mercoledì 31 dicembre 2008

COMBATTERE LA POVERTÀ, COSTRUIRE LA PACE.

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2009
(Tratto dal sito www.vatican.va)
1. Anche all'inizio di questo nuovo anno desidero far giungere a tutti il mio augurio di pace ed invitare, con questo mio Messaggio, a riflettere sul tema: Combattere la povertà, costruire la pace. Già il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1993, aveva sottolineato le ripercussioni negative che la situazione di povertà di intere popolazioni finisce per avere sulla pace. Di fatto, la povertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati. A loro volta, questi ultimi alimentano tragiche situazioni di povertà. « S'afferma... e diventa sempre più grave nel mondo – scriveva Giovanni Paolo II – un'altra seria minaccia per la pace: molte persone, anzi, intere popolazioni vivono oggi in condizioni di estrema povertà. La disparità tra ricchi e poveri s'è fatta più evidente, anche nelle nazioni economicamente più sviluppate. Si tratta di un problema che s'impone alla coscienza dell'umanità, giacché le condizioni in cui versa un gran numero di persone sono tali da offenderne la nativa dignità e da compromettere, conseguentemente, l'autentico ed armonico progresso della comunità mondiale ».
2. In questo contesto, combattere la povertà implica un'attenta considerazione del complesso fenomeno della globalizzazione. Tale considerazione è importante già dal punto di vista metodologico, perché suggerisce di utilizzare il frutto delle ricerche condotte dagli economisti e sociologi su tanti aspetti della povertà. Il richiamo alla globalizzazione dovrebbe, però, rivestire anche un significato spirituale e morale, sollecitando a guardare ai poveri nella consapevole prospettiva di essere tutti partecipi di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire un'unica famiglia in cui tutti – individui, popoli e nazioni – regolino i loro comportamenti improntandoli ai principi di fraternità e di responsabilità.
In tale prospettiva occorre avere, della povertà, una visione ampia ed articolata. Se la povertà fosse solo materiale, le scienze sociali che ci aiutano a misurare i fenomeni sulla base di dati di tipo soprattutto quantitativo, sarebbero sufficienti ad illuminarne le principali caratteristiche. Sappiamo, però, che esistono povertà immateriali, che non sono diretta e automatica conseguenza di carenze materiali. Ad esempio, nelle società ricche e progredite esistono fenomeni di emarginazione, povertà relazionale, morale e spirituale: si tratta di persone interiormente disorientate, che vivono diverse forme di disagio nonostante il benessere economico. Penso, da una parte, a quello che viene chiamato il « sottosviluppo morale » e, dall'altra, alle conseguenze negative del « supersviluppo ». Non dimentico poi che, nelle società cosiddette « povere », la crescita economica è spesso frenata da impedimenti culturali, che non consentono un adeguato utilizzo delle risorse. Resta comunque vero che ogni forma di povertà imposta ha alla propria radice il mancato rispetto della trascendente dignità della persona umana. Quando l'uomo non viene considerato nell'integralità della sua vocazione e non si rispettano le esigenze di una vera « ecologia umana », si scatenano anche le dinamiche perverse della povertà, com'è evidente in alcuni ambiti sui quali soffermerò brevemente la mia attenzione.
Povertà e implicazioni morali
3. La povertà viene spesso correlata, come a propria causa, allo sviluppo demografico. In conseguenza di ciò, sono in atto campagne di riduzione delle nascite, condotte a livello internazionale, anche con metodi non rispettosi né della dignità della donna né del diritto dei coniugi a scegliere responsabilmente il numero dei figli e spesso, cosa anche più grave, non rispettosi neppure del diritto alla vita. Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l'eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani. A fronte di ciò resta il fatto che, nel 1981, circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea di povertà assoluta, mentre oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata, e sono uscite dalla povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un notevole incremento demografico. Il dato ora rilevato pone in evidenza che le risorse per risolvere il problema della povertà ci sarebbero, anche in presenza di una crescita della popolazione. Né va dimenticato che, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, la popolazione sulla terra è cresciuta di quattro miliardi e, in larga misura, tale fenomeno riguarda Paesi che di recente si sono affacciati sulla scena internazionale come nuove potenze economiche e hanno conosciuto un rapido sviluppo proprio grazie all'elevato numero dei loro abitanti. Inoltre, tra le Nazioni maggiormente sviluppate quelle con gli indici di natalità maggiori godono di migliori potenzialità di sviluppo. In altri termini, la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà.
4. Un altro ambito di preoccupazione sono le malattie pandemiche quali, ad esempio, la malaria, la tubercolosi e l'AIDS, che, nella misura in cui colpiscono i settori produttivi della popolazione, influiscono grandemente sul peggioramento delle condizioni generali del Paese. I tentativi di frenare le conseguenze di queste malattie sulla popolazione non sempre raggiungono risultati significativi. Capita, inoltre, che i Paesi vittime di alcune di tali pandemie, per farvi fronte, debbano subire i ricatti di chi condiziona gli aiuti economici all'attuazione di politiche contrarie alla vita. È soprattutto difficile combattere l'AIDS, drammatica causa di povertà, se non si affrontano le problematiche morali con cui la diffusione del virus è collegata. Occorre innanzitutto farsi carico di campagne che educhino specialmente i giovani a una sessualità pienamente rispondente alla dignità della persona; iniziative poste in atto in tal senso hanno gia dato frutti significativi, facendo diminuire la diffusione dell'AIDS. Occorre poi mettere a disposizione anche dei popoli poveri le medicine e le cure necessarie; ciò suppone una decisa promozione della ricerca medica e delle innovazioni terapeutiche nonché, quando sia necessario, un'applicazione flessibile delle regole internazionali di protezione della proprietà intellettuale, così da garantire a tutti le cure sanitarie di base.
6. Un quarto ambito che, dal punto di vista morale, merita particolare attenzione è la relazione esistente tra disarmo e sviluppo. Suscita preoccupazione l'attuale livello globale di spesa militare. Come ho già avuto modo di sottolineare, capita che « le ingenti risorse materiali e umane impiegate per le spese militari e per gli armamenti vengono di fatto distolte dai progetti di sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri e bisognosi di aiuto. E questo va contro quanto afferma la stessa Carta delle Nazioni Unite, che impegna la comunità internazionale, e gli Stati in particolare, a “promuovere lo stabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti” (art. 26) ».
