venerdì 18 luglio 2008

SONO UN PELO SU UNA ZAMPA DI UNA FORMICA - (a cura di Padre Valter ARRIGONI)


“Io sono un pelo su una zampa di una formica”, questo ho pensato domenica mentre facevo una lunga camminata attraverso il bosco. Guardavo gli alberi e pensavo all’immensità dell’universo. Ero solo una piccolissima cosa nel bosco, su una piccola collina nel mondo. E la terra non è che un pianeta, e neppure il più grande, di una delle tante stelle. E il sole è solo la stella che abbiamo più vicino. La notte, mentre esco a pregare le veglie, guardo il firmamento e le stelle, milioni, che lo costellano. Qui non ci sono città, lampioni, luci artificiali, ed allora si vede il cielo come non lo si vede altrove.
Ho pensato anche a me fra gli esseri umani, più di sette miliardi, adesso! E quanti uomini sono passati sulla terra da quando il primo ha fatto la sua apparizione! Ognuno con la sua storia. Ognuno con un cuore affamato ed assetato di essere amato e di amare. Ognuno con le sue gioie, i suoi dolori, le sue speranze, le sue delusioni. La forza e la debolezza. La salute e la malattia. La vita e la morte.
Il tempo, le centinaia di migliaia di anni davanti ai quali la mia vita, i pochi anni dei quali è fatta che passano, sono passati, è come “il fiore del campo che di mattina è rigoglioso e la sera è falciato e dissecca … come il giorno di ieri che è passato … come un turno di veglia nella notte”.
Eppure ognuno di noi certe volte vive come se fosse il perno dell’universo! Ognuno di noi pensa di essere il centro! Ognuno pensa che tutto e tutti gli girino attorno!
Eppure c’è qualcosa che fa del “pelo su una zampa di una formica” che sono io un essere umano! Colui per il quale tutto è stato creato. Una persona voluta, amata, pensata, “progettata” dal grande architetto che ha fatto tutto in grande. Dio non ha fatto tutto immenso per farmi sentire “verme e non uomo” ma perché di fronte alla mia piccolezza fossi stupito, colpito, riempito, rasserenato, fatto forte, roccioso, indistruttibile, consistente dal suo amore. Sì, perché su di me si è chinato Colui che è potente. L’artefice e Signore del cielo e della terra non ha disdegnato me, sua creatura, ma si è fatto come me. E’ diventato anche Lui piccolo. Infinitamente piccolo. Anche Lui è stato uno dei miliardi di esseri umani. I suoi piedi hanno calpestato una piccola regione, un granello di sabbia di fronte all’universo. E’ nato in una regione piccola, fatta di uomini che non lo hanno capito, anzi lo hanno condannato a morte e lo hanno crocifisso senza pietà solo perché dava fastidio ai potenti (anche religiosi!) del suo tempo.
Gesù è la tenerezza del Padre per me. Gesù è colui per il quale io non sono uno dei tanti, ma l’amato da lui. Non uno, ma il solo. Non l’anonimo, ma Valter, il suo Valter. Con Gesù il rapporto è “io – tu”. Questo è il rapporto che mi costituisce, che mi fa essere. Questo è il mio DNA. Come diceva YHWH a Giona: “Ho sempre protetto Giona con l’ombra della mia misericordia, mi hai ora perduto di vista, Giona, figlio mio? Misericordia nella misericordia nella misericordia.” Sono fatto di lui, essenzialmente, quando sono anche io misericordia.
In questi giorni mi sono fermato a meditare tanto sulle volte che il Vangelo ci dice “che Gesù provò compassione e pianse sulle folle perché erano come pecore sperdute senza pastore”. Eppure al suo tempo Israele aveva una gerarchia religiosa. C’erano scribi , farisei, maestri della legge, sacerdoti del Tempio di Gerusalemme e capi nelle sinagoghe sparse per il mondo allora conosciuto. Perché Gesù si commuove e piange?
Il profeta Osea scrive:” il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione”.
L’intimo di Dio, il suo grembo fecondo (i padri della Chiesa, che non avevano paura delle parole, lo chiamavano “l’utero di Dio”) è la compassione.
Per questo Gesù si commuove e piange sugli uomini che non hanno pastori perché non hanno nessuno che abbia compassione di loro.
Compassione è una parola che ha acquisito per noi una accezione negativa ma è una parola bellissima. In greco si dice simpatia. Avere gli stessi sentimenti. Sentire insieme. Patire insieme. Provare le stesse emozioni.
Voglio essere simpatico! Avere lo stesso sentimento di Dio.
