martedì 7 ottobre 2008

21 - Il valore della sofferenza - "la sapienza del cuore" (di Padre Fabrizio Carli)


Farci carico dei nostri fratelli che soffrono significa partecipare interiormente alla prova a cui sono chiamati e pregare perché il Signore dia loro quell'aiuto e quel conforto che solo lui può dare, illuminandoli sul valore redentivo della sofferenza umana congiunta a quella di Cristo, e dando loro la forza di accettare questa misteriosa chiamata a condividerne la passione e la morte per la vita degli uomini.
Quando il cuore ha imparato a pregare così per tutti coloro che soffrono, ci si accorge che da questa partecipazione alla sofferenza altrui, viene una particolare luce per la vita: si vede cioè tutto sotto un aspetto più serio, più vero, più degno dell'uomo; si guarisce dalla superficialità e dalla leggerezza, ci si stacca man mano da tante cose vane a cui facilmente l'animo umano si aggrappa, e ci si sente come ingranditi moralmente e spiritualmente, perché più vicini al mistero della sofferenza nel disegno provvidenziale di Dio.
E pregando per coloro che soffrono , si fa nell'animo altra luce: si vede, cioè, la sofferenza stessa come una realtà che tocca tutti gli uomini, e tocca l'uomo singolo nelle sue profondità più intime; in tal modo l'animo e il cuore si dispongono ad accettare a loro volta la sofferenza, qualunque essa possa essere, quando il Signore chiama a questa prova, che è sempre segno di predilezione e di amore, perché occasione di un bene più grande per chi vi è chiamato e per tutti gli uomini. E si può giungere – con la grazia del Signore – all'accettazione addirittura gioiosa della sofferenza, sia perché così condividiamo la chiamata di tanti e tanti nostri fratelli , sia perché nella sofferenza noi siamo più simili al Cristo che soffre per redimere e salvare. Inoltre, pregando per coloro che soffrono si vive la sofferenza come una realtà quotidiana, la si comprende sempre di più; e questo ci porta anche a parlarne con il vero senso della fede, e a saper trovare parole di conforto e di aiuto a chi soffre. Si pensa, si solito, che sia difficile confortare i sofferenti, perché si crede che le parole siano inutili e che si debba dimostrare la partecipazione in altro modo.
Noi invece riteniamo che la parola illuminata dalla fede, detta dal cuore è accompagnata dalla preghiera, trova sempre la via del cuore e vi apporta luce. Anche se questo risultato quasi sempre ci sfugge, bisogna avere fiducia nella forza dell'amore di cui la parola è animata, perché questo amore non viene soltanto dal cuore dell'uomo, ma è l'amore stesso con cui Dio ama in noi e che vuole da noi effuso nel nostro prossimo. E l'amore opera sempre nell'anima in cui viene effuso.
Per questo, anche di fronte alla sofferenza più straziante, non si deve esitare a dire tutto ciò che la fede suggerisce, se appena si può pensare che le persone a cui ci rivolgiamo sono in condizione di poter accogliere la nostra parola di fede. La fede apporta sempre luce, e questa luce , anche se non rischiara subito, permane nell'anima e le permette, nel momento voluto dal Signore, di comprendere. Una sofferenza illuminata non cessa di essere sofferenza, ma non è più un soffrire al buio, un soffrire cieco: capire la sofferenza, vederla nella sua giusta luce, è di aiuto immenso. Ad esempio, anche nel caso di una morte improvvisa o che avviene in circostanze particolarmente dolorose e sconvolgenti, quando si fa più angoscioso il perché che non trova risposta, si può dare luce a chi soffre se sappiamo dire, con convinzione e amore, che il Signore sa quando è il momento giusto per chiamare a sé un'anima, poiché, egli solo sa qual è il vero bene per ciascuno di noi, in vita e in morte.
Non solo, ma il Signore sa anche quali sono le circostanze che più giovano al bene dell'anima nel momento in cui viene chiamata. E' difficile alla nostra limitata ragione capire una simile verità forse è difficile al cuore, soprattutto, accettarla. Come si può pensare, infatti, che un incidente stradale sia il modo migliore per concludere sulla terra una vita; o lo sia una dose eccessiva di droga, o il suicidio, o la violenza dell'uomo che si scatena su di un altro uomo?
Eppure, alla luce della fede la risposta è proprio che se Dio dispone o permette, quello è certamente il modo più confacente al bene dell'anima che viene chiamata. Dio è infinita sapienza, infinita potenza, infinita bontà: ama ciascuno di noi di amore infinito e vuole perciò il nostro vero bene. Come potrebbe quindi non volere questo bene proprio nel momento in cui l'uomo ne ha maggiormente bisogno, e cioè nel momento della morte?

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