Questo stato di cose non facilita, anzi ostacola seriamente il raggiungimento dei grandi obiettivi di sviluppo della comunità internazionale. Inoltre, un eccessivo accrescimento della spesa militare rischia di accelerare una corsa agli armamenti che provoca sacche di sottosviluppo e di disperazione, trasformandosi così paradossalmente in fattore di instabilità, di tensione e di conflitti. Come ha sapientemente affermato il mio venerato Predecessore Paolo VI, « lo sviluppo è il nuovo nome della pace ». Gli Stati sono pertanto chiamati ad una seria riflessione sulle più profonde ragioni dei conflitti, spesso accesi dall'ingiustizia, e a provvedervi con una coraggiosa autocritica. Se si giungerà ad un miglioramento dei rapporti, ciò dovrebbe consentire una riduzione delle spese per gli armamenti. Le risorse risparmiate potranno essere destinate a progetti di sviluppo delle persone e dei popoli più poveri e bisognosi: l'impegno profuso in tal senso è un impegno per la pace all'interno della famiglia umana.
7. Un quinto ambito relativo alla lotta alla povertà materiale riguarda l'attuale crisi alimentare, che mette a repentaglio il soddisfacimento dei bisogni di base. Tale crisi è caratterizzata non tanto da insufficienza di cibo, quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi e quindi da carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fronteggiare le necessità e le emergenze. La malnutrizione può anche provocare gravi danni psicofisici alle popolazioni, privando molte persone delle energie necessarie per uscire, senza speciali aiuti, dalla loro situazione di povertà. E questo contribuisce ad allargare la forbice delle disuguaglianze, provocando reazioni che rischiano di diventare violente. I dati sull'andamento della povertà relativa negli ultimi decenni indicano tutti un aumento del divario tra ricchi e poveri. Cause principali di tale fenomeno sono senza dubbio, da una parte, il cambiamento tecnologico, i cui benefici si concentrano nella fascia più alta della distribuzione del reddito e, dall'altra, la dinamica dei prezzi dei prodotti industriali, che crescono molto più velocemente dei prezzi dei prodotti agricoli e delle materie prime in possesso dei Paesi più poveri. Capita così che la maggior parte della popolazione dei Paesi più poveri soffra di una doppia marginalizzazione, in termini sia di redditi più bassi sia di prezzi più alti.
Lotta alla povertà e solidarietà globale
8. Una delle strade maestre per costruire la pace è una globalizzazione finalizzata agli interessi della grande famiglia umana. Per governare la globalizzazione occorre però una forte solidarietà globale tra Paesi ricchi e Paesi poveri, nonché all'interno dei singoli Paesi, anche se ricchi. È necessario un « codice etico comune », le cui norme non abbiano solo un carattere convenzionale, ma siano radicate nella legge naturale inscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano (cfr Rm 2,14-15). Non avverte forse ciascuno di noi nell'intimo della coscienza l'appello a recare il proprio contributo al bene comune e alla pace sociale? La globalizzazione elimina certe barriere, ma ciò non significa che non ne possa costruire di nuove; avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e temporale non crea di per sé le condizioni per una vera comunione e un'autentica pace. La marginalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscatto nella globalizzazione solo se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse connesse. La Chiesa, che è « segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano », continuerà ad offrire il suo contributo affinché siano superate le ingiustizie e le incomprensioni e si giunga a costruire un mondo più pacifico e solidale.
9. Nel campo del commercio internazionale e delle transazioni finanziarie, sono oggi in atto processi che permettono di integrare positivamente le economie, contribuendo al miglioramento delle condizioni generali; ma ci sono anche processi di senso opposto, che dividono e marginalizzano i popoli, creando pericolose premesse per guerre e conflitti. Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, il commercio internazionale di beni e di servizi è cresciuto in modo straordinariamente rapido, con un dinamismo senza precedenti nella storia. Gran parte del commercio mondiale ha interessato i Paesi di antica industrializzazione, con la significativa aggiunta di molti Paesi emergenti, diventati rilevanti. Ci sono però altri Paesi a basso reddito, che risultano ancora gravemente marginalizzati rispetto ai flussi commerciali. La loro crescita ha risentito negativamente del rapido declino, registrato negli ultimi decenni, dei prezzi dei prodotti primari, che costituiscono la quasi totalità delle loro esportazioni. In questi Paesi, per la gran parte africani, la dipendenza dalle esportazioni di prodotti primari continua a costituire un potente fattore di rischio. Vorrei qui rinnovare un appello perché tutti i Paesi abbiano le stesse possibilità di accesso al mercato mondiale, evitando esclusioni e marginalizzazioni.
10. Una riflessione simile può essere fatta per la finanza, che concerne uno degli aspetti primari del fenomeno della globalizzazione, grazie allo sviluppo dell'elettronica e alle politiche di liberalizzazione dei flussi di denaro tra i diversi Paesi. La funzione oggettivamente più importante della finanza, quella cioè di sostenere nel lungo termine la possibilità di investimenti e quindi di sviluppo, si dimostra oggi quanto mai fragile: essa subisce i contraccolpi negativi di un sistema di scambi finanziari – a livello nazionale e globale - basati su una logica di brevissimo termine, che persegue l'incremento del valore delle attività finanziarie e si concentra nella gestione tecnica delle diverse forme di rischio. Anche la recente crisi dimostra come l'attività finanziaria sia a volte guidata da logiche puramente autoreferenziali e prive della considerazione, a lungo termine, del bene comune. L'appiattimento degli obiettivi degli operatori finanziari globali sul brevissimo termine riduce la capacità della finanza di svolgere la sua funzione di ponte tra il presente e il futuro, a sostegno della creazione di nuove opportunità di produzione e di lavoro nel lungo periodo. Una finanza appiattita sul breve e brevissimo termine diviene pericolosa per tutti, anche per chi riesce a beneficiarne durante le fasi di euforia finanziaria.
