concrete, sono fatti che o ci sono o non ci sono. Domande alle quali possiamo rispondere solo con un sì o un no. “Il vostro parlare sia sì sì, no no, il resto viene dal diavolo”.Qui non si tratta di fare discussioni accademiche. Il giudice è Dio stesso. Non un filosofo o un avvocato.
Il giudizio al quale Matteo si riferisce è il giudizio finale. Fino ad allora c’è il purgatorio come luogo nel quale possiamo ancora purificarci. Dopo ci sarà solo il paradiso o l’inferno.
Finisce allora il tempo intermedio che passa fra la venuta di Gesù sulla terra ed il suo ritorno nella gloria. Il tempo del giudizio particolare che attende ogni uomo al momento della morte. Il giudizio al quale si riferisce Matteo è quello universale, finale.
La pagina del Vangelo inizia con una descrizione apocalittica, gloriosa, densa di immagini, di simboli. “Quando il Figlio dell’uomo verrà … seduto su un trono … con gli angeli e i giusti”. il Figlio dell’uomo fino al profeta Daniele ed alle sue visioni significa l’uomo stesso (“che cosa è l’uomo perché te ne ricordi o il figlio dell’uomo perché te ne dia pensiero?”) ma con il profeta Daniele questa immagine viene ad indicare una creatura divina tanto che quando durante il suo processo Gesù la applicherà a se stesso susciterà scandalo e la reazione del Sommo Sacerdote ch si straccia le vesti. anche le altre immagini usate da Matteo vengono dal cerimoniale di un re d’oriente nella sua corte, nella reggia, nella sala del trono.
“E saranno riunite davanti a lui tutte le genti”. Il giudizio è universale riguarda tutte le genti non solo ebrei e cristiani. Dio è il Dio di tutti gli uomini, Gesù salva tutta l’umanità. Lo ripetiamo ogni volta nella consacrazione quando diciamo del pane che diventa carne di Cristo “prendete e mangiatene tutti” e sul calice del vino “bevetene tutti … versato per voi e per tutti”. Gesù è il salvatore, la via, la vita e la verità di ogni essere umano anche del più lontano da lui.
Il criterio del giudizio è universale. Tutti gli uomini, qualunque sia la loro razza, etnia, religione, qualunque sia il loro credo filosofico, politico, ideologico, sono uomini se amano. le categorie delle quali parla Gesù sono universali. Affamati ed assetati rappresentano i bisogni essenziali dell’umanità che pur tuttavia vengono negati ad alcuni. Nudi e forestieri sono il segno della dignità di chi ha lavoro e casa e dell’umiliazione di coloro che non hanno di che coprirsi ed un tetto sotto cui ripararsi. Infine malati e carcerati sono gli emarginati, gli esclusi coloro che non appartengono a nessuno. Al tempo di Gesù si pensava che la malattia fosse una maledizione di Dio per i peccati commessi. Il malato era escluso come colui che si trovava in carcere.
E’ chiaro per Gesù che questa attenzione all’uomo, alla dignità della persona è così valida per tutti che i giusti, coloro che fanno le opere di misericordia non le fanno per amore di Gesù. Infatti affermano di non avere mai incontrato il Signore.”Signore quando mai ti abbiamo veduto affamato … assetato … nudo … forestiero … malato … in carcere?” Cioè non abbiamo amato il povero per amare te ma perché ci muovevano tenerezza e compassione per l’uomo, per l’essere umano, per la sua dignità. E Gesù dirà loro “ogni cosa che farete al più piccolo dei miei la fate a me”: Non si tratta qui di in Dio solidale col povero, difensore dell’orfano e della vedova, portatore d libertà per il prigioniero, di vista per il cieco ma di Dio che si identifica col povero. “Io, Gesù, il tuo Dio, quello che adori nei tabernacoli, nelle processioni sono il carcerato, il malato, il forestiero”. “Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura … io stesso giudicherò”.
Lascio alla fine di questa meditazione una domanda provocatoria. Che cosa significa amare il prossimo? Cosa vuol dire carità? come aiutare davvero il forestiero? l’ammalato? Il carcerato? dobbiamo riflettere, secondo me, sul vero significato della carità: I pochi spiccioli che diamo per tacitare le nostre coscienze, per sentirci giusti non sono la vera carità. un proverbio cinese dice che all’affamato che ti chiede un pesce tu devi dare una canna da pesca ed insegnargli a pescare. Agli zingari, ai rumeni, ai neri che si trovano agli incroci delle nostre strade a chiedere la carità (non dovremmo mai usare questo termine per al posto di offerta) gli spiccioli che diamo non cambiano la situazione, non la risolvono ma li lasciano senza dignità. La vera, più grande, utile carità è ridare ad ogni uomo la sua dignità di immagine e somiglianza con Dio. per questo Gesù si identifica con ogni uomo, soprattutto il più piccolo, quello al quale è stata tolta la dignità.