La sua compassione infatti è la fonte della sua misericordia, della sua tenerezza, del suo amore per tutto il creato. Sentiamo nella lettera di Paolo ai Romani questa domenica che tutta la creazione geme anch’essa in attesa del parto che la rigenererà al paradiso voluto dal Padre per tutto il creato. Il paradiso perduto a causa dell’uomo e del suo superbo egoismo. Il salmo responsoriale ci parla di Dio che fa germogliare la terra per tutti, per dare grano a tutti e pane ad ogni uomo. Di fronte a questa volontà di Dio, che ama tutti, per il quale tutti sono figli, mi viene in mente la situazione attuale di nazioni, come l’Argentina, che usa il grano per farne alternative al petrolio. A chi le fa notare che così si affamano le persone la presidentessa risponde che non si può far perdere il guadagno ai proprietari delle terre!
Mi guardo attorno e non vedo la compassione!
Compassione che mi mette nel cuore del creato, dell’umanità, della storia.
Compassione che è il nome di Dio anche per i buddisti, per i mussulmani. Che è l’intimo di YHWH. Compassione che genera amore.
Voglio essere il compassionevole. Solo questo!
Simpatico a Dio avendo il suo stesso sentimento.
Simpatico agli uomini perché come dice san Paolo: “piango con chi è nel pianto e rido con chi è nella gioia”.
Simpatico al creato perché ho a cuore anche la più piccola creatura, l’ago del pino, la formica, il sasso.
Simpatico a me stesso perché amo chi sono, come sono stato voluto, la mia storia, il mio carattere, i talenti, i doni, la vocazione, la mia gente, la mia città, il mio tempo.
Piango guardando a distanza le luci dei paesi e pensando all’umanità che ci abita. In questi giorni sono sempre più sceso nel profondo di me stesso e mi sono accorto di essere diventato con gli anni sempre più egocentrico, centrato su me stesso. Questa è stata la causa di tanta sofferenza inutile per me e per chi mi stava vicino.
L’uomo di Dio non è il centro del mondo e dell’universo perché tutto e tutti girano attorno a lui, perché tutto e tutti gravitano attorno al suo cuore ma perché tutto e tutti sono dentro il suo cuore. Perché ha compassione di tutto e di tutti.
Penso in particolare ai nostri fratelli ed alle nostre sorelle che sono venuti in Italia dai paesi extracomunitari e che sono finiti a spacciare droga, a rubare, a prostituirsi sulle nostre strade.
Cosa abbiamo fatto incontrare loro? Cosa siamo stati capaci di proporre loro? Soldi, potere, piacere, consumismo, cose! Chi ha fatto incontrare Gesù, il suo amore. Una comunità accogliente e fraterna. Una Chiesa? Dio?
Forse anche noi, forse anche io, abbiamo perso il senso religioso della vita. Una vita senza Dio non è vita. Da una fonte fangosa e sporca non può scaturire acqua pura, fresca, dissetante ma solo liquame, malaria, peste.
E’ il tempo, siamo ancora in tempo, per rincentrare la vita! Rimettere al centro la vita, la verità, Gesù, la vera via verso la vera vita.
Un monaco famoso negli anni settanta, Thomas Merton, passato attraverso l’ateismo, il marxismo, ed approdato al cattolicesimo tanto da farsi monaco trappista ha scritto una poesia per il fratello morto in guerra. Prego spesso questa poesia pensando all’umanità che Dio mi ha fatto incontrare e per la quale non sono stato simpatico, compassionevole. Merton ha un senso di colpa verso questo suo fratello, più giovane, per averlo tagliato sempre fuori dalla propria vita, per non averlo accolto e non aver condiviso con lui niente. Solo dopo la morte ritrova nel suo cuore le parole che non ha mai saputo dirgli.
Dedico queste parole a tutti coloro che non si sono sentiti accolti da me ma anche ai fratelli e alle sorelle spacciatori, ladri e prostitute anche per colpa mia.
“Dolce fratello, se ora più non dormo
Sian fiori alla tua tomba gli occhi miei,
E se mangiar non posso il pane mio,
Piangenti salici vivan dei miei digiuni
Là dove tu moristi.

Se nell’arsura acqua non trovo alla sete mia,
La sete mia fonte per te divenga,
Compagno mio di viaggio sventurato.
Vieni, nella mia fatica trova ora un luogo
per il tuo riposo.

Quando tutti i suoi morti la guerra avrà già avuto,
E in polvere saran finite le bandiere,
La tua croce e la mia diranno al mondo ancora
Che Cristo in ognuno è morto, Cristo per ognuno di noi.
Perché nel disastro del tuo aprile
E’ proprio Cristo che giace ucciso,
Ed è ancora Cristo che sulle rovine piange
Della primavera mia:

Cadrà il prezzo di quelle lacrime
Sulla mano tua debole e abbandonata,
Per restituirti ancora alla tua terra:
Cadrà di quelle lacrime il silenzio
Come suon di campane sulla tomba tua straniera

Ascoltale e torna: ti chiamano a casa.
Arrigoni Valter

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