11. Da tutto ciò emerge che la lotta alla povertà richiede una cooperazione sia sul piano economico che su quello giuridico che permetta alla comunità internazionale e in particolare ai Paesi poveri di individuare ed attuare soluzioni coordinate per affrontare i suddetti problemi realizzando un efficace quadro giuridico per l'economia. Richiede inoltre incentivi alla creazione di istituzioni efficienti e partecipate, come pure sostegni per lottare contro la criminalità e per promuovere una cultura della legalità. D'altra parte, non si può negare che le politiche marcatamente assistenzialiste siano all'origine di molti fallimenti nell'aiuto ai Paesi poveri. Investire nella formazione delle persone e sviluppare in modo integrato una specifica cultura dell'iniziativa sembra attualmente il vero progetto a medio e lungo termine. Se le attività economiche hanno bisogno, per svilupparsi, di un contesto favorevole, ciò non significa che l'attenzione debba essere distolta dai problemi del reddito. Sebbene si sia opportunamente sottolineato che l'aumento del reddito pro capite non può costituire in assoluto il fine dell'azione politico-economica, non si deve però dimenticare che esso rappresenta uno strumento importante per raggiungere l'obiettivo della lotta alla fame e alla povertà assoluta. Da questo punto di vista va sgomberato il campo dall'illusione che una politica di pura ridistribuzione della ricchezza esistente possa risolvere il problema in maniera definitiva. In un'economia moderna, infatti, il valore della ricchezza dipende in misura determinante dalla capacità di creare reddito presente e futuro. La creazione di valore risulta perciò un vincolo ineludibile, di cui si deve tener conto se si vuole lottare contro la povertà materiale in modo efficace e duraturo.
12. Mettere i poveri al primo posto comporta, infine, che si riservi uno spazio adeguato a una corretta logica economica da parte degli attori del mercato internazionale, ad una corretta logica politica da parte degli attori istituzionali e ad una corretta logica partecipativa capace di valorizzare la società civile locale e internazionale. Gli stessi organismi internazionali riconoscono oggi la preziosità e il vantaggio delle iniziative economiche della società civile o delle amministrazioni locali per la promozione del riscatto e dell'inclusione nella società di quelle fasce della popolazione che sono spesso al di sotto della soglia di povertà estrema e sono al tempo stesso difficilmente raggiungibili dagli aiuti ufficiali. La storia dello sviluppo economico del XX secolo insegna che buone politiche di sviluppo sono affidate alla responsabilità degli uomini e alla creazione di positive sinergie tra mercati, società civile e Stati. In particolare, la società civile assume un ruolo cruciale in ogni processo di sviluppo, poiché lo sviluppo è essenzialmente un fenomeno culturale e la cultura nasce e si sviluppa nei luoghi del civile.
13. Come ebbe ad affermare il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, la globalizzazione « si presenta con una spiccata caratteristica di ambivalenza » e quindi va governata con oculata saggezza. Rientra in questa forma di saggezza il tenere primariamente in conto le esigenze dei poveri della terra, superando lo scandalo della sproporzione esistente tra i problemi della povertà e le misure che gli uomini predispongono per affrontarli. La sproporzione è di ordine sia culturale e politico che spirituale e morale. Ci si arresta infatti spesso alle cause superficiali e strumentali della povertà, senza raggiungere quelle che albergano nel cuore umano, come l'avidità e la ristrettezza di orizzonti. I problemi dello sviluppo, degli aiuti e della cooperazione internazionale vengono affrontati talora senza un vero coinvolgimento delle persone, ma come questioni tecniche, che si esauriscono nella predisposizione di strutture, nella messa a punto di accordi tariffari, nello stanziamento di anonimi finanziamenti. La lotta alla povertà ha invece bisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità e siano capaci di accompagnare persone, famiglie e comunità in percorsi di autentico sviluppo umano.
Conclusione
14. Nell'Enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II ammoniva circa la necessità di « abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone e popoli – come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto ». « I poveri – egli scriveva - chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero ». Nell'attuale mondo globale è sempre più evidente che si costruisce la pace solo se si assicura a tutti la possibilità di una crescita ragionevole: le distorsioni di sistemi ingiusti, infatti, prima o poi, presentano il conto a tutti. Solo la stoltezza può quindi indurre a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto o il degrado. La globalizzazione da sola è incapace di costruire la pace e, in molti casi, anzi, crea divisioni e conflitti. Essa rivela piuttosto un bisogno: quello di essere orientata verso un obiettivo di profonda solidarietà che miri al bene di ognuno e di tutti. In questo senso, la globalizzazione va vista come un'occasione propizia per realizzare qualcosa di importante nella lotta alla povertà e per mettere a disposizione della giustizia e della pace risorse finora impensabili.
15. Da sempre la dottrina sociale della Chiesa si è interessata dei poveri. Ai tempi dell'Enciclica Rerum novarum essi erano costituiti soprattutto dagli operai della nuova società industriale; nel magistero sociale di Pio XI, di Pio XII, di Giovanni XXIII, di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sono state messe in luce nuove povertà man mano che l'orizzonte della questione sociale si allargava, fino ad assumere dimensioni mondiali. Questo allargamento della questione sociale alla globalità va considerato nel senso non solo di un'estensione quantitativa, ma anche di un approfondimento qualitativo sull'uomo e sui bisogni della famiglia umana. Per questo la Chiesa, mentre segue con attenzione gli attuali fenomeni della globalizzazione e la loro incidenza sulle povertà umane, indica i nuovi aspetti della questione sociale, non solo in estensione, ma anche in profondità, in quanto concernenti l'identità dell'uomo e il suo rapporto con Dio. Sono principi di dottrina sociale che tendono a chiarire i nessi tra povertà e globalizzazione e ad orientare l'azione verso la costruzione della pace. Tra questi principi è il caso di ricordare qui, in modo particolare, l'« amore preferenziale per i poveri », alla luce del primato della carità, testimoniato da tutta la tradizione cristiana, a cominciare da quella della Chiesa delle origini (cfr At 4,32-36; 1 Cor 16,1; 2 Cor 8-9; Gal 2,10).
«Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi», scriveva nel 1891 Leone XIII, aggiungendo: «Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l'opera sua». Questa consapevolezza accompagna anche oggi l'azione della Chiesa verso i poveri, nei quali vede Cristo, sentendo risuonare costantemente nel suo cuore il mandato del Principe della pace agli Apostoli: «Vos date illis manducare – date loro voi stessi da mangiare» (Lc 9,13). Fedele a quest'invito del suo Signore, la Comunità cristiana non mancherà pertanto di assicurare all'intera famiglia umana il proprio sostegno negli slanci di solidarietà creativa non solo per elargire il superfluo, ma soprattutto per cambiare «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società». Ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ogni persona di buona volontà, rivolgo pertanto all'inizio di un nuovo anno il caldo invito ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro soccorso. Resta infatti incontestabilmente vero l'assioma secondo cui «combattere la povertà è costruire la pace».
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2008
BENEDICTUS PP. XVI

