lunedì 5 gennaio 2009

Andrea e Giovanni - "In compagnia di Pietro" (di Padre Fabrizio Carli)



Nonostante gli uomini di questo nostro mondo siano così numerosi e così diversi, esiste qualcosa che li raggruppa tutti: il senso che ognuno di loro attribuisce alla vita.
Ci sono delle persone che, preoccupate solo di se stesse, vivono cercando di approfittare di tutte le cose e di tutte le persone; sono coloro che, evidentemente, hanno scelto dèi diversi: il piacere, i soldi, il potere.
Ma, a ben guardare, un solo idolo dirige la loro vita: quello dell’“io”. E’ l’“io” che costantemente vuole distinguersi, essere al centro dell’attenzione, mostrare tutta la sua prepotenza, cercare a tutti i costi il proprio benessere. Tutti, se pure in misure diverse, siamo influenzati da questo piccolo, grande idolo: il nostro egoismo. Molti, però, fanno di esso la loro unica ragione di vita.
Esiste anche un’altra categoria di persone che attraversa le medesime difficoltà e tentazioni, soggette alla stessa debolezza umana; tuttavia, con una profonda inquietudine nel cuore, capiscono che vivere nell’egoismo produce stoltezza, e che in noi stessi esiste qualcosa di più importante: una verità sublime e perenne, un amore profondo e inesauribile che non riescono a scoprire del tutto, pur intuendo quale felicità dà loro il trovarlo. Sono quelle persone che instancabilmente cercano, tentando di scoprire dove sia questo Dio, questo essere totalmente altro da loro, che può tuttavia regalare pienezza di vita, di realizzazione.
Ebbene, Andrea e Giovanni appartenevano a questa categoria; erano uomini religiosi, veri israeliti. Avevano probabilmente ascoltato dalla bocca dei loro padri e dei maestri di Israele le promesse che Jahvè, nella sua infinita misericordia, aveva fatto al suo popolo e poiché vivevano, come tutti in quell’epoca, in attesa del Messia, cercavano affannosamente il modo di incontrarlo. Giovanni il Battista proclamava a gran voce: “Preparate le vie del Signore!… Convertitevi! Perché il regno di Dio è vicino…” (cf. Gv. 1,19 ss).
Andrea e Giovanni, diventati discepoli del Battista, avevano udito con chiarezza le sue parole: “Io non sono il Messia, né Elìa, né il profeta, ma colui che viene dopo di me è più grande di me” (cf. Gv. 1,20 ss). E ancora: “E’ necessario che egli cresca e io diminuisca” (cf. Gv. 3,30).
I due discepoli credevano fermamente nelle parole di Giovanni e mettevano in pratica i suoi insegnamenti; per questo essi non si fermavano alla figura del Battista, per quanto grande gli apparisse la santità di questo importante profeta, ma, al contrario, cercavano il Messia.
Così, un pomeriggio, accompagnando Giovanni che impartiva il battesimo sulle acque del Giordano, apparve dinanzi a loro la figura di un uomo che dovette sembrare loro veramente speciale, così umile e privo di ostentazioni. E, a proposito di quest’uomo, essi ascoltano quello che sarà l’ultimo grande insegnamento di Giovanni: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo...colui che battezza in Spirito Santo” (Gv. 1,29.33b).
Non sapremo mai cosa accadde nel cuore di questi due uomini; ma di certo, finalmente, essi avevano udito dalla bocca del precursore la tanto anelata testimonianza: “Questi è il Messia, è la ragione della vostra ricerca, lo scopo della vostra vita, il motivo della vostra speranza…”
Allora, senza una parola, incominciano a camminare con il Messia.
Che bell’atteggiamento quello di cominciare a camminare; essi non soltanto videro il Signore, non soltanto si rallegrarono della sua presenza, ma, lasciato Giovanni, cominciarono a seguire Gesù, ben sapendo che il Battista approvava la loro condotta, poiché proprio a questo li aveva preparati.
