sabato 26 luglio 2008

11 - L'amore dei nemici - "La sapienza del cuore" (di Padre Fabrizio CARLI)

Gesù - come abbiamo visto - è stato molto esplicito nel dirci di non escludere nessuno dal nostro amore; egli ci comanda infatti di amare persino i nostri nemici: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano” (Lc 6,27-28). Certo, l’istinto non ci porta ad amare i nemici, a fare del bene a chi ci odia. Eppure il Signore ce lo comanda! E può infatti comandarlo, dopo aver posto nell’uomo un cuore nuovo, un cuore cioè in cui si è effuso lo stesso definito amore di Dio per amare in noi senza limiti.Ma non potremo amare i nemici se non saremo veramente capaci di muovere il cuore all’amore, perché anche con il cuore nuovo rimane in noi l’istinto che si ribella o per lo meno non tende ad amare chi ci fa del male. È pure vero che l’amore di Dio lavora in noi con forza e soavità per aiutarci a superare le resistenze dell’istinto, ma vuole la nostra cooperazione, la nostra volontà di bene: pure amando in noi, il Signore vuole che anche noi amiamo in lui e con lui. Quello che ci viene comandato nei confronti dei nostri nemici è prima di tutto quell’apprezzamento, quella valutazione, quel modo di vederli e di considerarli, per cui poco alla volta nasce in noi la convinzione che li dobbiamo amare. E questo - ripetiamo – dipende dall’intelligenza che deve vedere e comprendere tutte le ragioni che ci persuadono a questo amore.Certo, come si è detto, le ragioni o motivi rimangono nell’ordine razionale: li possiamo cioè comprendere, ma contro di essi si oppone la resistenza dell’istinto radicato nella nostra parte sensitiva e reattiva. Deve allora intervenire la volontà illuminata dai motivi e dalle ragioni che ci persuadono di dover amare anche in questo caso. Ma la volontà potrà muoversi nella misura in cui noi saremo persuasi di dover amare. Possiamo citare a conferma queste parole di Giovanni Paolo II: “Il prossimo è ogni uomo senza eccezione; perciò Cristo parla anche dell’amore dei nemici(…)”.A questo punto nasce la domanda: come è possibile che l’uomo ami quando si sente odiato, e per di più quando egli stesso sente di avere in sé, odio o almeno malanimo, diciamo antipatia, nei confronti di alcune persone? “effettivamente, dal punto di vista dei nostri sentimenti vi è qui una difficoltà, anzi una “contraddizione”: quando “sento” avversione od odio, come posso contemporaneamente “sentire” amore? Tuttavia l’amore non si riduce soltanto a ciò che sentiamo. Esso ha nell’uomo anche radici più profonde, che si trovano nel suo “io” spirituale, nel suo intelletto e nella sua volontà. Volendo assolvere il comandamento dell’amore (in particolare quando si tratta dell’amore dei nemici), noi dobbiamo risalire proprio a quelle radici profonde” (Oss. Rom. 25 febbraio 1981).È sempre quel lavorio interiore che abbiamo già indicato; quel lavorio che ci porta a vedere in altra luce anche i nostri nemici e ce li rende amabili. Se poi tenessimo presente che anche noi manchiamo tanto verso il prossimo e a nostra volta abbiamo bisogno di indulgenza e di perdono; se giungessimo davvero a vedere i nostri nemici come nostri fratelli anche se ci hanno fatto del male; se addirittura li considerassimo come fratelli ancora più bisognosi di compatimento e di amore proprio perché moralmente mancanti, e se soprattutto vedessimo in loro il Signore che ci viene incontro per darci l’occasione di quel grande atto di amore che è il perdono; tutto questo ci aiuterebbe a vedere i nostri nemici in una luce per cui possibile - con la grazia di Dio – giungere a voler loro bene.Il Signore infatti non vuole soltanto che si “perdoni” ai nostri nemici:vuole che si amino. E amare - abbiamo visto – significa voler bene. Di fronte a questo comandamento così esigente, dobbiamo rivedere anche quell’eventuale nostro atteggiamento con cui pensiamo di essere a posto quando giungiamo a perdonare ma non a dimenticare. È già molto, certamente, il perdonare; ma il Signore vuole da noi ancora di più: vuole che amiamo. E l’amore non tiene conto del male che gli altri ci fanno, non ricorda: l’amore ama e basta. È il caso di riflettere, a questo punto, in modo particolare, come siamo tenuti ad amare anche i nostri fratelli violenti.Tutti siamo consapevoli che la nostra società è sconvolta dalla violenza nelle sue mille forme, apparenti e non apparenti. Eppure è raro sentire una voce che inviti al compatimento, al perdono, all’amore.La ragione è che noi siamo diventati violenti, nei giudizi, negli apprezzamenti e nelle valutazioni. Certo, chi è convinto che alla violenza bisogna rispondere con la violenza, o che ai colpevoli si deve irrogare la pena di morte, si comporta, anche senza esserne cosciente, da violento: in conseguenza di queste sue convinzioni, si ingenera in lui tutto un atteggiamento di aggressività che, già presente nel modo di giudicare e di pensare, si manifesta poi fatalmente anche nel parlare e nell’agire.È il cambiamento di mentalità che si richiede, prima di tutto, per far cessare la violenza almeno in noi; dobbiamo pensare in termini di compatimento, di perdono, di amore; dobbiamo, qui più che mai, saper vedere tutti i motivi che ci possono indurre ad amare anche i nostri fratelli violenti. È difficile, certamente, anche perché, si può confondere la giustizia con la vendetta. Volendo giustizia, sconfiniamo senza accorgercene nella vendetta.Ma come si può voler bene ai violenti? Nello stesso modi in cui si può voler bene ai nostri nemici: e cioè giungendo a vedere anche i violenti in una luce che ce li rende amabili, rivestendoli di tutti quei motivi che ci sono per amare anch’essi, anzi, per amare essi soprattutto, proprio perché, sono figli profughi della nostra epoca consumistica e permissiva.

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