lunedì 6 aprile 2009

Ecce Homo (di padre Valter Maria Arrigoni)


Ancora per una volta non offro una riflessione sul Vangelo della domenica prossima perché è la domenica di Pasqua ma degli spunti di riflessione per questa settimana santa, di Passione. Nel rito ambrosiano si chiama “settimana originale” perchè sta all’origine di ogni settimana. E’ il modello originale sul quale si modella il tempo dell’anima. Della vita alla luce di Dio. Il passaggio dalla morte alla vita. Il passaggio del dolore attraverso il venerdì santo della morte alla notte del sabato santo quando fra le tenebre si vede la luce della vita che trionfa, della risurrezione. Uno scrittore russo della letteratura clandestina, del samizdat, scriveva che “tanto più buia è la notte tanto più luminose brillano le stelle, quanto più profondo è il dolore tanto di più sarà la gioia”. Per questo in questa meditazione mi soffermo su alcuni aspetti della Passione, che abbiamo letto la domenica delle palme. Nel lavoro spirituale, nella fatica della conversione, quasi fosse un compito, una lezione, un insegnamento scolastico seguo l’insegnamento di san Bernardo di Chiaravalle che diceva “age quod agis”, fai bene quello che stai facendo. La tappa prima della Pasqua di risurrezione sono i tre giorni del dolore, del tradimento, della solitudine, del disprezzo, della morte. Direi anche della disperazione perché i protagonisti, Maria, Giovanni la Maddalena davanti alla morte di Gesù non fingevano di soffrire ma erano uomini davanti alla morte del figlio, dell’amico, della persona amata. Maria non era Addolorata per finta, non recitava ai piedi della croce. Maria era, in quel momento, una madre alla quale moriva in un modo drammatico il figlio unico. Partendo dalla lettura del Vangelo di domenica, liturgicamente chiamato il “Passio”, cioè la lettura della Passione, ci sono tre parole che sulle quali medito in questi giorni, che illuminano la mia preghiera: silenzio, uomo, preghiera. La prima parola è “silenzio”. Gesù vive la sua passione e morte nel rumore, fra le grida, nella violenza che è anch’essa un rumore, un “non silenzio”. Anzitutto occorre aver chiaro che rumore non sono solo le parole o quello che si sente con le orecchie. E’ rumore la violenza di certe immagini che vediamo quotidianamente durante i telegiornali. E’ rumore lo stupro, la pedofilia, la corruzione dei politici, le immagini pieni di sesso e di erotismo. E’ rumore anche la stupidità di certe trasmissioni (domenica ero a pranzo in una famiglia e sul primo canale della Rai c’erano alcuni che stavano discutendo su Wanna Marchi, Fabrizio Corona, come se fossero una questione di valori, di ideali. Ma quel che è peggio è stato l’aver visto l’interesse per questi argomenti!). Gesù soffre e muore in mezzo al rumore di una città che sta vivendo la vigilia della festa. Oltretutto dopo le quattro della sera tutto veniva chiuso perché si entrava nel giorno della Pasqua. Quando Gesù, carico della croce, passa per le vie di Gerusalemme la città non solo non si ferma ma viene addirittura infastidita da questo corteo del dolore fra le viuzze strette, gremite di folla, fra gente accalcata. Ho visto la stessa cosa attorno alla processione della palme o a quella, la sera prima, della giornata della gioventù. Mi ricordo venti anni fa, quando arrivai a Foggia, che quando passavano le processioni (palme, Corpus Domini, Icona vetere) le saracinesche venivano abbassate, la gente si faceva il segno della croce, tutto significava rispetto. Adesso non solo tutti i negozi rimangono aperti ma vedo gente indaffarata, distratta, infastidita dalla processione che rallenta il traffico, crea impedimenti. Vedo molti ragazzi, sempre più giovani, che con atteggiamento di sfida fumano e continuano a fumare, si