giovedì 18 dicembre 2008

Maria e Giovanni (di padre Valter Arrigoni)



“Egli fu annunziato da tutti i profeti, la Vergine Madre lo attese e lo portò in grembo con ineffabile amore, Giovanni proclamò la sua venuta e lo indicò presente nel mondo.” Così prega il Prefazio II dell’Avvento. Unisce le figure di Maria e di Giovanni il Battista. Così in queste ultime due domeniche prima del Natale ci troviamo a fermare lo sguardo della contemplazione, il respiro della preghiera, il fuoco dell’esame di coscienza alla luce della Parola che ci presenta queste due figure, questi due protagonisti del Natale. La terza domenica, sulla quale non abbiamo meditato insieme perché ero a Lourdes e da là vi ho scritto una lettera a cuore aperto, è chiamata “gaudete”,rallegratevi nel Signore che sta per venire. Paolo VI diceva in una udienza del mercoledì che ”un cristiano triste, che non è gioioso, non è un buon cristiano”. La gioia come criterio di giudizio, come metro per misurare la nostra fede. Ogni preghiera ebraica inizia dicendo: “Baruc atta Adonai ki”, “Sii benedetto, tu, o Signore, perché”. C’è un perché benedire il Signore Dio. Perché è buono, perché ha liberato il suo popolo, perché ha cura di ognuno di noi. Solo se c’è un perché benedire Dio allora c’è la possibilità della fede cioè c’è la possibilità di aderire, di credere, di trovare in Lui la vita, la gioia, la luce. E’ il Dio della gioia che annuncia la liberazione degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, che fascia i cuori feriti, così ci dice Isaia profeta. Paolo apostolo ai Tessalonicesi, ed oggi a noi ricorda che in Gesù possiamo pregare incessantemente, rendere grazie per ogni cosa,rallegrarci. Ma c’è una frase nell’annuncio del Battista che ha preso la mia attenzione e mi ha seguito nel meditare questo brano. “In mezzo a voi sta uno che non conoscete”. Conosciamo Gesù? Siamo cresciuti a scuola, sappiamo matematica, geometria, una o due lingue straniere, storia, filosofia … ma conosciamo Gesù? Nel credo che professiamo ogni domenica affermiamo che Gesù è:”unigenito Figlio del Padre, nato prima i tutti i secoli, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero (perché questa ripetizione visto che lo abbiamo professato pochi secondi fa?, generato non creato (cosa significa?) della stessa sostanza (cosa è la sostanza?)…”. Eppure c’è una ignoranza di Gesù che perdona, che ci rivela il vero volto del Padre, che si china con compassione e misericordia, che riaccoglie nel cuore di Dio e della salvezza i ladri, i pubblicani, le prostitute. Gesù è la nostra gioia. Le nostre celebrazioni sono momenti e luoghi di gioia? Certe volte penso alla noia che provano i bambini ed i ragazzi a Messa. Li vedo distratti, annoiati, vogliosi di uscire e certo di non entrare. Giovanni dice che sta in mezzo a noi uni che non conosciamo. Sta in mezzo a noi non solo nella chiesa ma soprattutto nel mondo, nell’Europa cristiana, appena fuori dalle nostre chiese. Per molti, soprattutto giovani e bambini, D io non è la fonte della gioia ma il bastone fra le ruote per raggiungere la felicità. Sesso, droga, denaro, potere, vendetta, gioco sono cose che possono dare felicità e gioia alla mia carne, alla mia vita e Gesù le proibisce. A questa obiezione troppi credenti non sanno rispondere, o peggio, testimoniano il contrario. Giovanni e Maria esprimono la loro gioia nel Signore. Il salmo che abbiamo cantato domenica è il “Magnificat”, l’esultanza della Madonna. Cosa accomuna la Vergine e Giovanni? Questa domenica. Quarta di Avvento, l’ultima prima del Natale, ci viene offerta la figura di Maria. Vorrei sottolineare tre cose su cui meditare, tre similitudini fra Giovanni e Maria: quello che accade e li vede protagonisti accade fuori dal Tempio, dalle strutture ordinarie della vita religiosa; l’umiltà dei due; la solitudine dei due di fronte a Dio e di fronte a chi li circonda.
