martedì 30 settembre 2008

Apparire... (di Maria Petti)


Riceviamo da Maria una riflessione ispirata da un articolo che affronta il problema dei media.


I “segni” religiosi
Superare un linguaggio logorato


Linguaggio e notizie “religiose” sono una presenza forte nei media. Scorrendo giornali, Tv, radio, film, pubblicità, Internet, ovunque troviamo segni che provengono dalla esperienza religiosa. Diventa quindi di importanza strategica interessarsi del fenomeno. Sia perché non tutto ciò che viene offerto è buono, sia perché l’etichetta “religiosa”, da sola, non basta. Ad esempio, la Bibbia in tivù può essere un fatto interessante. Ma è anche una sfida per coloro che tengono veramente al testo sacro. Perché per molte persone quello televisivo è e sarà l’unico contatto con la Bibbia, divenendo così, per loro, “la” Bibbia. Non sempre corrispondente, però, a livello di significati e di racconto stesso, all’originale. Una conoscenza che, di conseguenza, in partenza giunge “de-formata”.
Il sistema dei media è vorace di ogni tipo di contenuto, specie dei segni ricchi di senso. Ma l’uso è a proprio consumo, per fini propri. Ecco dunque il problema: i media, è questo il rischio, distorcono quanto maneggiano.
E, per quanto riguarda il sacro e il “religioso”, questo fatto ha delle conseguenze di rilievo. I media, assumendo il “religioso”, lo tolgono dal suo contesto naturale. Inserito nel palinsesto di una programmazione o nell’impaginazione di un giornale, il “religioso” si carica dei significati e delle emozioni provenienti dai messaggi entro cui si trova.
Verifichiamo, ad esempio, l’abuso che si fa della croce e del crocifisso.
Abbondantissima la sua presenza nella pubblicità.
Ma di quale croce si tratta? Un oggetto ornamentale, niente di più. Un segno prezioso ostentato. Anzi, furoreggia come moda. Si va dalla croce semplice e sobria sugli abiti, sino a quella dissacrante, irriverente che vediamo nel punk e nel metal. Ma anche la croce protagonista dell’abbigliamento di qualche sfilata. La si vede al collo di star come Madonna. Naomi Campbell, scollatissima, ne sfoggia anche tre a diverse altezze. È un gioiello sexy al collo di Anastacia. Cher non solo la porta al collo, ma esibisce pantaloni disseminati di croci. I re del rap (da Puff Daddy in giù) esibiscono al collo croci di diamanti e oro. Marylin Manson si circonda di croci. I Sex Pistols puntano alla trasgressione.
La moda ha catturato le mille sensazioni emanate dalla croce e ne ha fatto il gioiello per eccellenza: dai modelli più classici alle rivisitazioni coreografiche di Dolce & Gabbana, ai giochi e agli abbinamenti shock di Versace, che adorna le sue ladies miliardarie con croci di mille diamanti. È feticismo, adorazione, in bilico tra il sacro e il profano, tra passione e redenzione. Qualcosa in cui credere, qualcosa con cui vezzeggiarsi. Come le croci sui tessuti, sulle scarpe, sui gemelli; come orecchini o pendenti da una collana. Trasformata, giocata, divertente e preziosa, si esalta il suo potenziale decorativo. Visti certi contesti, è difficile parlare di simbolo religioso.
Di fronte a un linguaggio come quello religioso, logorato dai media, è necessario intervenire variando con fantasia la nostra comunicazione. Con nuovi mezzi, nuovi linguaggi, nuovi simboli forti. Provare e innovare continuamente.
Ed essere attenti, nel comunicare, non solo ai contenuti ma anche alla relazione. Le persone non cercano solo contenuti religiosi, ma una relazione, una esperienza di fede.
C’è una grande attesa. L’attesa, la nostalgia per un rapporto diverso con Dio, con una Chiesa diversa, con un prete differente che sta al tuo fianco.
C’è bisogno di Parola di Dio. Un tesoro troppo spesso comunicato in maniera morta. C’è la richiesta di dare voce alla Parola che dà senso, di curare prodotti culturali che vadano incontro a queste domande. La Parola di Dio va fatta conoscere, altrimenti, non comunicando più, perde il suo significato.
Nel sistema dei media di Christian Ricci - Tratto dal mensile bibliografico “Pagine Aperte” n. 4/2008 – Maggio 2008. Edizioni San Paolo
Approfitto di questo articolo che ho voluto inviarvi per testimoniare, nel mio piccolo, l’uso disincantato e provocatorio (ma provocare chi poi?) che si fa dei simboli religiosi; nel mio caso un Rosario. Un giorno, alla ricerca di foto da utilizzare per un lavoro, mi sono imbattuta su un blog dove era pubblicata una foto di nudo femminile: preso di spalle, seduto, con tanto di Rosario appeso al collo, in senso inverso data la posizione, la corona gli scendeva lungo tutta la schiena fino a far posare il crocifisso proprio sul fondoschiena… Non che io sia contraria ai nudi, purché artistici (questi esaltano la figura umana, il corpo e quindi l’operato di Dio), ma a quel nudo, seppure bello come forme e linee, non sapevo proprio dare una collocazione, chiedendomi cosa mai volesse comunicare, rappresentare.
Scrollando la testa, in senso di diniego, non scandalizzata per lo scempio ma dispiaciuta, questo sì, mi sono detta che il crocifisso meriterebbe più rispetto, perché rappresenta un uomo che sta soffrendo e morendo. Anche se magari non si è credenti, ma almeno il rispetto per la sofferenza lo vogliamo conservare? Almeno il rispetto per la sofferenza!

Maria Petti

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao a tutti. Devo dire che mi trovo proprio d'accordo con le parole di Maria. Il rispetto viene ormai tolto a qualsiasi cosa , sia nel linguaggio che nell'aspetto che ci si dà. Questo non fa altro che annullare la dignità dell'uomo, della stessa persona che parla in modo sguaiato, della stessa persona che va girando con qualsiasi cosa indosso. Questo è davvero triste, non si accorgono di quanto si imbruttiscono certe persone, di come nel parlare non sanno più di niente! E' così bello l'uomo, è così completa la sua natura, è così amabile la sua vita...ma se giriamo lo sguardo, se apriamo gli occhi, vediamo in giro chi abita le strade solo perché non ha voglia di fare nulla, o che trama alle spalle degli altri, quando si trova sul lavoro, per arrivare in pole position godendo del prestigio ma rimanendo da solo! Anche questo è calpestare sé stessi e la dignità umana. Ma nulla è più triste del far l'abitudine alle cose sbagliate; è triste pensare che è così ed è stato così da sempre, che certe cose sono sempre esistite. Per forza: perché comunque la maggioranza della gente le accetta e non si ribella ad esse. Guai ad andare fuori dalle righe, guai a dire agli altri che la pensi diversamente! ...e questo sporco gioco del volersi far accettare dalla massa finisce per annientare l'individuo e a fargli sembrare normale o addirittura esaltare con manifestazioni e cortei quello stupido che qualche anno fa ha girato ubriaco e nudo, legato a una croce...