lunedì 14 luglio 2008

2 - Le vicende del cuore - "La sapienza del cuore" (a cura di Padre Fabrizio CARLI)


Nel primo piano divino, il bisogno del cuore umano era appagato nel godimento del Bene assoluto, di tutto il Bene. L’uomo, infatti, nella perfetta integrità della sua natura appena uscita dalle mani del Creatore, viveva della pienezza di vita non soltanto naturale ma anche soprannaturale: viveva cioè della vita stessa di Dio, perché Dio gli si era comunicato.
Questa ineffabile comunicazione che Dio aveva fatto di sé all’uomo era la “grazia”, dono dell’infinita sapienza e dell’infinito amore, per cui Dio stesso si faceva compimento dell’uomo, dandosi da percepire al suo sentimento come Realtà infinita, illuminando la sua mente come Verità sussistente, colmando il suo cuore come infinito Amore. L’uomo, dunque, in virtù della grazia, era in totale “comunione” con Dio, e quindi anche nel gaudio di questa ineffabile comunione, che colmava tutto il suo essere: era il paradiso in terra. Quando la Bibbia parla del giardino di Eden, indica precisamente questa condizione di pienezza di vita, di bene e di felicità che Dio aveva voluto per l’uomo già sulla terra.
Ma in quella condizione l’uomo era stato posto per creazione, non per un suo atto di libera elezione. Perché vi fosse quindi confermato, egli doveva aderire “liberamente” a Dio che gli si era comunicato; e per questo doveva avere la possibilità di una scelta. Ora, la scelta non poteva essere che fra i due beni di cui egli aveva l’esperienza: il Bene infinito, Dio, ed il bene finito, cioè se stesso. Nella condizione in cui Dio l’aveva posto, egli era libero di scegliere tra questi due beni: di dare cioè la preferenza all’uno anziché all’altro.E’ vero che il bene finito non poteva di per sé, competere col Bene infinito, perché non vi è proporzione tra il finito e l’infinito; ma l’uomo ha purtroppo il potere di accrescere talmente nella sua stima il bene finito, da preferirlo a volte – illusoriamente – al Bene infinito.
Così fece, tragicamente, il primo uomo. La prova a cui egli era stato sottoposto, è espressa molto efficacemente dalla Bibbia con l’immagine dell’albero della conoscenza del bene e del male i cui frutti Adamo non doveva mangiare, pena la morte. Tale era il “comando” di Dio.Ma il demonio gli insinuò che mangiando il frutto proibito, anziché morire sarebbe invece divenuto “come Dio”.Ora, di Dio l’uomo aveva un’ineffabile esperienza, lo sentiva come Realtà infinita, come Vita infinita, come pienezza del bene e della felicità; e sentiva pure se stesso, il proprio essere, e questo sentimento era profondamente piacevole, era la vita stessa che in lui pulsava potente nell’integrità della sua natura originale. Divenire come Dio significava quindi per l’uomo magnificare all’infinito il suo essere, godere della propria vita all’infinito. Fintosi pertanto questo bene, che era un bene finito ma ammantato di infinito, l’uomo lo preferì a Dio stesso e lo scelse con un libero atto di volontà, aderendovi con tutto il cuore. Ma il cuore si era ingannato: ciò che aveva scelto era soltanto la “finzione”, mentre ciò a cui aveva rinunciato era la “realtà” del Bene infinito.
Amando se stesso di un amore disordinato, l’uomo amò tutto di sé, disordinatamente. Amò disordinatamente il proprio “io”, la propria personalità: e fu la superbia; amò disordinatamente il proprio corpo: e fu la lussuria; amò disordinatamente le cose che poteva unire a sé: e fu la bramosia sfrenata del possesso, per non accennare che alle passioni più radicate nella natura umana guastata dal peccato. Ciascuna poi di queste passioni conobbe mille traviamenti, e di tutte l’uomo fece triste esperienza.
E’ il quadro della scostumatezza pagana che san Paolo descrive nella Lettera ai Romani: “Gli uomini hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare tra loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami…ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché, hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché, commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa” (Rm 1, 21-31).
A tanto può giungere il traviamento del cuore. Scrivendo questo, san Paolo sapeva di non poter essere smentito: i destinatari della lettera avevano sotto gli occhi in Roma la realtà che superava di molto questa descrizione. Lo conferma san Leone Magno, chiamando la Roma pagana “selva di belve frementi e oceano di profonda turbolenza” (PL 54, 424). Nello stesso passo dice ancora di Roma: “Questa città, ignorando l’autore della sua grandezza, mentre dominava quasi tutte le genti, era schiava degli errori di tutte le genti, e credeva di avere raggiunto un alto grado di religione per il fatto di non avere respinto nessuna falsità”.

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