Fu così che Gesù, camminando nel deserto, si rese conto che due uomini, timidamente, lo seguivano.
Egli chiese loro: “Che cercate?”
Questa domanda li colse impreparati. Ognuno di loro dovette riflettere seriamente, anche se molte potevano essere le risposte a quella domanda: “Cerco il Maestro, il medico; il personaggio importante; cerco di scoprire le credenziali che quest’uomo può avere”. Tuttavia, un’altra domanda sgorga in risposta dalle loro labbra: “Maestro, dove abiti?” (cf. Gv. 1,38).
Che grande intuizione in questi uomini! Certo lo Spirito Santo ha lavorato in loro con sorprendente velocità, così da fargli comprendere che Gesù non insegnava dottrine, né ideologie, non aveva nulla che in qualche modo potesse impressionare la gente; intuirono che Gesù dava vita e insegnava a vivere. Perciò quando gli domandarono dove vivesse, in fondo gli stavano chiedendo qualcosa di più: “Insegnaci a vivere come te, condividi la tua vita con noi”. Gesù, che per questo era venuto nel mondo, generosamente li invita: “ ‘Venite e vedrete’…e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa l e quattro del pomeriggio” (Gv. 1,39).
Questo giorno si prolungò fino a diventare il giorno di Dio; per Andrea e per Giovanni quel giorno raggiunse dimensioni di eternità. Quando un uomo incontra il vero amore e si sente totalmente preso, non può nasconderlo in nessun modo, tanto è evidente. Per questo motivo gli innamorati vengono subito scoperti, perché l’amore tende a comunicarsi, a darsi agli altri, e quando siamo innamorati vorremmo che tutti partecipassero della nostra contentezza.
Andrea e lo stesso Giovanni, pieni di questo amore, cominciarono la missione alla quale, senza saperlo, erano stati chiamati: sarebbero stati pescatori di uomini e, appena cominciato, “pescarono” subito il primo pesce importante: Pietro.
Lasciatemi raccontare la storia: Andrea e Simon Pietro provenivano da un paesino chiamato Betsaida, ma vivevano a Cafarnao, sulla riva del lago. Giovanni e Giacomo, padroni di barche da pesca, erano loro vicini. Andrea e Pietro erano fratelli e naturalmente avevano trascorso insieme tutta una vita, fatta di decisioni importanti, di gioie, di dolori, di litigi, di feste. Una sera come tante altre, Andrea raggiunge Pietro di corsa, per evitare che questi si mettesse in mare senza di lui, e con gioia gli dà la buona notizia, la migliore fra quante, in passato, aveva condiviso con lui: “Abbiamo incontrato il Messia! Lascia tutto, Pietro, lascia la tua barca, lascia le tue reti, i tuoi guadagni: vieni, poiché ho trovato qualcosa per cui vale la pena farlo!” (cf. Gv. 1,41).
Pietro dovette rimanere interdetto e forse pensò, come molti di noi avremo fatto: “Mio fratello è diventato matto. Probabilmente avrà bevuto!”.
Certo è che, contagiato dall’entusiasmo di Andrea, si lasciò condurre da Gesù.
La storia si ripete più o meno allo stesso modo con Giovanni e Giacomo, Filippo e Natanaele, così come è narrato nel primo capitolo di Giovanni. La notizia si diffonde e tutti vengono condotti da Gesù.
Andrea, Giovanni e gli altri imparano presto la prima lezione: essi saranno dei pastori, e come tali non dovranno trascinare le pecore dietro di loro ma portarle a Gesù. Andrea, inoltre, pur essendo stato il primo ad essere avvicinato da Gesù, non si mostra egoista né superbo e non si ritiene più importante degli altri. Egli esorta Pietro ad essere obbediente agli insegnamenti di Gesù, ne valuta la crescita e l’impegno, ma non si lamenta di nulla né protesta, ben sapendo che ciò che conta davvero è Gesù e l’annuncio del suo Regno. Insomma, Andrea e Giovanni docilmente lasciano che Dio realizzi il suo progetto attraverso di loro.

