martedì 13 gennaio 2009

CHE COSA CERCATE? (di Padre Valter Arrigoni)

Comincia con questa domenica il tempo ordinario. Dovremmo esserci riempiti di stupore, di meraviglia, di pace, di gioia, di serenità in questi giorni dedicati al mistero del Dio fattosi uomo. Dovremmo avere lasciato spazio a Gesù nella nostra vita e nel nostro cuore per riempire di Lui gli spazi di desiderio. Aver trovato in Cristo le risposte alle nostre domande. Dovremmo riprendere la quotidianità del lavoro, dei rapporti nella famiglia, nei luoghi dove lavoriamo o studiamo, fino a dove facciamo la spesa. Dovremmo aver cambiato il nostro modo di stare in ascensore con i nostri vicini di casa. Dovrebbe trasparire anche dal nostro volto la gioia di chi ha incontrato Dio, sua Madre, san Giuseppe, gli angeli. Le nostre strade dovrebbero essere piene di Re Magi, di pastori che ritornano dalla mangiatoia e dalla casa dove abbiamo, come loro, visto con i nostri occhi e toccato con le nostre mani il Verbo di Dio fatto uomo. Se non è così allora significa che anche questo tempo di Natale è passato inutilmente. Gesù è passato, ha bussato ma noi non gli abbiamo aperto. Forse non lo abbiamo sentito perché assordati dai rumori delle nostre case dove si brindava al nuovo anno ed ancor prima delle mense di Natale. Non lo abbiamo visto troppo presi dal guardare i regali ricevuti, dall’aprire i pacchetti colorati dove era riposta la nostra gioiosa speranza di ricevere ciò che si voleva. I nostri bambini erano distratti dai doni per poter vedere e capire il Dono di Dio. Un po’ come nelle prime comunioni dove a Gesù che si riceve nel cuore viene anteposto tutto il resto dalla festa, al pranzo, ai regali, al ricordino. Forse ancora una volta tutti i buoni propositi, le intenzioni di un Natale essenziale, quasi povero, centrato sul Signore hanno lasciato il posto alle cose del mondo. Ancora una volta Dio ha trovato il nostro cuore preoccupato, già occupato, occupato prima, per cui per Lui non c’era posto. E Dio è passato oltre. Riprendiamo la nostra vita di tutti i giorni così come eravamo prima. Ci riprende la frenesia, la corsa, il tempo che fugge. Mi viene in mente il Mosè di Michelangelo con quei due “corni” sulla fronte che stanno a significare la luce, i raggi di luce, che uscivano dal suo volto dopo che aveva parlato con JHWH. Ritornava fra la sua gente così trasfigurato, così luminoso che gli ebrei non potevano guardarlo. Rimanevano abbagliati ed allora lui era costretto a velarsi il volto. San Paolo ci dice che noi invece possiamo guardare Dio faccia a faccia perché Dio si è fatto uomo, uno di noi, in Gesù Cristo. Le vie della nostra città, le case, le scuole, gli uffici, i negozi dovrebbero essere pieni della luce dei nostri volti che hanno contemplato, visto il Mistero. Ci siamo riempiti di Lui. Gesù ha vinto le nostre tenebre, ha portato la sua luce negli angoli bui della nostra esistenza. Ed invece siamo qui con Giovanni, l’apostolo ed evangelista, con Andrea,il fratello di Pietro a seguire Gesù ancora pieni di domande. Il loro maestro, la guida alla quale si sono affidati nel cammino della ricerca della verità, della gioia, del senso dell’esistere, Giovanni il Battista ha detto loro: ”Ecco l’agnello di Dio”. Ed i due discepoli sentendolo parlare così lo seguirono. Il racconto del primo incontro con Gesù dal Vangelo di Giovanni è pieno di verbi, di azione. La vita di fede, la vita stessa non è un pigro restare fermi ma un muoversi, un andare. Alzarsi e seguire. Tutto è iniziato dall’uscire di casa perché qualcosa dentro era infelice, vuoto. Perché qualcosa dentro era una domanda senza risposta. La famiglia, il lavoro. Moglie e figli. La pesca. La società con il padre ed il fratello. I garzoni. Tutto questo lasciava uno spazio vuoto e questo spazio vuoto gridava la sua domanda. Era come se non bastasse la vita. Tutti gli altri uomini. Le altre persone si accontentavano e quasi non capivano questo bisogno di un di più. Chissà quante volte Giovanni ed Andrea, e poi gli altri che seguirono il Maestro, si sono sentiti ripetere:”che cosa ti manca? Hai tutto!”