Giovanni annuncia la presenza del Messia in mezzo a noi “nel deserto”, “en to eremo”. Vive mangiando cavallette, vestito di pelle di cammello. Ha rinunciato a tutto per Dio. Solo nel deserto si diventa capaci di sentire la voce del sottile silenzio nella quale parla Dio (“qol demamah dakkah” come la chiama Elia). Giovanni è un profeta, vive nella libertà, vorrei dire nell’anarchia, la sua fede. Non è classificabile, non è riducibile ad uno stereotipo, come vorrebbero fare gli inviati dal Tempio che gli chiedono se lui è il Messia, Elia, il profeta atteso prima della venuta del Messia. Anche Maria vive il momento centrale della storia dell’umanità, quello che cambia radicalmente tutto, il mistero dell’Incarnazione, non nel Tempio ma in casa sua. Secondo la tradizione della Chiesa d’oriente, l’Annunciazione avviene in due momenti: il primo alla fonte dove la giovane si reca a prendere l’acqua. Lì le appare un angelo e lei presa da timore figge e si rinchiude in casa. Ma l’angelo le appare fra le mura domestiche ed avviene il dialogo fra Dio e la donna prescelta per essere madre del Figlio del Padre. Il miracolo della Immacolata concezione per il quale Maria è nata senza peccato originale, preparata per essere madre del Figlio, Tempio dello Spirito, sposa del Padre. Il miracolo affermato come dogma della Immacolata consiste nel fatto che per Maria l’effetto della passione, morte e risurrezione di Gesù avviene prima che Gesù sia morto in croce. Eppure questa eccezione rispetto agli altri uomini non le toglie la libertà per la quale poteva benissimo dire di no all’angelo che le pone la domanda da parte di Dio. Questo avvenimento fondamentale per la salvezza dell’umanità è stato annunciato ad una giovane donna, in un’umile casa palestinese. Gli atti più liberatori di energia per l’umanità non avvengono necessariamente sotto i riflettori ed al suono di fanfare. Non avvengono neppure nel Tempio. L’accadere di questi avvenimenti fuori dal Tempio, perché Dio non abita nel Tempio, è sottolineato dalla prima lettura nella quale ci viene presentato il re Davide che vuole costruire una casa per YHWH che gli risponde: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dai pascoli … sono stato con te dovunque sei andato … il Signore ti farà grande poiché ti farà una casa”. Troviamo qui due accezioni del termine casa. Davide vuole costruire la casa di Dio, il Tempio ed invece Dio darà a Davide una casato, una discendenza, la casa reale di Giuda che vedrà molti secoli dopo come discendente Gesù, il re dei re della terra.
Le grandi opere di Dio non avvengono necessariamente nel Tempio, nel luogo dl culto organizzato, della religione, ma accadono nel cuore della persona. Ed ecco la seconda caratteristica che unisce Maria e Giovanni: l’umiltà. Maria lo canterà nel “Magnificat” dicendo “ha guardato l’umiltà della sua serva” e Giovanni proclama “uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo”. Nella sua umiltà usa per descriversi anche l’immagine della voce rispetto alla parola. Ciò che dona senso e significato alla voce è la parola che la voce proclama e senza la quale sarebbe solo un suono disarticolato e senza senso. Gesù è la ragione della vita di Maria, l’umile ancella che compie la volontà di Dio, e di Giovanni. L’umile testimone, la voce che nel deserto dice la parola. Entrambi soli di fronte alla grandezza della domanda che viene posta loro da Dio. Ad una ragazza vergine di diventare madre, misteriosamente, miracolosamente ed al figlio del sacerdote Zaccaria di rinunciare ad una vita comoda e sicura per diventare un segno di contraddizione, fino a morire martire per amore della verità. La solitudine di fronte alla domanda, alla richiesta di Dio diventa anche la solitudine di fronte agli altri. Giuseppe vorrebbe ripudiare Maria, la fidanzata che attende un figlio da un altro. Maria è sola davanti a Giuseppe, ai suoi genitori, al suo paese, alla gente,sola con il suo immenso ed indicibile (non esistono parole umane per dire quello che è accaduto dentro di lei). Giovanni è solo davanti alla madre ed al padre che sognavano per lui un futuro ordinario, per bene. E’ solo davanti a coloro che lo vorrebbero inquadrare dentro lo schema, dentro una definizione. E’ solo davanti alla verità. Nel deserto. Libero. La verità è la sola condizione della libertà. Solo nella verità, nella libertà, nella solitudine è possibile incontrare Dio e rispondergli.
Verità, libertà, solitudine, umiltà come atteggiamenti per vivere il Natale, l’incontro con Gesù, il volto del Dio della gioia, della tenerezza, del perdono, della compassione, della misericordia. Il volto del Dio fatto uomo per amore degli uomini.
Mancano pochi giorni a Natale. Prepariamo il cuore, il modo di vivere, di vedere, di decidere, di giudicare, di essere. Imitiamo Maria e Giovanni.
Valter Arrigoni