ESAMINIAMO

alla luce di questa piccola storia:
- quante volte apprendiamo ideologie e crediamo in dottrine che poi difendiamo con passione senza capire che l’importante è seguire Gesù, e da lui imparare un nuovo modo di vivere
- quante volte nell’ambito familiare, sociale, lavorativo ci asteniamo dal diffondere la buona novella del Vangelo condizionati dalla paura di ciò che penseranno o diranno di noi: quante volte, in sostanza, invece di essere dei “pescatori” veniamo irrimediabilmente “pescati”
- quante volte vogliamo serbare per noi tutti gli onori e crediamo che, per il solo fatto di essere stati chiamati per primi, abbiamo maggiori diritti degli altri. Dovremmo chiederci cosa sarebbe successo se Andrea, poiché chiamato per primo, si fosse opposto al ruolo fondamentale di Simone quale pietra fondante della nascente Chiesa.
Dobbiamo scoprire, nella pace del Signore, il progetto che egli ha per ciascuno di noi e docilmente accettarlo. Se sei testa, perché Dio vuole così, non cercare di essere piede; e se sei piede non cercare di camminare sopra le teste.

Domanda
Hai trasformato in vita quello che hai imparato da Gesù? Come?

MEDITAZIONE

Cerchi di essere importante nella tua comunità o compi con docilità il progetto di Dio, obbedendo al tuo pastore? Analizza il tuo atteggiamento.

TRACCE DI RIFLESSIONE

Oggi devo guardare un po’ dentro al mio cuore, per vedere ancora una volta dove mi trovo; che posto ho dato alle cose del Signore. Egli, nel suo infinito amore, senza alcun merito da parte mia, ha voluto che lo servissi nella comunità esigendo da me obbedienza. Perciò, con totale sottomissione, devo escludere me stesso, diminuire perché lui cresca in me.
Egli mi ha scelto nella mia miseria, mi ha dato un cuore nuovo e ha portato via tutto ciò che era impuro, ciò che non serviva; mi ha insegnato a vedere le cose buone che lui stesso ha messo nel mio cuore, e per questo voglio dirgli: “Signore, non permettere mai che il desiderio del riconoscimento dimori nel mio cuore; dammi l’umiltà di cui ho bisogno, per trasformare in vita il progetto che hai per me; non permettere che io gli tolga forza facendo riapparire il mio io. Non permettere che da parte mia nasca un atto di ribellione, di disobbedienza verso i miei carissimi pastori, ai quali voglio essere fedele perché così facendo dimostro a te quanto ti amo. Fa’, o Signore, che io non debba mai perderti di vista e sii sempre con me”.

Cerco di fare in modo che nella mia casa non manchi mai l’amore. Procuro che vi siano comprensione, affetto e aiuto. Vedo che Gesù è giusto e voglio che vi sia giustizia in casa. Mi basta solo vedere con gli occhi del Signore; lasciare che egli penetri con tutta la sua forza dentro di me per allontanare l’oscurità e il peccato, lasciandomi solo pace e felicità. Anelo che il suo volto amoroso si rifletta in me perché io possa manifestarlo ai miei fratelli.
Ho imparato qualcosa della sapienza del Signore, del suo amore e della sua verità e mi sento molto piccola davanti alla sua grandezza. Credo che continuerò a crescere, se mi sforzo di diventare quello che lui vuole; e così è per ognuno di noi.
Amo il mio prossimo e cerco di servirlo con sincerità. Voglio imitare Andrea nel veder crescere un fratello rallegrandomi dei suoi miglioramenti.
Non ho mai cercato di essere importante nella mia comunità. Voglio esserlo per Gesù. Non aspiro ad essere più di quello che posso con le mie capacità.
Non sento invidia e non credo di essere egoista.
Mi piace lodare le capacità dei fratelli. Li ammiro e chiedo a Dio che dia loro più sapienza. Non mi piace dare spintoni per mettermi in vista. So che Dio ha un piano per ognuno di noi e io ho fede in lui. Sto zitta/o e sono docile. Il contrario di quello che ero una volta. Cerco di essere obbediente e umile con il mio pastore; lo considero scelto dal Signore per predicare degnamente la sua Parola; pieno di santità, di doni, di carismi. Perciò mi piace aver cura della sua immagine quando qualcuno cerca di macchiarla. Tutto quello che il Signore ha messo nelle sue mani, lui lo mette a servizio dei suoi fratelli. Conservo gelosamente anche quelle che mi sembrano briciole dell’amore di Dio, ma ogni mattina scopro che egli mi ama molto, vedendo che sono viva. Gli dico: “Padre, perdonami. Grazie per il tuo amore”.

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