. Come spiegarlo? Ancora oggi ogni volta che uno compie un gesto di libertà, fa una scelta coraggiosa, lascia tutto per mettersi alla sequela del Maestro non viene capito. Se poi la scelta è quella della vita eremitica o contemplativa è ancora peggio. Questo mondo, e forse anche molti uomini di chiesa, arrivano a comprendere chi parte per le missioni, chi aiuta gli altri, chi agisce per coloro che hanno bisogno. Chi invece si mette, con Maria, ai piedi del Maestro, lo ascolta, pende dalle sue labbra, impara a memoria la sua Parola, cerca di capire sempre di più quello che ha detto e fatto, viene tacciato di essere inutile. La clausura e l’eremo sono capiti da pochi! Giovanni ed Andrea lasciarono la casa e si misero alla sequela del Battista. Si fidarono e si affidarono a lui. Imparavano da lui. Per questo quando il loro maestro fissò lo sguardo su Gesù che passava e disse “ecco l’agnello di Dio” lasciarono anche il Battista e seguirono Gesù. E’ il compito della guida spirituale. E’ il compito dell’amico e del genitore. E’ il compito di chi insegna. Il compito di scomparire davanti alla Verità, a Bene alla Bellezza. Portare chi si affida a noi nella ricerca a riconoscere ciò che cerca e chi si cerca. Giovanni il Battista scompare. Rimangono i suoi discepoli ed il Maestro vero, buono e bello. Lo seguirono, egli si girò, chiese loro: “che cosa cercate?”. E loro rispondono: “Rabbi (che vuol dire maestro” dove abiti”. La ricerca della felicità passa da un “che cosa” ad un “chi”. Possiamo ridire la risposta dei discepoli: “non cerchiamo qualche cosa, siamo sazi delle cose, non ci riempiono, non ci danno niente le cose. Vogliamo Te. Colui che ci ha guidati fino ad ora, colui al quale ci siamo affidati e fidati ci ha detto di seguire te. Tu sei l’agnello di Dio. La vittima per i nostri peccati, per le vite sbagliate. Tu sei venuto da Dio ed a Lui ci riporti. Vogliamo restare con te. In greco “mainein” che significa vogliamo trovare in te la nostra consistenza. Come la casa sulla roccia della parabola che percossa dal vento, dalla tempesta, dallo straripare dei fiumi “mainei”, resta salda, consiste. L’avvenimento è così importante che Giovanni, il quale secondo la tradizione scrive il suo Vangelo quando è già vecchio, circa a novanta anni, nell’isola di Patmos, dove era al confino, si ricorda l’ora. “Erano le quattro del pomeriggio”. La sua domanda per la vita ha trovato la risposta. E la risposta non è un discorso, una idea ma una persona. Giovanni ama questa persona. Questa persona ama Giovanni. Giovanni è il discepolo prediletto, colui che Gesù amava. Giovanni diventa il teologo, colui che conosce Dio, l’esperto di Dio, colui che ne fa una esperienza così profonda e radicale (nel senso che tocca la radice del suo essere) da scrivere il Vangelo teologico, spirituale, per eccellenza. Il simbolo di Giovanni è l’aquila perché secondo il bestiario antico è l’animale che può fissare lo sguardo nel sole senza rimanerne accecato. Torniamo al sole, alla luce, al guardare e contemplare Dio, il suo Verbo fatto uomo. Mosè e Giovanni. Fissano lo sguardo sul Dio, sul mistero. Lo stesso Giovanni finisce il suo racconto della crocifissione citando il profeta Zaccaria: “Volgeranno lo sguardo su colui che hanno trafitto”. Il racconto della vocazione dei primi due discepoli, Giovanni ed Andrea, è un rincorrersi di occhiate, di sguardi. E’ un guardare dentro cercando la verità di chi ti sta di fronte. E’ un guardare che è anche un ascoltare. Il Battista vede Gesù che passa e lo indica ai suoi discepoli. Giovanni ed Andrea guardano, vedono e seguono. Gesù si volge, li vede e pone loro la domanda esistenziale. Ma accanto al guardare c’è un muoversi, un movimento. Uscire di casa, seguire il Precursore, seguire Gesù, restare con Gesù, tornare a casa, mettersi alla sequela del Cristo, andare, dopo la sua morte e risurrezione a testimoniare colui che si è incontrato. Arrivare a morire martiri (per Andrea e per molti degli apostoli) per quell’uomo sul quale alle quattro di quel pomeriggio si è fissato il loro sguardo.

Arrigoni Valter

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