lunedì 8 dicembre 2008

Immacolata Concezione della Vergine Maria

In Inghilterra e in Normandia già nel secolo XI si celebrava una festa della concezione di Maria; si commemorava l’avvenimento in se stesso, soffermandosi soprattutto sulle sue condizioni miracolose (sterilità di Anna, ecc.). Oltre questo aspetto aneddotico, sant’Anselmo mise in luce la vera grandezza del mistero che si attua nella concezione di Maria: la sua preservazione dal peccato.Nel 1439 il concilio di Basilea considerò questo mistero come una verità di fede, e Pio IX ne proclamò il dogma nel 1854.Dio ha voluto Maria per la salvezza dell’umanità, perché ha voluto che il Salvatore fosse «figlio dell’uomo»; per questo viene applicata a Maria, con pienezza di significato, la parola di Dio contro il tentatore: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa» (Gn 3,15). E Maria viene riconosciuta come la «nuova Eva, madre di tutti i viventi» (prima lettura). Così Maria appare accanto a Cristo, il nuovo Adamo, e perciò ci si presenta come colei che aiuta a riscoprire e a rispettare il posto della donna nella salvezza dell’umanità. Richiama ed esalta il posto e il compito della vergine, della sposa, della madre, della vedova, nella società, nella Chiesa e nel mondo; rivendica la dignità della donna contro ciò che la attenta.

Un segno che il male è sconfitto
Accanto al vero Adamo fu creata la vera Eva: Maria fa parte del mistero di Cristo. Dove era abbondato il peccato, è sovrabbondata la grazia. L’Immacolata è il «segno» che con la risurrezione di Cristo il male è già sconfitto «in partenza» se una creatura ha potuto essere ripiena di grazia dal primo istante della sua esistenza.La Scrittura, con il triste ritornello: «E fece quel che è male agli occhi del Signore, imitando i suoi padri» (cf 2 Re 13,2.11...), vuol dare un esempio dell’implacabile contagio del peccato che il libro della Genesi esemplifica più plasticamente ricercando l’origine del male. Maria Santissima, sottratta al peccato «originale», anche la garanzia che nel mondo il bene è più forte e più contagioso del male. Con lei, la prima redenta, ha inizio una storia di grazia «contagiosa».

Un segno dei tempi nuovi

Il tema dell’Immacolata è centrale per l’Avvento che prepara a rivivere il «mistero della Redenzione» in avvenimenti dove la grazia fa irruzione in modo sovrabbondante. L’Incarnazione del Verbo, l’esultanza del Precursore nel seno materno, il Magnificat, il «Gloria!» degli angeli, la gioia dei pastori, la luce dei magi, la consolazione di Simeone e Anna, la teofania al Giordano anticipano i segni dei tempi nuovi.La liturgia rende presente in mezzo alla nostra assemblea la potenza che ha preservato la Vergine dal peccato: celebra infatti nell’Eucaristia lo stesso mistero della redenzione, di cui Maria per prima ha goduto i benefici e al quale noi partecipiamo, secondo la nostra debolezza e le nostre forze.

Vangelo Lc 1,26-38

Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.


domenica 7 dicembre 2008

Comunicato Nr. 2 - 7 Dicembre 2008


Cari fratelli un saluto a tutti voi che ci seguite costantemente.
Dopo una pausa di silenzio, dovuta ai vari impegni di ognuno di noi, il progetto "granelli di sabbia" prosegue il suo cammino.
A dire il vero, dopo anni passati ad animare le varie celebrazioni nel convento di Tortona, quest'anno ci eravamo rassegnati a trascorrere un Natale tranquillo senza strumenti in mano.
Invece ci è giunta, a sorpresa, la richiesta di animare la messa della notte di Natale nella parrocchia di Sant'Antonio da Padova in quel di Isola Sant'Antonio (AL).
Ne siamo felici ed abbiamo accettato di farlo con gioia e semplicità.
Inoltre ci è stata concessa la possibilità, da parte di Padre Roberto Cattaneo, a cui va già il nostro grazie, di animare la messa di suffragio di Anita (la mamma di Gianluca), domenica 21 dicembre, nel convento dei Frati Cappuccini di Tortona.
Desideriamo informarvi, inoltre, che "la band" si è arricchita di due nuovi elementi: Maria Petti e Brigida Liparoti che con il loro contributo hanno indubbiamente arricchito il risultato finale.
A presto.
"granelli di sabbia"

