lunedì 5 settembre 2011

Com'è difficile perdonare... (di P. Valter Maria Arrigoni)

Pietro chiede a Gesù quante volte deve perdonare il fratello che lo offende. “Sette volte” è già, nella mentalità ebraica, un cifra che indica “sempre”. Il sette è infatti un numero perfetto, un numero che indica la totalità. Gesù gli risponde “non sette ma settanta volte sette”, come dire “sempre all’infinito”. Siamo nella aritmetica simbolica secondo la quale sette indica la totalità e settanta, cioè dieci volte sette, (anche il dieci è un numero perfetto, anzi divino, perché è dato da tre volte tre più uno). Per spiegare a Pietro, ed anche a noi che oggi leggiamo il suo Vangelo, cosa significa perdonare, racconta una parabola. Un re chiama i suoi debitori per saldare i conti. Se ne presenta uno che gli deve diecimila talenti. E’ una cifra esorbitante che corrisponde a circa dieci milioni di euro, corrisponde alla tassa che il regno di Erode doveva ogni anno all’imperatore. Il debitore non aveva di che saldare il suo debito ed implora una proroga. Il re commosso gli abbuona il debito e lo lascia libero di andare. Uscito dalla sala del trono questo servo incontra un altro servo che gli deve pochi denari,come a dire cento euro. Lo aggredisce e lo fa gettare in prigione. Gli altri servi, davanti a questo atteggiamento vanno dal re e gli riferiscono l’accaduto. Allora il re convoca il malvagio e lo fa gettare in carcere, gli toglie tutto, prende come schiavi la moglie e i figli di quest’uomo, perché a lui era stato cancellato un debito immenso, incommensurabile,lui era stato perdonato e non aveva saputo perdonare. La sua cattiveria, la sua avarizia, la sua grettezza non gli avevano saputo far cancellare un piccolo debito. E’ un episodio del Vangelo fatto di numeri simbolici ma soprattutto fatto di proporzioni smisurate. Il re è Dio contro il quale noi pecchiamo, ed ogni peccato come un debito che apriamo con Lui. Poiché la grandezza del reato dipende anche dall’importanza della vittima, qui si tratta di “lesa maestà”, la vittima è Dio stesso, il re, l’imperatore. Il debito viene descritto con una cifra pari a quanto il re deve al suo imperatore. Il servo è ogni essere umano che contrae con un altro uomo credito descritto con una cifra piccola. Non c’è confronto fra quello che dobbiamo a Dio e quanto ci dobbiamo fra di noi. “Con la misura con la quale perdonate sarà perdonato a voi” dice Gesù nel suo Vangelo. La misura del nostro perdona non deve dipendere dalla grandezza del nostro cuore o dalla orgogliosa presunzione con la quale guardiamo ogni cosa fatta a noi, ma dal perdono, e dalla misericordia, con il quale Dio ci giudica, ci ama, ci guarisce. Ancora una volta siamo chiamati a guardare più in alto dell’orizzonte della terra. Ancora una volta siamo chiamati a pensare come pensa Dio. Dio è amore. Anche noi siamo chiamati ad amare. La domanda di Pietro nasce dalla sua umanità, dal fatto che si vede spesso ferito dagli altri, dalle loro parole, dai loro gesti, dai loro atteggiamenti. Il perdono, diceva mons. Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, è disumano. La nostra umanità, la nostra carne, quello che nel Vangelo viene chiamato “il mondo” non è predisposto al perdono. Perdonare appartiene al cammino dell’ascesi, è frutto della conversione. Basta pensare la legge umana che si basa sulla legge del taglione, “occhio per occhio, dente per dente”. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. I sociologi spiegano che la legge del taglione è già i sego di una evoluzione della civiltà perché comunque pone un freno e non permette l’esagerazione nella reazione, nella vendetta. Quando Gesù risponde a Pietro che deve perdonare settanta volte sette, non intende che deve essere disposto a subire un’infinità di offese ma che il rancore, l’odio, il ricordo del torto subito, gli torneranno alla mante e nel cuore una infinità di volte ed ogni volta deve stendere il mantello del perdono e della misericordia sulla persona che gli ha fatto del male. I perdono del quale siamo capaci noi uomini infatti non dimentica il torto subito. Ogni persona consiste nella sua memoria. Io sono i miei ricordi. Mi è impossibile dimenticare. Il dolore, il male che ho dentro non posso eliminarli, non posso scordarli. Solo il perdono di Dio, ci insegna Gesù Cristo, è capace di dimenticare e quindi di darci la possibilità di una vita nuova, di un altro inizio. Medito da tempo su questa parabola e mi ritrovo però una domanda dentro: quante volte io stesso ho seminato la zizzania del dolore, dell’odio, del desiderio di vendetta nel cuore degli altri? Io stesso mi sento vittima della cattiveria di qualcuno, della sua acida disumanità. Certe volte invece di sentirmi peccatore perché incapace di perdono mi sento vittima di chi mi ha provocato, di chi ha generato nella mia anima del male. “Stavo tanto bene… perché sei venuto a farmi soffrire?” anche questo anno il mio ritorno a Foggia è stato segnato da un furto. L’anno scorso mi è stata rubata l’auto e questo anno ho trovato la casa svaligiata. L’anno prossimo mi devo forse aspettare di essere ucciso? Sinceramente faccio fatica a perdonare. Mi sento indifeso, insicuro anche dentro casa. Guardo le persone con sospetto. Certo che non hanno preso quasi niente perché non c’era niente da prendere ma hanno lasciato nel cuore del male, dell’odio, della maledizione. Sono lontano dal saper perdonare settanta volte sette. Sono lontano dall’iniziare un cammino di conversione. Ancora una volta devo confessare che la mia legge non è quella dell’amore che Gesù mi insegna, mi testimonia. Amo perché sono amato.


Arrigoni Valter

Monaco diocesano


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