mercoledì 30 luglio 2008

La vera saggezza (di Padre Valter ARRIGONI)


Un giorno mentre Gesù camminava con i suoi discepoli si avvicinò a lui un giovane. Giovane perché vivo, desideroso di qualcosa di grande per la sua vita. Poteva anche avere novanta anni ma era giovane perché aveva una domanda, era alla ricerca. Essere giovani non è questione di età ma di apertura all’ignoto, di disponibilità al cambiamento. Uno può avere quindici anni ed essere già vecchio dentro. Si avvicinò dunque a Gesù e Gesù fissatolo lo amò. Lo prese nel suo cuore, aveva a cuore la sua esistenza, la sua vita, era pieno di affetto per lui. Leggeva nell’avvicinarsi di quel giovane una richiesta vera che nasceva dal più profondo dell’essere. Gli chiese che cosa volesse ed il giovane gli disse: “Maestro buono, cosa devo fare per essere felice?”. Lo chiama buono pur non conoscendolo se non per sentito dire ma gli era chiaro che Gesù aveva la risposta alle sua domande. Gli era chiaro che l’incontro con Gesù era l’unica, l’ultima possibilità data alla sua vita di uscire dalla banale quotidianità per entrare nell’eroico vivere che dà gusto. Gesù gli fa l’elenco dei comandamenti, la via fino ad allora seguita da tutti per accontentare Dio, per garantirsi un posto in cielo. Infatti il giovane, che nel vangelo rimane anonimo perché può essere ogni uomo, ciascuno di noi, dice a Gesù:”queste cose le ho sempre fatte, ho osservato la Legge, ma sono ancora infelice, mi rimane dentro una scontentezza”. Gesù allora lo guarda di nuovo, lo ama, vede dentro di lui e gli risponde:”Una cosa sola ti manca: vai vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri poi vieni e seguimi”. Una richiesta assurda! Tanto che il giovane, diventato all’improvviso vecchio, anzi morto, se ne va triste. L’evangelista aggiunge la causa di questa infelicità dicendo che era ricco, aveva molti beni. O forse molti beni avevano lui.
Da quando sono nell’eremo mi sento come Pietro nel momento che è passato fra la sua domanda a Gesù di farlo camminare, anche lui, sull’acqua e quando ha mosso i primi passi e la paura lo faceva annegare. Mi sembra di camminare su un precipizio non sul bordo dello strapiombo ma proprio sopra. Mi è chiesto di fidarmi ed io scopro di avere poca fede. Poca fiducia in Dio. io, monaco, forse eremita. Io uomo di Dio. eppure questo momento ha una fascino che nella mia vita c’è stato solo nell’adolescenza quando mi sono innamorato di Gesù e quando ho deciso di lasciare l’insegnamento, il posto e lo stipendio sicuro per andare dietro a Lui. Dopo tutto è diventato abitudine. La sicurezza era data dal ruolo di prete. Dagli amici che avevo. Se Gesù mi avesse chiesto di nuovo di lasciare tutto per lui avrei reagito come il giovane ricco. Fino ad adesso! Ora non più. Non ho più niente e nessuno che prende nel mia cuore e nella mia vita il posto di Gesù. Adesso sono di nuovo vivo. Pronto di nuovo a partire per una nuova tappa della vita. Un nuovo segmento dell’esistenza. Forse l’ultimo. Ma voglio che questo tempo che mi resta sia tutto di Dio. Mi piace la frase di san Paolo quando scrive “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”. Tutto questo non è eroico, non è santo, non è frutto di esaltazione ma dell’esperienza gioiosa, nel profondo senso della gioia, di Gesù riposto al centro della mia vita di uomo suo. Mi è capitato di dover giustificare questa mia scelta e dicevo che volevo rincentrare la mia vita in Gesù. Mi sentivo come tante tessere di un mosaico senza un disegno che desse loro un senso. Avendo tolto Gesù dal centro rimaneva un vuoto incolmabile che ho cercato di colmare trovando solo morte, disperazione. Chiedevo alle creature di prendere il posto del Creatore. Di amarmi, di farmi sentire amato. Folle! Infelice! Deluso sempre e da tutti! Ma adesso c’è un'altra ragione del mio essere qui, eremita, solo ed in silenzio. Circondato, sono le dieci di sera (di solito alle nove vado a dormire perché mi svegli di notte per pregare), dalle cicale, dal vento, dalle fronde che frusciano. Vicino all’eremo c’è un piccolissimo cimitero, lo apro tutte le mattine e lo vado a chiudere la sera. Mi fermo a parlare con gli amici che dormono (in greco cimitero significa dormitorio) sul senso della vita e su ciò che davvero conta. Adesso tutto mi è chiaro. La ragione adesso non è rincentrare ma la possibile gioia. La vera pace. Non di testa, non una idea, non un discorso, anche se fatto bene, sulla fede, la religione, la preghiera. Ma la gioia dentro. La pace finalmente.