Vangelo della II Domenica di Avvento - Anno B

Vangelo Mc 1, 1-8
Raddrizzate le vie del Signore.
Dal vangelo secondo Marco

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore,raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

venerdì 5 dicembre 2008

"Tempo di Avvento, tempo di vigilanza" (di padre Valter ARRIGONI)


Abbiamo iniziato domenica scorsa, 30 novembre, il tempo di Avvento, il tempo che ci prepara al Natale. La parola chiave di questa attesa del Signore che viene è “vigilanza”. Le vigilie sono le ore della notte. Stare attenti ai segni dei tempi per riconoscere il Signore presente nella storia. Stare attenti a noi stessi per educarci alla centralità di Dio nella nostra vita. Abbiamo abbandonato le vie del Signore ed abbiamo preferito le vie del mondo. Le gioie che ci vengono offerte a buon mercato e che hanno sepolto la misteriosa e silenziosa presenza di Dio nella nostra vita, nelle scelte, nei giorni che passano. Dopo aver contemplato gli ultimi tempi in queste ultime domeniche con il Vangelo di Matteo, adesso siamo accompagnati da Marco al Natale. Ci si ferma a riflettere, si riconoscono le nostre malattie spirituali e si intraprende la via che avevamo abbandonato per poter tornare a Gesù. Anche noi nella notte di Natale andremo con i pastori e gli angeli alla grotta santa e lì troveremo Maria, sua e nostra madre, Giuseppe che custodisce il mistero di Dio, e Gesù, un bambino come tanti altri ma che porta in sé la risposta di Dio agli uomini. L’Avvento è il tempo della carne che grida la sua domanda (così come la Quaresima sarà il tempo della carne che fa penitenza per i suoi peccati).Il Natale è la festa della risposta di Dio alla domanda della carne. Poveri gli uomini che si ritengono saziati, riempiti, soddisfatti, dalle cose che hanno e pensano di non avere domande, desideri, bisogni ai quali Dio e Dio solo, può rispondere! Poveri gli uomini che non hanno altri desideri che quelli della loro carne, del loro mondo, del portafoglio o della soddisfazione dell’egoismo, della superbia! Nel fermarci a verificare dove siamo e che strada stiamo percorrendo l’esame di coscienza ha come tema gli idoli che hanno preso il posto di Dio. L’amarezza che ci viene lasciata nel cuore, il senso di inutilità, di fallimento, di scontentezza e di insoddisfazione sono la voce di Dio che parla alla nostra vita nella coscienza. Accorgersi che qualcosa non va è l’inizio della conversione. La strada per uscirne, per guarire, ci viene indicata in questo tempo di Avvento. Ogni domenica, ogni Parola che ci viene proclamata, ogni preghiera ed ogni atto che ci viene suggerito serve a rimettere al centro Gesù Cristo.
In questo anno liturgico che inizia con l’Avvento e che secondo il calendario della Chiesa è l’anno B il Vangelo che ci accompagna è il Vangelo di Marco. Nipote di Barnaba, Giovanni Marco segue nella prima missione lo zio e san Paolo ma ad un certo punto torna a casa e lascia i compagni di missione. Per questo motivo Paolo si oppone a Barnaba quando partono per il secondo viaggio e Barnaba vuole portare con sé il nipote. Fra Paolo e Barnaba nasce un disaccordo e si separano. La famiglia di Marco aveva seguito Gesù fin dall’inizio tant’è che Marco, ancora giovinetto, era con gli apostoli e con Gesù nell’orto degli ulivi quando Gesù fu arrestato. Nel racconto dell’arresto di Gesù infatti Marco inserisce quello che tecnicamente si chiama “sfraghìs”, cioè segno distintivo, firma. “Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono. Un giovinetto lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via, nudo”. Marco parla di se stesso. Per quanto giovane era ben inserito nella primitiva comunità cristiana. Il suo racconto delle parole e dei gesti di Gesù inizia il nuovo genere letterario che prende il nome di Vangelo. Riporta i ricordi suoi e di Pietro su Gesù: Gesù è il Vangelo, la buona notizia. Gesù è la risposta di Dio a tutti, all’umanità intera. Ci sono tre affermazioni della centralità di Cristo riconosciuto come il figlio di Dio, il Vangelo, la buona notizia, Dio egli stesso. All’inizio del Vangelo troviamo l’espressione: “Buona notizia che è Gesù Cristo, Figlio di Dio”. A metà del Vangelo troviamo Pietro che afferma: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. Alla fine del Vangelo, ai piedi della croce dove c’è Gesù morto, il centurione romano confessa: “veramente quest’uomo è il Figlio di Dio”. Gesù è venuto per tutti, ebrei e pagani. Pietro ed il centurione. Tutti. E’ ormai unanimemente accettato che il Vangelo di Marco è il primo ad essere stato scritto. E’ servito da base ai Vangeli di Matteo e Luca. Riporta i ricordi del giovane Marco che è diventato, nel frattempo, il “segretario” di Pietro. Struttura il suo racconto secondo il discorso di Pietro al centurione Cornelio, secondo il suo annuncio: Giovanni il Battista, il battesimo di Gesù e la missione in Galilea. I miracoli di Gesù fuori dalla Giudea ed infine il viaggio a Gerusalemme. L’attività a Gerusalemme. Tutto è centrato su Gesù. Qualche esegeta parla del Vangelo di Marco come del Vangelo del discepolato, il catechismo