sbaciucchiano, per dimostrare non solo il loro disinteresse ma anche il loro disprezzo. Silenzio davanti a Cristo che soffre e muore significa spegnere per questi giorni il rumore del mondo. Lasciare che siano gli occhi a vedere, ad ascoltare, a parlare. “Contempleranno Colui che hanno trafitto”. “Jesus autem tacebat” . in mezzo al gridare arrabbiato dei soldati, del sommo sacerdote Caifa, di suo suocero Hanna, dei falsi testimoni Gesù, dal canto suo taceva. Al rumore della violenza dei soldati che lo schiaffeggiavano, gli sputavano addosso, lo flagellavano, gli gridavano derisioni ed offese, Gesù taceva. Il suo sguardo di Dio fatto uomo, di uomo sacrificato, di uomo di benevolenza e di pace si posava con tenerezza, pace, dolcezza, perdono su chi gli faceva del male. Fermiamoci in silenzio a contemplare questo sguardo. Guardiamo e tacciamo. Questa notte c’è stato un terremoto terribile in Abruzzo e subito sono partite le parole. Inutili e vuote. Orribilmente scontate dei giornalisti, dei politici, di tutti i mestieranti del dolore. Finte compassioni. False condoglianze. Non vere promesse. Perché non rimanere in silenzio, guardare e darsi da fare senza parole? Perché non provare una vera compassione, che vuol dire”soffrire insieme”. Il silenzio non è non avere niente da dire ma lasciare che sia la vita, il cuore, l’anima a parlare. Silenzio vero ed umano, divino come quello di Gesù, non è non avere niente da dire, ma lasciare che parli la nostra vita, il nostro essere. Un proverbio dice “si nasce soli, si soffre soli, si muore soli”. Un aspetto del silenzio è la solitudine. Gesù che è stato circondato dalle folle per tutta la sua vita pubblica, cinquemila persone alle quali ha dato da mangiare pane e pesci, dodici apostoli, che lo seguivano, le pie donne che lo servivano. Tutta la gente che ha visto i suoi miracoli ed ascoltato i suoi insegnamenti. Di tutta questa gente alcune persone si sono trasformate in nemici che volevano la sua morte ed altri, i suoi più intimi, sono fuggiti lasciandolo solo. Lo stesso Pietro giura e spergiura di non conoscerlo. Hanno paura di subire la stessa sorte. Di essere anche essi crocifissi se riconosciuti suoi seguaci. Bestemmiatori come lui. Condannati a morte e crocifissi senza pietà, senza dignità, nudi davanti agli occhi di chi passa, di chi guarda con curiosità morbosa. Gesù soffre e muore solo. C’è la sua mamma, c’è Giovanni, la Maddalena, le altre Marie eppure lui grida la sua solitudine: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Già all’inizio di questa notte di Passione, nell’orto del Getsemani, i suoi discepoli si addormentano. Si sente solo ed abbandonato. Eppure accetta questa solitudine. Il silenzio cosmico. Addirittura il silenzio di Dio Padre al quale si rivolge (“Tu puoi allontanare da me questo calice”). Il “silentium Dei”. Dio che non viene in aiuto alla nostra morte ed al nostro dolore. O forse Dio che è presente in un modo diverso da quello che ci aspettiamo. Dio che è presente ma solo nel silenzio lo possiamo sentire. Nella nudità, nella solitudine, nella morte. Pietro dopo averlo rinnegato tre volte “pianse amaramente”. Il peccato, il tradimento lo hanno reso capace di lasciarsi penetrare, occupare nell’intimo dal vero Gesù, dal volto misericordioso, pieno di tenerezza e di perdono del Signore. Solo nel silenzio che lo contempla potremo vivere l’incontro con Gesù. Parteciperemo a processioni, sacre rappresentazioni, riti rumorosi, tradizionali, spesse volte organizzati dalla pro-loco ma vi chiedo di trovare il tempo per fermarvi, prendere in mano un crocifisso e contemplarlo. Imparare da Cristo che soffre e muore come si vive. Altrimenti il nostro sarà un cristianesimo senza Cristo. Non nel senso del consumismo del Natale, ma proprio dell’esistenza, della