Ed in questi giorni il Signore mi chiarisce quello che sto vivendo anche con la sua Parola come quella di oggi. Un cercatore di perle ed un contadino trovano l’uno una perla preziosa e l’altro un tesoro. Vanno, pieni di gioia, vendono tutto e comprano l’uno la perla e l’altro il campo dove c’è il tesoro. Non si può seguire Cristo se non si è mossi da questa gioia di aver trovato l’unica pace possibile, l’unica vita possibile, l’unico tesoro. Se pensiamo che questa sia una esagerazione. Se pensiamo che quando Gesù ci chiede di lasciare tutto e di seguirlo sia una pretesa assurda, un fondamentalismo, una fisima giovanile, allora non abbiamo incontrato Gesù. Possiamo andare a Messa, andare a Lourdes o a Medjugorie o dove appare la Madonna, ma non abbiamo incontrato Dio. quello che seguiamo siamo ancora noi, i nostri progetti, i bisogni, le voglie, le idee anche quelle religiose.
Quanti in questi tempi di vacanze non vanno mai a messa? Conosco persone che si dicono uomini di fede, che leggono ogni giorno il vangelo e che non hanno neppure dato ai figli una formazione cristiana. Dopo la prima comunione, forse fatta per ostentare la loro ricchezza scegliendo il ristorante chic, la bomboniera di lusso,non hanno più portato al catechismo i figli per la cresima e neppure a messa la domenica. Una domenica c’è la partita, l’altra il figlio non ha voglia, l’altra la mamma dormiva, l’altra c’era la festa degli amici. Quando guardo questi giovanotti mi sembrano delle belle bestie da esposizione. Vestiti firmati, possono perché sono ricchi, capelli col taglio all’ultima moda, scarpette giuste. Bestie da esposizione. E quando vedo le loro madri guardarli soddisfatte perché “acciaffano” vedo bestie da monta.
Cosa gli abbiamo trasmesso? Cosa gli abbiamo dato per affrontare la vita?
Io piango la sera. Sì piango. Non sui miei peccati, e ne ho tanti. Non sul male fatto contro Dio e contro me stesso ma sull’umanità. Sul dolore ed è tanto dell’umanità. Dei poveri, dei drogati, delle ragazze costrette a prostituirsi (e non solo sulle strade ma anche nelle case per bene per essere accettate nel “branco”), dei rom, degli extracomunitari, dei carcerati, dei miei figli, dei miei amici. Ma piango anche per tutti i ragazzi ai quali non ho dato la gioia in questi anni. Non ho testimoniato che incontrare Gesù e dargli tutto, e vivere per Lui, come Lui non è una cosa da bizzochi o da mezzi uomini ma da giovani vivi. Che amano la vita. Che vivono. Perché non riesco a chiamare vita il passare le serate a decidere cosa fare la notte. E poi la notte a fare i cretini bevendo, drogandosi, facendo del sesso.
Forse dovrei avere il coraggio di dire al Signore “prendi me, sono io il colpevole di tutto questo”. Sono colpevole perché non mi sono lasciato fare da Dio, non mi sono lasciato riempire di Lui. Ho avuto paura. Ci sono momenti anche adesso che mi viene paura. Lasciare le sicurezze di un ruolo, di persone che mi stimano, delle cose tante e belle di cui mi sono circondato.
Poter dire il Padre nostro e non sentirmi giudicato, non sentirmi un ipocrita che dice senza convinzione “sia fatta la Tua volontà … perdonami se io perdono … dammi il necessario di ogni giorno e non di più”. La richiesta del pane quotidiano infatti è la richiesta del necessario. Ma io stesso ad una certo punto non ho più saputo fermarmi al necessario non l’ho più neppure saputo definire.
Già cosa è necessario? Cosa è indispensabile? Cosa è utile? Cosa è superfluo? Cosa è inutile? Molti genitori lavorano per permettere ai figli l’inutile, il superfluo. Poi ci stupiamo perché vogliono sempre di più e non sanno dare niente. Poveri figli di questi genitori.
Io sono colpevole perché non ho mai detto queste cose neppure a chi mi era amico. Adesso non ho più nessun amico e sono libero di dirle. Chi mi vuole mi deve prendere così. Io non cedo più.
Forse non saprò raggiungere l’infinito ma comunque non mi tirerò mai più indietro. Ne va della mia gioia. E ci tengo.