per gli adulti romani che si avvicinano alla nuova fede. Secondo me in questo racconto che Marco ci offre c’è la sua dichiarazione d’amore per Gesù. Il mettere il Cristo al centro della propria vita. Far ruotare tutto attorno a Lui. E’ la sua esperienza ed è anche quella di Pietro e di Paolo, dei suoi maestri. E’ il Vangelo che non si adegua mai né al moralismo dei giudei e neppure all’intellettualismo dei greci. Rischi che la fede nascente incontrava. Lo stesso Paolo infatti scrive ai corinzi: “annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i greci”. Il Vangelo è la persona di Gesù, la sua carne, quello che ha detto e fatto. Anche nella prima domenica abbiamo sentito la parabola di un uomo che parte ed affida ai servi i suoi beni. Ma l’attenzione questa volta è sul fatto che tornerà quando meno ce lo aspettiamo. Ritornerà di certo “la sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino presto”. Il Signore viene nella notte. Le indicazioni del momento infatti sono tutte legate alla notte. Buio del mondo e della vita. Morte, disperazione, solitudine, tradimento, povertà, peccato, ingiustizie, violenze, guerre, miserie. In questa notte siamo chiamati ad essere luce nelle tenebre, sale della terra. Non si parla in queste letture del giudizio (come nelle letture delle scorse domeniche) ma del ritorno del Signore. San Paolo ci dice che abbiamo tutti i doni, le grazie dal Signore per svolgere il nostro compito di luce e sale. Il profeta Isaia ha una invocazione bellissima “se tu squarciassi i cieli i scendessi”. E Dio lo ha fatto in Gesù. Ha squarciato i cieli ed è disceso. Noi siamo testimoni di questo. Noi siamo i testimoni di questo. A noi il compito di essere per gli uomini la risposta di Dio. Il suo orecchio che ascolta, le sue mani che curano, la sua bocca che conforta. A noi il compito di essere la voce della domanda, del grido disperato dell’umanità ferita, che si leva a Dio nella preghiera. L’avvento è il tempo della carità che si curva con misericordia e tenerezza sulle pieghe degli uomini e della preghiera che grida a Dio: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi”. Nella seconda domenica sottolineo due aspetti che sono l’inizio del Vangelo di san Marco e la figura di Giovanni il precursore (nelle icone bizantine viene definito il prodromo).Il Vangelo non è un libro come superficialmente noi pensiamo ma è la persona di Gesù Cristo. Vangelo è una parola greca che significa “buona notizia”. Veniva usata per indicare la notizia della fine vittoriosa di una guerra o la nascita dell’erede al trono. Veniva accompagnata dalla distribuzione gratuita di dolci (solitamente schiacciate d’uva), di pane, di denaro. Portava con sé una gioia anche molto concreta. Marco inizia il suo Vangelo con questa frase: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo”. Di “Gesù Cristo” sia in greco che in italiano può voler dire “che è di Gesù Cristo”, “che parla di Gesù Cristo” (si chiama genitivo oggettivo: “la mela di Pietro”, “il romanzo dei Promessi sposi). Ma può anche significare, come in questo caso “il Vangelo che è Gesù Cristo” (si chiama genitivo soggettivo: “la città di Milano”!). Marco inizia il suo Vangelo, la sua buona notizia, la risposta ai secoli di domande degli uomini affermando che la risposta, la nascita dell’erede, la vittoria nella guerra è la persona, la carne, di Gesù. Gli ebrei attendevano la venuta del Messia che sarebbe stata preannunciata dalla figura del profeta Elia (figura che appartiene anche alla tradizione islamica con il nome di “profeta verde”). Per molti ebrei del tempo di Gesù il Battista è questa figura di Elia che annuncia la venuta del Messia. Si capisce allora perché accorrevano a lui per ricevere il battesimo, il lavacro, di penitenza. Si trattava di un rituale che prevedeva lo scendere nell’acqua del Giordano per lavarsi dai propri peccati. Torneremo sulla figura del Battista, del precursore. E’ sua la voce che grida nel deserto. Qui c’è una questione di punteggiatura. Isaia scrive: “voce di uno che grida: nel deserto preparate le vie del Signore”. Significa che tutti quelli che ascoltano devono fare deserto nella propria vita, nella loro anima. Solo nel deserto si sanno vedere le oasi, riconoscere i segni della vita presente dietro le apparenze della morte. Solo nel silenzio e nella solitudine si può sentire e riconoscere la voce di Dio. Marco invece scrive: “voce di uno che grida nel deserto: preparate le vie del Signore”. Cioè nel tempo della notte, della morte, dell’attesa, della domanda viene un profeta che annuncia la venuta del Signore. Il deserto è cioè la condizione del profeta. Potremmo dire di ogni profeta, anche nostra oggi.
Il sette dicembre festeggio i venti anni della mia ordinazione sacerdotale per le mani del Vescovo Casale. Sarò a Lourdes. Ricordatemi.
Rimando ogni festeggiamento al 14 febbraio nel ricordo del quinto anniversario della mia Professione solenne. nelle mani del Vescovo Tamburrino, come monaco diocesano. In quella occasione presenterò il mio secondo libro, “Essere amici di Gesù”. Vi farò sapere il programma.
p. Valter Arrigoni