vita, del nostro dirci cristiani senza lasciare a Gesù uno spazio nel nostro modo di vivere e di essere. Il silenzio diventi in questa settimana santa del 2009 anche qualche momento di solitudine nel quale essere soli con se stessi e con Cristo. La seconda parola, il secondo spunto della riflessione, è la frase che il Centurione romano, un pagano, uno che non conosceva Gesù (né un ebreo e neppure uno dei discepoli) dice secondo l’evangelista Marco: “Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse:’Veramente questo uomo era Figlio di Dio’”. Penso spesso alla scena che si presentava a coloro che passavano, quel venerdì, davanti al Calvario, davanti alle tre croci. I delinquenti venivano infatti crocifissi in un posto dove potevano essere visti da molti perché la loro punizione fosse di monito agli altri perché non facessero le stesse cose. Passavano quel venerdì per entrare nella città di Gerusalemme, tanti perché era la vigilia di una festa importante, di quelle nelle quali i pii israeliti dovevano recarsi al Tempio. Passavano e vedevano tre uomini crocifissi. Uno di questi tre è Dio fatto uomo. E’ l’unica salvezza, l’unica risurrezione, l’unico perdono, l’unica vita vera. Cosa lo differenziava dagli altri due? Niente, assolutamente niente. Dio che si fa uomo, in tutto simile all’uomo, a me, si rivela come vero ed unico Dio, per come muore. Dio mi incontra sulla croce ed io posso incontrare Dio solo sulla croce. La croce di ogni uomo. Solo se divento capace di amare ogni uomo, di rispettarlo, di aiutarlo, addirittura di adorarlo divento capace trovare Dio, di amarlo, di pregarlo, di adorarlo. Inchinarsi davanti all’umanità sofferente. Cristo non è nella statua che portiamo in processione. Cristo non è nel crocifisso artistico di molte delle nostre chiese ma è in ogni uomo. Sono frasi, parole, concetti ripetuti tante, infinite, volte da me ma anche da tanti in questi duemila anni, eppure non hanno scalfito né la vita né il modo di pensare e di agire neppure di molti di coloro che si professano cristiani. Il silenzio, la solitudine, l’adorazione di Gesù contemplato anche nel volto del fratello che soffre (in questi giorni di coloro che vivono il dramma del terremoto) è la preghiera. Pregare non sono le parole che diciamo (che spesso sono il rumore che facciamo davanti a Dio) ma pregare è stare con Dio ogni istante della vita. Avere sempre presente il Signore, non come una idea lontana, astratta, ma come la presenza dell’amico dentro la mia vita. Il vangelo di domenica iniziava con il gesto della prostituta, in casa di Simone, che profuma con un profumo costosissimo Gesù. Un inutile spreco secondo alcuni dei presenti. Proprio come è inutile, per molti, il tempo dedicato alla preghiera. Pregando lasciamo entrare Gesù nella realtà della nostra vita dapprima e poi nel mondo. Come il profumo che si espande. Prima nel mio cuore, nella mia cela interiore, e poi da me nel mondo che mi circonda.
Silenzio che diventa solitudine, silenzio che diventa contemplazione di Dio attraverso il volto e le situazioni dei fratelli, silenzio che è la mia preghiera. Silenzio davanti alla croce di Gesù. Silenzio con Gesù sulla mia croce. Silenzio come unica possibilità per sentire la sua voce che mi parla. Silenzio come unica possibilità, sabato, nella notte, di incontrare il Risorto.

1 commento:

Anonimo ha detto...

..." Silentium Dei"... E' importante che qualcuno ci ricordi e sottoponga alla nostra riflessione il Silenzio di Dio. Quel silenzio che, spesso, ci atterrisce e ci sembra privo di risposte.
Ma è l'invito di Dio a tacere e ad " ASCOLTARE ", invitandoci ad entrare in quel mistero come fece Giovanni, il giorno di Pasqua, che corse al sepolcro entrò e: " Vide e credette! "
Grazie per avermelo ricordato!
Rocco