mercoledì 1 ottobre 2008

CRISTO MISERICORDIOSO - (di Padre Valter Arrigoni)


“Ritorna al nostro Dio che largamente perdona”. Così ci dice attraverso il profeta Isaia il Padre di ogni misericordia e consolazione. E’ questa la prima lettura della XXV domenica. Dio nelle Messe ci ripeterà, lo ripeterà a tutti quelli che sono convenuti nelle chiese di tutto il mondo perché lo vadano ad annunciare ai loro fratelli di umanità. Dio che largamente perdona è il volto del Padre che dobbiamo annunciare, testimoniare, far conoscere a coloro, in particolare, che si sentono esclusi dalla salvezza. Troppi, dopo duemila anni di cristianesimo, pensano ancora a Dio con terrore. Troppi preti parlano sempre e solo di un Dio che giudica e castiga. Riducono l’esperienza dello spirito, l’esperienza dell’essere fedeli, del lasciarsi afferrare da Dio ad un elenco di precetti, di leggi. Sembra che il compito affidato dal Signore ad alcuni (troppi!) suoi ministri sia quello di esporre le condizioni di appartenenza. Se non rispetti queste condizioni sei fuori! Sei tagliato fuori dalla salvezza! Non sei più un figlio di Dio, non hai diritto a mettere piede in chiesa. Eppure la Parola di Dio è chiarissima. Quello che è venuto a testimoniare, a far conoscere il Figlio del Padre è il suo volto di amore, di tenerezza, di perdono. “Se voi capiste cosa significa misericordia io voglio e non sacrificio”. “Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Per questo ho detto: eccomi, io vengo per fare la tua volontà”. Siamo salvati dal sacrificio di Gesù sulla croce. San Paolo lo ripete ai cristiani di Efeso: “Per grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene”. San Giovanni nella sua prima lettera ai cristiani dell’Asia minore scrive che l’amore di Dio si è manifestato nel donarci suo Figlio “quando ancora eravamo peccatori”. Grazia, dono, gratuità sono le connotazioni del comportamento di Dio come ci viene presentato nelle letture di questa domenica. Sempre nella prima lettura c’è un pensiero che ha due significati, due sfaccettature che vanno intese bene tutte e due per capire qualcosa del pensiero di Dio: “perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie”. Convertirsi vuol dire fare nostro il modo di pensare, di vedere di Dio. Scegliere fra la mentalità del mondo (gli spiritualisti dicevano “del secolo”) e quella di Dio che è radicalmente, totalmente, diversa. Scegliere fra il successo, il denaro, il piacere, la vendetta, l’arrivismo, l’apparire, la vanità, la moda, l’inutile, il superfluo, l’ostentazione, il provocare invidia, l’essere emergente, l’ottenere successo anche mentendo ed uccidendo l’altro, e la mentalità di Dio. Pace, giustizia, carità, perdono, umiltà, pazienza, solidarietà, rinunciare al proprio interesse per il bene di tutti, non sfruttare, non vendicarsi, riconoscere chi è migliore di noi e farlo andare avanti. Mi pare proprio che le strade di Dio non siano quelle percorse dalla più parte dell’umanità anche se frequenta le chiese, le messe domenicali, le processioni, le case degli ecclesiastici. Le vie di Dio non sono state per secoli quelle dell’umanità e non lo sono ancora adesso. Se la fonte è inquinata non ne può scaturire acqua buona. Il mondo è in questo stato in conseguenza delle scelte operate da chi gestisce il potere. La nostra città è in questo stato per colpa di chi gestisce il potere. Tutti. Anche io nel mio piccolo. Una conseguenza concreta dell’ascolto della Parola di Dio è eliminare tutte le situazioni di lavoro nero. Di sfruttamento della povertà, del bisogno del povero che lo rendono sempre più fragile, impotente. Cominciare a seguire le vie di Dio, ad avvicinarci almeno ad esse.
L’altro aspetto della diversità di Dio da noi è quello della misericordia. Dio è Padre di misericordia. Santa Faustina Kowalska riferisce i suoi colloqui con Gesù che si lamenta con lei perché l’umanità, ed in questa gran parte della Chiesa, non ha capito quanto è grande la sua misericordia, il suo perdono, l’amore che Dio prova per l’umanità.
