venerdì 16 gennaio 2009

"Sfida al Cardinal Bagnasco" (di Maria Petti)

Bus ateo scossa ai credenti
(Di Franco Garelli, tratto da “La Stampa” di Mercoledì, 14 Gennaio 2009)


E ora, dopo i bus atei, ci saranno quelli della fede? La campagna pro-incredulità promossa a Genova, che dal 4 febbraio vedrà due linee di autobus tappezzate da scritte che «di Dio si può fare a meno», armerà i muscoli di quanti sono allergici agli slogan choc contro il sacro? L’iniziativa che non ha precedenti nel nostro Paese è dell’Unione degli atei e dei razionalisti italiani (Uaar), vogliosa di ristabilire la par condicio «comunicativa» sulle questioni religiose, spingendo i mass media a dar risalto non solo ai messaggi della Chiesa ma anche alle posizioni dei «senza religione».
Il vento dell’ateismo spira dunque ancor forte in Italia e attraverso questa iniziativa intende far breccia soprattutto nel capoluogo ligure da qualche tempo diventato il simbolo di una contesa.
La contesa tra la pretesa della Chiesa cattolica di rappresentare i sentimenti più autentici degli italiani e un’area laica che rivendica la propria esistenza e presenza nella società pluralistica. È fin troppo evidente che questa campagna sull’inesistenza di Dio è una specie di sfida atea in casa del cardinal Bagnasco, vescovo della città e presidente della Cei, reo d’essersi dimostrato poco tenero nei confronti di alcune minoranze culturali. In giugno la curia genovese ha fatto di tutto per ostacolare lo svolgimento del Gay Pride in quella città, fissato nello stesso giorno del Corpus Domini. Inoltre, il prelato ha più volte ribadito le posizioni della Chiesa sui temi cari ai cattolici (famiglia, vita, bioetica, eterosessualità, scienza), sminuendo - questa l’accusa - quanti hanno orientamenti diversi. La campagna pubblicitaria s’iscrive quindi nel clima ad alta tensione che da qualche tempo caratterizza i rapporti tra Chiesa e mondo laico, parte del quale reagisce con fastidio a una Chiesa sempre più protagonista nel campo culturale ed etico, e che continua a identificare l’Italia tout court con l’Italia cattolica. Come ci dice il mercato editoriale, oggi il libro di argomento religioso vende bene, ma a un doppio livello: non soltanto i testi di spiritualità o che parlano a favore della fede, ma anche i pamphlet che denunciano le ingenuità di una religione ancora arcaica e incantata e quelli che denunciano lo strapotere clericale nella società.
Genova e l’Italia, comunque, non detengono il primato della svolta antireligiosa e anticlericale. Da tempo iniziative analoghe sono presenti in alcune metropoli del mondo, tra cui Londra, Washington e varie città spagnole. Si tratta di rigurgiti o reazioni a gruppi religiosi che manifestano attivamente nella società pluralistica le proprie convinzioni, che si mobilitano contro il divorzio e l’aborto, portatori di quella cultura pro-life che tende a contrastare quella pro-choice. In Belgio, addirittura, gruppi di atei hanno da tempo costituito una sorta di associazione para-religiosa a difesa dei propri orientamenti e valori, rivendicando dallo Stato un finanziamento pubblico alla stessa stregua di quello accordato alle diverse confessioni religiose. Anche l’ateismo può essere un oggetto di propaganda, come le chiese promuovono i valori religiosi. Anche l’Italia, dunque, sembra partecipare di tendenze presenti in ogni dove.
A ben guardare, la pubblicità pro-ateismo può anche servire alla causa della fede religiosa. Nel senso che può scuotere dall’indifferenza molti credenti per caso o per tradizione, che si trascinano nel tempo un vago orientamento di fede senza un’adeguata riflessione e approfondimento. La promozione dell’incredulità può anche spingere qualcuno a uscire da uno stallo sulla questione religiosa che gli impedisce una più piena comprensione di sé e del mondo. Forse è anche guardando a questa opportunità che gli ambienti ecclesiali (sia genovesi che nazionali) non hanno troppo preso sul serio l’iniziativa, per cui non è detto che essa dia il via a una catena di reazioni, che, nel caso specifico, arricchirebbe le aziende di trasporto delle nostre città. I bus atei ci possono stare, rientrano nella provocazione creativa, se dietro essi non si nasconde una crociata di cattiverie contro la religione e la Chiesa.
Articoli come questi non mi fanno rabbia, dispiacere sì; ma è anche vero che la fede è un dono e che atei e credenti vedono l’uomo, la vita, il mondo, tutto ciò che ci circonda in maniera opposta. Peccato però che queste persone intelligenti e razionali, che hanno fatto della loro presunta intelligenza un dio, non sanno dare un significato alla gioia, alla vita (il massimo delle loro aspirazioni può essere “godiamocela finché possiamo!”, sì, va bene, ma poi?!), ma soprattutto al dolore, alla morte e, contraddizione delle contraddizioni, a se stesse.
Questi sono articoli che non mi fanno certo perdere la fede, e nemmeno ci riescono le “intellighenzie” che stanno dietro a queste iniziative, anzi… mi spingono ad aggrapparmi ad essa ancora di più e sperimento ancora più forte il dono che mi è stato fatto e a dare Dio e tutto ciò che lo riguarda meno scontato. Eh sì perché, a ben pensarci, e lo dico soprattutto a me stessa, l’abitudine per un credente è molto pericolosa: si rischia, senza accorgersene, di finire ad adorare un Dio di carta, mentre Dio si è fatto carne, altro che carta! Sono polemica? Ma se non lo si è per ciò che riguarda le cose di Dio, per chi o cosa lo si deve essere?! Ognuno è libero di scegliere ciò che vuole, però scusate, e lo dico spassionatamente, io ho scelto Dio al nulla.

