sabato 19 luglio 2008

9 - Voler bene - "La sapienza del cuore" - (di Padre Fabrizio CARLI)


Si può sintetizzare quanto siamo venuti finora dicendo, nell’espressione voler bene, per indicare in che cosa deve consistere l’amore verso il prossimo che deve precedere ed animare qualunque opera esteriore che compiamo in suo favore. Il voler bene comporta qualcosa che l’anima può sempre dare, può sempre alimentare, può sempre crescere; qualcosa che dipende unicamente da lei. E quindi, proprio per questo, può essere comandato. Dal fatto, però, che può essere comandato, non consegue che il voler bene sia qualcosa di imposto, privo di calore. Se ci appelliamo al cuore, e cioè alla fonte di tutta la nostra affettività, ci accorgiamo che esso, proprio nel voler bene, trova un contenuto così profondo e umano, così personale e rassicurante, da rimanere pienamente appagato. E ciò che appaga il cuore, non può essere qualcosa di freddo. Nel testo latino del nuovo Testamento, quando si parla dell’amore del prossimo, viene usata di preferenza la parola “dirigere”. Nella lingua latina vi è anche la parola amare; ma fra l’una e l’altra vi è una profonda differenza. L’amare indica l’amore istintivo, il moto spontaneo del cuore e l’animo, che nasce dal sentirsi attratti verso qualcuno e può portare anche verso ciò che non è onesto; “dirigere”, invece, formato dal prefisso de e dal verbo legere, significa vedere e cogliere tutti i motivi e le ragioni che vi sono per amare; denota, cioè, un amore che è frutto di apprezzamento di intelligenza e di volontà.Quando diciamo “voler bene”, viene spontaneo riferirsi alla “volontà” che deve muoversi al bene, all’amore, che deve cioè portarci ad amare; ma sappiamo che la volontà si muove soltanto verso ciò che conosce, ossia verso ciò che l’intelligenza le fa vedere: non si può infatti volere ciò che non si sa, non si conosce. Nel voler bene, quindi, entra prima di tutto l’intelligenza che fa vedere alla volontà ciò che essa deve amare. Ma l’uomo non è soltanto intelligenza e volontà: è anche sentimento, è anche “cuore”. Ora, quando la volontà si muove verso il bene visto alla luce dell’intelligenza, per il nesso vitale e dinamico che vi è fra tutte le potenze e le energie umane, essa muove anche la parte sensitiva e affettiva dell’uomo, ossia il “cuore”, con quegli affetti e sentimenti che solo esso può nutrire. È tutta la realtà dell’uomo, quindi, che si esprime nel voler bene. Quando noi vogliamo davvero bene, tutto questo lo viviamo semplicemente, senza chiederci che parte vi abbia l’intelligenza o la volontà o il cuore; quello che importa, infatti, è volere effettivamente bene al nostro prossimo. Ma la riflessione che stiamo facendo può farci luce sulla capacità che noi abbiamo di muovere il cuore perché possa amare sempre più illuminatamente e quindi sempre più intensamente. La finissima disciplina interiore di cui si diceva all’inizio, deve consistere proprio nel coltivare il cuore in tutta la sua ricchezza e nell’illimitata sua capacità di bene e di amore. Solo così possiamo giungere ad amare come Gesù ci ha amati. Non si può infatti pensare che egli non ci abbia amato anche con tutta l’intensità del cuore umano, con tutto il suo calore e la sua tenerezza: sarebbe ignorare le più belle pagine del vangelo, e soprattutto sarebbe togliere qualcosa all’integrità della sua natura umana. Quando perciò egli dice ai suoi discepoli di amarsi come egli li ha amati, indubbiamente vuole che in quell’amore ci sia anche tutto il cuore dell’uomo.

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