martedì 15 luglio 2008

7 - L'amore del prossimo - "La sapienza del cuore" - (a cura di Padre Fabrizio CARLI)


Col cuore nuovo, in cui è stato effuso l’infinito amore di Dio, l’uomo può vivere in modo “nuovo” il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Nelle pagine che seguono rifletteremo soltanto sull’amore del prossimo, avendo in animo – e preghiamo vivamente che il Signore ce lo conceda – di parlare dell’amore di Dio in una trattazione a parte.
Del resto, l’amore del prossimo “praticamente” è via all’amore di Dio. “Chi non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede”, dice san Giovanni (GV 4, 20), con profondo intuito della nostra realtà umana che è più portata verso quanto parla ai sensi. Lo stesso apostolo inoltre attribuisce un’efficacia tutta speciale all’amore del prossimo, quella cioè di portare luce all’anima: “Chi ama il proprio fratello sta nella luce”, dice infatti; e di conseguenza, per contrapposto: “Chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va” (Gv 2, 10).
Se poi pensiamo che Gesù ha detto: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà luce di vita” (Gv 8, 12), ci possiamo convincere che l’amore del prossimo, facendoci camminare nella luce, ci fa comprendere meglio Gesù Cristo, ci rende capaci di “vederlo”. E chi vede il Figlio, “vede anche il Padre” (Gv 14, 9). Sant’Agostino dice a questo riguardo: “ L’Amore di Dio è il primo che viene comandato, l’amore del prossimo è il primo che si deve praticare. Enunciando i due precetti dell’amore, il Signore non ti raccomanda prima l’amore del prossimo e poi l’amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo. Ma siccome dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il prossimo. Amando il prossimo rendi puro il tuo occhio per poter vedere Dio come chiaramente dice Giovanni: “Se non ami il fratello che vedi, come potrai amre Dio che non vedi?”. Ti vien detto: ama Dio. Se tu mi dici: mostrami colui che devo amare, ti risponderò con Giovanni: “Nessuno ha mai veduto Dio”. Con ciò non devi assolutamente considerarti escluso dalla visione di Dio, perché l’evangelista afferma: “Dio è carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio”. Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l’amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Dio. Comincia dunque con l’amare il prossimo” (Opere, vol. XXIV, p 401).
La parola “prossimo” implica una relazione di vigilanza. Ora, tale vicinanza non si deve intendere unicamente in rapporto a noi, così da considerare “prossimo” soltanto chi ci è vicino. Nella restaurazione di valori operata da Gesù Cristo, nell’ordine dell’amore ridonato all’uomo, il termine di ogni riferimento è Dio. Il nostro prossimo quindi sono tutti coloro che sono prossimi a Dio, cioè tutte le creature, perché Dio ama tutti.
E’ naturale che nell’attuazione pratica il nostro amore non potrà giungere ugualmente a tutti. Ma i limiti all’estrinsecazione effettiva dell’amore, non saranno mai messi arbitrariamente da noi: risulteranno necessariamente dalle circostanze esteriori. Così le manifestazioni del nostro amore per chi sta lontano da noi, saranno diverse da quelle che rivolgiamo a chi ci sta accanto. Ed anche verso coloro che si sono più vicini l’amore dovrà sapersi donare secondo l’ordine del bene come la sapienza esige, effondendosi con generosità, con finezza e discrezione, a seconda delle condizioni di ciascuna persona.
Quello che importa qui rilevare, è che Gesù non mette alcun limite all’amore verso il prossimo. Il comandamento antico era di amare Dio con tutto se stesso e il prossimo come se stesso. Ma Gesù che è venuto a perfezionare la legge antica, dice: “Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv 15, 12). La misura dunque del nostro amore verso il prossimo deve essere l’amore stesso di Cristo verso di noi, e cioè un amore senza limiti, infinito.
Soltanto nella pienezza della legge dell’amore poteva essere dato un tale comandamento, perché, per adempierlo è stato creato nell’uomo un cuore “nuovo”. Per questo Gesù lo chiama il “suo” comandamento, e lo dice “nuovo”: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Ed è tanto suo comandamento, che soltanto nell’attuazione del medesimo egli stabilisce il segno distintivo dei veri suoi discepoli: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (GV 13, 35). Tanto è vero che nella descrizione del giudizio finale Cristo adduce come unico motivo per la condanna dei reprobi, proprio la loro mancanza di carità verso il prossimo: “Via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato; nudo e non mi avete vestito; malato e in carcere e non mi avete ospitato” (Mt 25, 41).
La gravità della mancanza di amore verso il prossimo è qui resa in tutta la sua evidenza da Gesù stesso che dichiara fatto a sé, quanto noi facciamo al prossimo. E ripete lo stesso in altri passi del Vangelo. Il cuore deve saper cogliere questa misteriosa comunione tra Cristo e gli uomini. Tale comunione esiste già nell’ordine naturale in quanto tutti gli uomini sono congiunti al Verbo mediante il lume dell’intelligenza che è il lume stesso della verità; ed essa diviene reale “incorporazione” dell’uomo a Cristo, Verbo incarnato, nell’ordine soprannaturale.
Quando dunque Gesù dichiara come fatto a sé, quanto noi facciamo al nostro prossimo, vuole insegnarci che non si tratta semplicemente di un’attribuzione in senso morale o religioso, e tantomeno di un modo di dire per esortarci ad amare il prossimo: si tratta di qualcosa di molto più profondo, che nel cristiano tocca la sua realtà stessa, fisica e spirituale. Il “cristiano”, infatti, è unito a Cristo in una congiunzione vitale che riguarda tutto l’essere dell’uomo. Il cuore, dunque, deve saper vedere Cristo in ogni uomo, e particolarmente nell’uomo sofferente, qualunque sia la sofferenza che lo affligge; ma deve vedere e sentire Cristo anche nell’uomo che non suscita immediatamente in noi alcuna compassione, per esempio l’uomo altezzosamente sicuro di sé, che si ritiene magari autosufficiente che è poi, anche questa, una forma di miseria morale.
L’importante per il cuore è ciascuna “persona” da amare: non l’atteggiamento o la condizione particolare di essa. Ma per amare ciascuna persona, il cuore deve essere prima colmo di bene da donare. Ora, la riflessione che andiamo facendo, può veramente disporre il cuore ad amare: se pensiamo e sentiamo davvero che in ogni uomo ci viene incontro Cristo stesso per essere amato da noi, ogni uomo si trasforma in noi in una creatura da amare senza limiti.

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