Maria Petti

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao a tutti. Leggendo l'articolo di F. Garelli, mi viene in mente che, pur accettando che "i bus atei ci possono stare, rientrando nella provocazione creativa, se dietro di essi non si nasconde una crociata di cattiverie contro la religione", bisogna comunque riconoscere che queste provocazioni sono esse stesse delle risposte al perdurare della cristianizzazione mondiale nel ventunesimo secolo: il gay pride si svolge da quanto? Quanti anni? E' certamente una provocazione l'averla fissata proprio nel giorno del Corpus Domini; mi scusino coloro che "sentono" questa manifestazione della quale io so poco semplicemente perché non mi interessa. Io posso parlare della GMG dello scorso anno, della gioiosa compostezza di milioni di giovani, migliaia dei quali hanno attraversato i cinque continenti per arrivare puntuali all'appuntamento. Non c'è stato "orgoglio" da tirare fuori, non c'è stata la forzatura dell'urlare ai quattro venti ciò che si è. La sola presenza in quei luoghi ha parlato ancor prima del Santo Padre in ogni appuntamento con i giovani. Anche lo stesso pubblicizzare su un paio di autobus è una risposta, è la risposta a chi non sopporta il silenzio di una chiesa, il rindondare gioioso delle campane domenicali che suonano a festa. Dio ci chiama da dentro di noi, chi vuol farlo tacere soffoca una parte di sé ma non cancella il "fattore dono" che è la fede, non può farlo se non rinnegandola, ma ciò che fa lo fa per sé. Mi spiace per coloro che si lasceranno portare lontano da queste convinzioni per debolezza, mi fa un pò dispiacere dell'utilizzo di mezzi di comunicazione di massa per pubblicizzare l'andare contro a tutti i costi. Per quanto mi riguarda non ho intenzione di dare battaglia a nessuno, pur tuttavia, non ho altresì intenzione alcuna di permettere a nessuno di soffocare il richiamo di Dio in me e il mio diritto a dire come la penso. L'ultima cosa che posso permettere a chiunque è che mi facciano vergognare di ciò che sono, dunque, che urlino pure finché vogliono, io desidero la preghiera, desidero poter chiamare il Natale ancora Natale e non "festa dell'inverno"!
Una realtà, comunque, rimane: non ho bisogno di urlare ciò che sono, io so di esserlo, di essere cristiana senza dirlo e, situazioni come queste, piuttosto che farmi vergognare mi fanno ancor più ringraziare Dio per questa fede che non ha bisogno di urlare.