Valter Arrigoni


1 commento:

Anonimo ha detto...

Stasera saluto con un abbraccio...
Trovare una perla rara; trovare un gioiello prezioso e nasconderlo in un campo... Caro P. Valter, io non ho avuto il piacere di conoscerti ma mi lancio comunque a darti del "tu". Lasciare tutto per vivere in Dio e per essere di Dio: per più di un anno, dopo aver iniziato il cammino di fede nel quale il Signore mi ha chiamata, mi sono chiesta in quale modo desiderasse che Lo servissi, pur sentendomi fortemente peccatrice, soprattutto non riuscendo a superare il blocco dovuto alla sensazione che il peccato allontanava il Signore da me e non che il peccato allontanasse me dal Signore... Tante volte mi sono sentita sola in mezzo a tante persone, certe volte staccata anche da me stessa, ma tra le prime cose che ho capito c'è che Dio mi voleva e mi sono riconosciuta nel Suo Amore. E' stato in quel momento che ho cominciato ad avvertire di tanto in tanto nostalgia dello stare davanti a Lui nel Santissimo Sacramento. Non passa comunque giorno che non mi sento con l'acqua alla gola, sentirmi afferrare dalla mano di Gesù che mi tira fuori dai flutti del mare. Mi sento strana, Lo riconosco perché qualcosa che fa parte di me, il mio spirito, si sente parte di Lui suo Creatore, ma non Lo conosco. Mi sono chiesta come lasciare tutto per seguirLo, se nella Sua volontà c'era il mio darmi completamente a Lui da consacrata. Ho pian piano scoperto che lasciare tutto non riguarda soltanto i beni materiali o gli affetti, che è comunque difficile gestire; pian piano sto cercando di lasciare le strade che non portano a nulla e le parole vuote, l'affezione verso i beni materiali e le paure legate all'incertezza materiale come la casa, che sto perdendo: la sto vendendo, pazienza, ma non sono senza un tetto sulla testa!
Da laica mi sono chiesta spesso quanta responsabilità ho verso le persone a me vicine nel trasmettere ciò che ho ricevuto e questo mi colpisce come un pugno allo stomaco soprattutto quando mi rendo conto che le mie intenzioni vengono travisate, allo stesso modo di quando mi rendo conto di sbagliare con le persone. Quanti dubbi, quanto timore di sbagliare e che i miei errori facciano danni agli altri. Allora mi dico: Brigida, non parlare, così sei certa di non sbagliare. Ma poi mi rendo conto che sarebbe come non respirare per paura di intossicarmi con lo smog.
Dal punto di vista umano il punto è uno, ossia che sono imperfetta e piena di difetti. Dal punto di vista spirituale il punto è un altro, cioè che Dio mi ha voluta così, che mi ha fatta così e che mi ama così come mi ha fatta. Questo non è poco ma perché non mi basta?
Nella Sua grandezza ringrazio il Signore, che mi dà la Parola e che mi affianca in qualche modo Suoi strumenti che alimentano il mio cammino verso di Lui. Grazie per le tue parole, P. Valter, grazie per la tua umiltà che in queste parole hanno alimentato la mia così carente...