Il Vangelo chiarisce questo punto, anzi svela il comportamento di “chi si sente giusto” e per questo “condanna gli altri”. Si parla del padrone di una vigna, Dio Signore del mondo, che esce a chiamare operai per la sua vigna. Siamo noi ai quali è affidato il mondo e nel mondo in particolare, oltre alla natura, l’umanità. A noi sono affidati tutti gli uomini. Questo padrone esce sulla piazza, dove si riuniscono quelli che cercano lavoro e sono disponibili per essere chiamati a giornata, a diverse ore del giorno. La mattina presto, a mezza mattina, a mezzogiorno ed infine la sera. Gli ultimi spiegano che non sono andati prima al lavoro perché nessuno li ha chiamati. Iniziano quindi a lavorare all’undicesima ora, alle cinque del pomeriggio. Quando viene il momento della paga quelli che sono andati al mattino presto nella vigna sperano di guadagnare di più. Rimangono delusi, amareggiati, pieni di odio quando si vedono dare lo stesso salario degli ultimi arrivati. Qui c’è il discorso chiarificatore del padrone, di Dio. quello che viene dato è quanto pattuito all’inizio del lavoro. Ma la seconda affermazione ci deve far capire il pensiero di Dio: “non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Il paradiso è la casa di Dio e ci entra chi vuole il padrone di casa. Certe volte l’atteggiamento di alcuni cristiani (e qui vorrei riportare le parole di Gesù per definire questi personaggi. Sono le stesse che diceva agli scribi ed ai farisei del suo tempo che sono passati nella Chiesa e ci sono ancora adesso. Preoccupati più di chiudere fuori che di far entrare) è quello di persone infelici della loro fede. Sembra quasi che l’essere credenti, l’essere nella e della Chiesa sia la peggior disgrazia che poteva capitare loro. Sembra che i non credenti, i senza Dio, i ricchi, i potenti, i forti, i belli, quelli alla moda, siano i felici. Quelli che fanno “la bella vita”. Chi invece crede è infelice. Non può permettersi le gioie, i godimenti, i piaceri ma solo croce, dolore, penitenza, digiuno, morigeratezza, infelicità. Gli opera della prima mattina hanno visto solo la fatica ed lavoro e non l’essere utili, la gioia del lavorare, del servire, del fare il mondo bello e buono e giusto. Il loro salario è quello accordato all’inizio del lavoro. Non viene tolto loro nulla. In più hanno passato una giornata, la vita, utile, significativa.
Quello che manca a troppi credenti è la gioia del servizio, dell’essere utili. La gioia “dentro”. Troppi sono ancora alla ricerca del godimento “fuori”. Oppure, peggio ancora, troppi credenti sono convinti di salvarsi solo per le opere loro, perché sono bravi, buoni, santi, giusti, belli. Giudicano e condannano (raramente un giudizio si conclude con l’assoluzione).
Riporto alla fine di questa riflessione un brano di Simeone il nuovo Teologo, santo, poeta, autore di inni sacri, cantore del mistero di Dio e della sua misericordia:


“Non ho lavorato, non ho compiuto le opere della giustizia,
non ho mai osservato uno solo dei tuoi comandamenti,
ho vissuto nel vizio per tutta la mia vita;
eppure tu non hai rivolto altrove lo sguardo,
mi hai cercato emi hai trovato là dove andavo errando,
mi hai ricondotto dalla strada sbagliata
e mi hai sollevato sulle tue spalle immacolate, o Cristo,
fino alla luce della tua grazia;
mi hai caricato sulle spalle, o misericordioso,
e senza lasciarmi sentire la minima fatica,
perfettamente a mio agio, come su un carro,
mi hai fatto percorrere senza sforzo le strade accidentate,
finchè mi hai ricondotto all’ovile delle tue pecore,
mi hai fatto entrare nella comunione
e mi hai messo nel numero dei tuoi servi”.


Padre Valter Arrigoni

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